Pajetta replica ai cinesi e ammette che «è in pericolo l'unità comunista» di Fausto De Luca

Pajetta replica ai cinesi e ammette che «è in pericolo l'unità comunista» // dissidio Mosca - Pechino domina i lavori del Congresso Pajetta replica ai cinesi e ammette che «è in pericolo l'unità comunista» Un senso di inquietudine tra l'assemblea - L'irruente oratore comincia ogni periodo dicendo « cari cinesi » e dichiara che è tempo di non più usare l'Albania come falsa mèta - Un rimprovero per le disastrose esperienze nelle Comuni - Il delegato cubano afferma, in polemica con la Cina, che l'opera di Kruscev è stata saggia - Interventi di Ingrao e Berlinguer - Oggi parla l'inviato jugoslavo T11J11111111E11111T11E11E11 b 11 ì 11J1111 r 111111M ! 111J111 < [ ( ■ (Nostro servizio particolare) Roma, 5 dicembre. « Cari compagni cinesi... cari compagni cinesi...»: ogni volta che Giancarlo Pajetta attacca va un nuovo periodo la frase iniziale era sempre la stessa, per diradare fin l'ultimo dubbio sul fatto che è venuto il momento di chiamare le cose con il loro nome. La mano sinistra affondata nella tasca della giacca, la destra spesso levata verso il banco delle delegazioni straniere dove siedono anche i cinesi, Pajetta ha tenuto banco questa mattina (quarta giornata del X Congresso comunista) rispondendo a nome del pei all'attacco rivoltogli ieri dal cinese Chao Y.i-Ming. La franchezza di Pajetta, la sua irruenza, ma soprattutto le battute fulminanti con cui egli polemizzava punto per punto con i cinesi hanno sulle prime sgomentato i delegati. Ma via via che il discorso procedeva, via via che l'oratore manteneva imperterrito la stessa irruenza, il congresso si è sentito liberato dal senso di angosciosa preoccupazione generato ieri dall'aperto attacco del delegato cinese. « Quando noi vogliamo dire Cina, — ha dichiarato Pajetta tra gli applausi dei congressisti, — non abbiamo bisogno di dire Albania e non abbiamo bisogno neppure dei lapsus del compagno Lombardi» (che aveva parlato ironicamente di «600 milioni di albanesi») « Noi ci siamo ispirati al principio che ciascun partito co munista, pur nella sua autonomia, deve non rinchiudersi in se stesso ma recare il proprio contributo ideale e politico guardandosi dalla faciloneria dei giudizi e tenendo conto delle specifiche condizioni in cui i partiti fratelli operano Su questo principio riposa l'unità del movimento internazionale. Ma vi sono questioni di politica interna su cui non sono ammissibili interferenze Cari compagni cinesi, noi non ci siamo permessi di indagare sulle comuni (allusione all'esperienza negativa di questi organismi) o sul numero dei fiori che crescono nel vostro giardino (allusione alla teoria di Mao-Tse sui "cento fiori"), e voi non dovete venire a darci consigli sul centro-sinistra ». Bisogna invece parlare, ha proseguito Pajetta, dei problemi comuni, come la pace: « Ce ne siamo resi conto assai bene negli ultimi tempi quando abbiamo sentito quanto fossero vicini a noi Cuba e 1 confini cino-indiani ». Pajetta ha qui affrontato un altro dei punti finora misteriosi del contrasto tra il comunismo europeo e i cinesi: i famosi documenti collettivi firmati nel 1957 e nel 1960 a Mosca. A tali documenti si rielìiamniio 1 sovietici per condannare gli albanesi, e 1 cinesi per condannare « la cricca di Tito ». In effetti in quei documenti gli jugoslavi sono definiti « revisionisti sei cinesi non sono attaccabili quando formalmente vi si riferiscono. Per superare lo scoglio Pajetta ha detto che « la fedeltà alla dottrina e agli stessi documenti collettivi va intesa non in senso dogmatico ma soprattutto come accettazione di un- metodo creativo. « Cari compagni cinesi, voi dite di non essere d'accordo con alcuni di noi. Vi rispondiamo che siamo un partito leninista e che da noi non ci sono frazioni. Non dovete fraintendere l'applauso a voi rivolto: esso si rivolge alla vostra rivoluzione e al vostro grande partito, ma tutti i delegati qui presenti sono unanimi nell'approvare la politica del comitato centrale, nel respingere il vostro attacco inaccettabile e nel condannare le vostre ingiuste posizioni ». Sulle tre questioni riprovate dai cinesi, Pajetta ha così risposto: a) Riforme di struttura: sono un punto essenziale della nostra via rivoluzionaria e rispondono agli interessi del popolo italiano, come dimostra il successo delle lotte per tali riforme; b) Albania: a che cosa mira l'azione degli albanesi e perché voi cinesi l'approvate f Noi non abbiamo da prendere lezioni di combattività dagli albanesi il cui presidente ha imparato ad adoperare il fuci le in Spagna sotto il comando del tenente compagno Bordini; c) Jugoslavia: vofàùét'e detto che Tito ha restaurato il capitalismo, noi siamo andati in Jugoslavia, abbiamo discusso e polemizzato con i compagni jugoslavi, ma una cosa non abbiamo visto: i capitalisti. (E Pajetta si è augurato un buon esito dell'incontro in corso tra Kruscev e Tito). Pajetta ha concluso dicendo che il pei affronta questi problemi con « preoccupazione e dolore », pere Ad è in gioco la unità del movimento comunista. € Siamo disposti al dibattito e all'incontro, ma dobbiamo difendere le nostre posizioni, confortati come siamo dal consenso di tanti valorosi compagni di altri partiti comunisti ». Per i problemi internazionali un altro intervento di rilievo è stato quello del cubano Blas Roca, atteso con particolare interesse come indicazione dell'atteggiamento verso l'Urss e la Cina. Blas Roca è stato molto abile, ha messo sempre in prima fila l'Urss e spesso ha citato la Cina tra i Paesi che hanno aiutato Cuba. Egli ha però nettamente chiarito che l'Urss ha salvato l'indipendenza di Cuba e ha così concluso: « Gli imperialisti e i loro portavoce tentano di creare ostacoli nelle relazioni tra Cuba e Urss ma, come disse Fidel Castro, " Noi siamo grati all'aiuto che l'Urss ci ha prestato e ci presta. Abbiamo fiducia ncll'Urss e nel suo popolo, nel suo partito e nel governo, nel suo dirigente compagno Kruscev " ». Il pomeriggio è stato dominato dal discorso di Pietro Ingrao, membro della segreteria, il quale si è occupato esclusivamente delle prospettive di azione del pei in Italia. Egli è partito dal giudizio comune del pei sul centro-sinistra: ossia che ci sarebbe un deterioramento e che prevarrebbero gli elementi negativi, come la tendenza (linea di Mo ro) a ridurre una politica di rinnovamento democratico ad una. politica di razionalizzazione dello sviluppo capitalistico. Questo fatto dipende, secondo Ingrao, anche da uno scarto tra la situazione al vertice e il movimento delle masse. Come superarlo? Ingrao ha detto che anzitutto i comunisti devono farsi l'autocritica e dire francamente che ciò dipende: l) dal ritardo nell'individunre gli obbiettivi essenziali della lotta antimonopolistica; 2) dalle difficoltà nell'estendere le lotte dalla fase di agitazione ad un vero movimento di massa; S) dalla debolezza nello spingere le azioni parziali verso obbiettivi unitari. Ingrao ha polemicamente risposto a Lombardi dicendogli che i comunisti non devono apprendere da lui che è possibile trasformare lo Stato dall'interno con riforme di struttura che alterino a favore delle classi popolari il rapporto di forza. I comunisti precisano però che questo è possibile solo alla condizione che avanzi un nuovo blocco di forze sociali guidato dalla classe operaia « unita ma articolata in organismi autonomi ». Altrimenti entrano in crisi anche gli istituti democratici tradizionali. Se la difficoltà da superare, ha proseguito Ingrao polemizzando con i socialisti, è rappresentata dalla linea Morodorotea, ebbene questa non può essere superata rompendo a sinistra. Quando i socialisti ritengono possibile un'alleanza con la de e non con il pei, essi entrano in contraddizione con i fini del loro programma. Ingrao ha concluso dicendo che le lotte per obbiettivi che investano i problemi più avanzati della nostra società (dal miglioramento del tenore di vita all'arricchimento della vita culturale) permetteranno al pei di estendere le sue alleanze per giungere ad una vera svolta a sinistra. In queste lotte dell'avvenire (« non siamo nostalgici del passato ») si porrà concretamente il problema dell'unità con i socialisti. A queste lotte un'importante contributo di slancio sarà dato dalla politica della coesistenza pacifica che aiuterà il partito a « liquidare tutte le attese della messianica ora X », stimolando a lavorare per costruire fin da oggi la nuova società. La conclusione del discorso è stata salutata da un applauso di due minuti, con il congresso in piedi, compresi tutti i membri della presidenza e i delegati stranieri. Dopo Togliatti, Ingrao è parso così il dirigente comunista più seguito e apprezzato dal congresso. Nel suo intervento egli ha riassunto anche gli elementi principali emersi da vari interventi di rilievo, come quelli del dirigente della Federazione giovanile Occhetto, del segretario regionale dell'Emilia Fanti, del membro della direzione Berlinguer. Fanti, in particolare, ha suggerito l'impressione che il pei voglia tentare in Emilia, dove ha il 1)0 per cento dei voti, il collaudo della sua linea diretta ad agganciare altre forze politiche nella soluzione dei problemi concreti e nella creazione di nuovi istituti di < democrazia di base» (consigli di quartiere nelle città, conferenze di gestione nelle fabbriche, centri culturali ecc.). « Tutti i militanti comunisti, ha detto Fanti, sono impegnati per una mobilitazione delle masse pari alla gravità e all'importanza del momento ». L'intervento di Berlinguer ha permesso di constatare la sensibilità dei congressisti ai temi dell'effettivo rinnovamento del partito: un suo accenno alla necessità di instaurare veramente organismi collegiali di direzione del partito abbandonando ogni metodo autoritario ha riscosso » convinti applausi del congresso. Per la giornata di domani sono attesi il saluto del delegato jugoslavo e l'intervento di Giorgio Amendola. Fausto De Luca L'on. Giancarlo Pajetta durante il suo discorso contro Pechino al Congresso del pei (Telef. Ass. Press)