Le ragioni profonde d'un contrasto insanabile

Le ragioni profonde d'un contrasto insanabile Le ragioni profonde d'un contrasto insanabile Da Pechino a Mosca a Roma il movimento comunista sta vivendo in questi giorni una crisi drammatica. Mentre Kruscev abbraccia Tito nella capitale sovietica, in quella italiana il delegato cinese, al X Congresso del pei, seppellisce sotto una caterva di atroci insulti, la « cricca di Tito... asservita all'imperialismo americano... traditrice al cento per cento del comunismo ». Da Pechino fa eco l'ennesimo attacco agli jugoslavi, definiti fra l'altro « lupi usciti dalla stessa tana degli imperialisti ». Sfrondato degli episodi particolari e degli estremismi polemici, il conflitto che ormai divide nettamente in due il campo comunista appare chiaro nella sua impostazione di fondo. A farlo precipitare definitivamente sono state le crisi cubana e indiana, viste in maniera diametralmente opposta da Mosca e da Pechino. A Cuba, Kruscev ha dovuto affrontare un dilemma quanto mai arduo: o dare appoggio a un movimento rivoluzionario, a costo della guerra nucleare, oppure rispettare la divisione del mondo in blocchi, e ritirare i missili incautamente impiantati nella zona d'influenza americana. Kruscev ha scelto la seconda soluzione, coerentemente alla dottrina della « coesistenza » e della non inevitabilità della guerra; da ciò le accuse cinesi di « codardia » e di tradimento della causa dell'internazionalismo proletario. Sull'Himalaya, Pechino ha voluto dimostrare ai russi come si deve trattare con l'imperialismo, nel ca-i rappresentato da quel notorio imperialista che sarebbe Nehru: con le armi, piegando prima l'avversario e poi dettando i termini della pace. Sarebbe veramente da osservare che in questo caso non erano in gioco le armi nucleari, il che toglie ogni valore probatorio alla lezione cinese. Il problema, infatti, non è se aiutare o no il movimento di liberazione dei popoli, su cui Kruscev è d'accordo, ma che cosa fare se la reazione dell'avversario capitalista fa sorgere, oggettivamente, il rischio dello sterminio nucleare. Si fa presto, come i cinesi, a lasciarsi trascinare dall'estremismo di sinistra; ma Lenin ha già classificato una volta per sempre questa malattia infantile del comunismo. Allora, ribattono i cinesi al campo sovietico, voi siete dei revisionisti, cadete cioè nell'eresia di estrema destra; l'accusa più atroce che si possa lanciare in faccia a un comunista. Significa infatti dirgli che è scivolato sulle posizioni classiche della socialdemocrazia. E invero Kruscev, non diciamo che è divenuto un socialdemocratico, ma certamente attua una politica, interna ed estera, molto più a uestra di quella cinese; la ritrovata convergenza con Tito, che ancora pochi anni fa i sovietici stessi bollavano di revisionista, è un sintomo quanto mai eloquente. Sul piano interno, Kruscev sente la necessità di dare finalmente al popolo sovietico quel minimo di benessere cui esso giustamente aspira, dopo quasi mezzo secolo di duri sacrifici. A lungo raggio si è lanciato nella impresa di attuare il passaggio dal socialismo al comunismo entro il 1980. Perciò ha bisogno di pace, perciò ha appena deciso di trasformare il partito in un organo di propulsione delle attività agricole e industriali, per così dire « spoliticizzandolo ». Il paragone è facile con la scelta decisiva compiuta da Stalin contro Trotzki 40 anni fa: allora « socialismo in un solo Paese », oggi « comunismo in un solo Paese ». Visti da Pechino, ovviamente i sovietici appaiono molto più simili ai soddisfatti popoli dell'occidente capitalista che non alle mi¬ tdgm sere masse della Cina e di tutto il mondo sottosviluppato. Da ciò le accuse di egoismo, di abbandono dei fratelli, insomma di tradimento della solidarietà internazionale, pilastro fondamentale del marxismo-leninismo. E il tradimento rischia di materializzarsi tragicamente se Kruscev, come sembra sicuro, darà i Mig a Nehru: armi comuniste che, in mano a « nazionalisti borghesi », potranno colpire altri comunisti. Il contrasto torna cosi sul piano internazionale, intorno alla strategia globale che devono adottare i Paesi ed i Partiti comunisti. In linea di pura teoria marxista-leninista non si può negare che i cinesi abbiano le loro ragioni: di sicuro il capitalismo non cederà senza aver aspramente combattuto, con le armi vere e proprie, e prima ancora con quelle della politica, dell'economia, dell'intelligenza. Ma la filosofia di Marx si chiama filosofia della prassi; non è una teoria astratta, bensì uno strumento teorico che si realizza unicamente nella pratica. Questo non hanno capito i cinesi, che sembrano disposti a correre il rischio 4 del conflitto mondiale nucleare, in ossequio alla loro teoria della « rivoluzione ininterrotta ». Anche se molti li considerano stalinisti, in realtà sono assai più trotzkisti; e Trotzky, un gigante intellettuale, fu storicamente sconfitto da Stalin, un pigmeo quanto a dottrina, ma un abile realista quanto a pratica. Ferdinando Vegas ■ ! IT ! 111P11M111 i 11J i 111 r ! 111MI [ 1111E JI ! 11 f t J : 11 ! 1: 1111 [ 11 [ I ! I [ 1E11 ! [ 14 1 ! 11111 ) I [ 1M11L11111 [ 1111111 [ [ ! 11 ] 111111 Giovanni XXIII alla finestra del suo appartamento mentre con voce accorata si rivolge alla folla che si è radunata in Piazza S. Pietro ieri a mezzogiorno (Tel. A.P.)

Luoghi citati: Cina, Cuba, Mosca, Pechino, Roma