Il Mercato comune impone alla Svizzera più che un problema, un esame di coscienia

Il Mercato comune impone alla Svizzera più che un problema, un esame di coscienia NON BASTANO GLI ACCORDI ECONOMICI PER ADERIRE ALLA COMUNITÀ' Il Mercato comune impone alla Svizzera più che un problema, un esame di coscienia La Confederazione è parte dell'Europa, per una gloriosa tradizione civile e per precise realtà materiali: quasi metà del suo commercio si svolge con i «Sei»; il piccolo paese di 5 milioni di abitanti ospita 650 mila lavoratori stranieri - Ma non può rinunciare ai principi che sono stati la sua vita stessa: struttura federale, democrazia diretta, neutralità - Ha chiesto al Mec precise garanzie, soprattutto contro il rischio di essere trascinata in un conflitto - Anche se tutte le sue condizioni saranno un giorno accettate, l'ingresso nella Comunità è destinato ad aprire psicologicamente un'era nuova (Dal nostro inviato speciale) Berna, 22 ottobre. Federico Wahlen, il capo del Dipartimento Politico o ministro degli Esteri svizzero che mi accorda a Berna questa intervista nel suo ufficio alla Curia Confoederationis Helveticae (come dice la scritta solenne sul massiccio edificio del parlamento e dei ministeri), assomi¬ glia vanamente a Luigi Einaudi: la stessa figura minuta, quasi fragile: gli occhiali a stanghetta sul volto piccolo e affabile; una certa lentezza nell'esprimersi, almeno in francese, unita ad un'eccezionale chiarezza espositiva. Anche l'Einaudi svizzero è di origine contadina (<Non ha più le scarpe grosse — dicono i suoi amici — ma ha più che mai il cervello fino ») e si è sempre interessato di economia fino ad esserne ministro prima di passare — naturalmente e logicamente, in un Paese come il suo — al dicastero degli Esteri. Sulle spalle di Wahlen, e su quelle degli altri sei consiglieri federali, grava in questi giorni uno dei compiti più diffìcili che mai si siano posti ai governanti elvetici: la scelta fra la secolare neutralità assoluta, che è alla base stessa della vita del Paese, e l'associazione alla nuova ed unita Europa occidentale, che si sta sia pur laboriosamente delineando e dalla quale sembra inconcepibile una Svizzera staccata ed isolata. Una ventina di giorni addietro, Wahlen si è presentato davanti ai Sei a Bruxelles e ha detto: noi vogliamo associarci a voi ma entro questi limiti, a queste condizioni e patti. Molti stranieri hanno trovato il discorso troppo duro o addirittura tracotante: erano invece e soltanto parole chiare e sincere alla maniera elvetica. Soprattutto, era una presa di posizione precisa dopo troppa confusione ed errori. Sempre al seguito dell'Inghilterra, la Svizzera aveva inizialmente sottovalutato la Comunità economica europea; accortasi dell'errore, era entrata subito in quella specie di contraltare che avrebbe voluto essere la Zona di libero scambio messa frettolosamente insieme da Londra. « Ed ecco che all'improvviso — dicono gli svizzeri — il conducente dell'autobus sul quale eravamo saliti per andare in una certa direzione, scende e si arrampica di corsa su un'altra vettura che va da tutt'altra parte: e noi lì a guardarci come tanti allocchi ». Sull'autobus della Comunità europea, in verità, l'Inghilterra ancora non c'è ' salita, ma a Berna, e altrove, si è sicuri che a maggiore o minor prezzo il suo bravo biglietto riuscirà ad acquistarlo, seguita prima o poi dalle fedelissime Danimarca e Norvegia. In quel momento, cinque milioni di svizzeri si troveranno fuori da un Mercato comune del quale faranno parte all'incirca un quarto di miliardo di uomini. Ed è appena il caso di ricordare che la Confederazione, povera di risorse naturali, è ricca soprattutto per l'importazione di merci che lavora e trasforma in prodotti, parte dei quali viene collocata sul piccolo mercato interno, parte riesportata: per la Svizzera, il commercio estero è tutto. <Noi esportiamo — dice il ministro degli Esteri — un quarto circa della nostra produzione nazionale, ma alcuni grandi gruppi inditstriali arrivano anche al novanta per cento. L'ottanta per cento delle nostre importazioni e il sessanta per cento delle esportazioni avvengono con l'Europa; il 62 per cento, rispettivamente, e il 1)2 per cento con i sei Paesi della Comunità. E noti che, in questo scambio, è stato il Mec a registrare a suo favore nello scorso anno un'eccedenza commerciale per tre miliardi e mezzo di franchi svizzeri». L'Italia ad esempio ha esportato in Svizzera nel 1961 per più di 1200 milioni di franchi e ha importato per meno di ISO, con una differenza a nostro vantaggio di circa mezzo miliardo, pari a quasi 75 miliardi di lire; si aggiungano i 150 miliardi di lire incassati dai nostri lavoratori nella Confederazione, e si vedrà che i rapporti con gli svizzeri hanno reso agli italiani qualcosa come 220 miliardi di lire (quest'anno, saranno certamente di più). <Non è soltanto — continua il signor Wahlen — questione di commerci: c'è la fitta rete delle nostre prestazioni di servizi, c'è la nostra esportazione di capitali, c'è il lavoro che diamo a braccia non nostre. E quest'ultimo aspetto umano è forse più importante di tutti: in un Paese piccolo come il nostro, sono attualmente occupati circa 650 mila stranieri, uno ogni otto cittadini svizzeri, uno ogni tre lavoratori svizzeri. Nessuno Stato è parte così viva, così integrale d'Europa ». Se il discorso fatto dal ministro a Bruxelles, e ripetuta a me oggi a Berna,' fosse stato tutto e soltanto questo, niente avrebbe potuto e dovuto impedire ai Sei di battere le mani al nuovo adepto. Minuto, fragile e flebile ma imperterrito, il signor Wahlen passa invece alla seconda parte del suo dire: < La Svizzera è ed intende continuare ad essere neutrale. Quindi, primo: anche associandosi alia Comunità europea, non può accettarne sic et simpliciter la politica commerciale e la protezione doganale comune verso i Paesi terzi, ma deve conservare il potere di fare trattati come e con chi vuofe/'secondo: considerando la deprecata ipotesi di un conflitto, la Svizzera deve garantirsi i rifornimenti alimentari ed a tale scopo, oltre ad accumulare riserve, deve continuare a, proteggere la propria agricoltura contrariamente a quanto previsto dal Mec; terzo.' in caso di guerra o minaccia di guerra, Berna chiede la facoltà di ritirarsi dalla Comunità ». « Gli svizzeri — commentò qualcuno a Bruxelles, e altrove — vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, tutti i vantaggi e nessuno degli oneri comunitari ». Ne accenno delicatamente al signor consigliere federale che sorride con l'aria più ingenua. « Sembra che chiediamo chissà che cosa, ma non è mica vero. Sul primo punto, noi non vorremmo accet¬ tare la politica commerciale comune ma di fatto siamo pronti ad allinearvi la nostra. Sul secondo vorremmo proteggere la nostra agricoltura, che però dijatto è piccola cosa. Sul terzo, vorremmo ritirarci in caso di guerra, ma di fatto pensa che il mio Paese, una volta integrato totalmente al resto della Comunità, possa staccarsene tanto facilmente, e se non in casi estremi! Di fatto — ribadisce il signor Wahlen, e più tardi insisterà ancora con me il ministro Jolles, capo della commis¬ sione interministeriale per l'integrazione — è molto meno di quanto sembri. Ed in ogni caso — scriva, la prego — noi abbiamo parlato per primi, siamo pronti a discutere, a dare compensazioni in cambio delle eccezioni. « In linea di principio invece le concessioni possono apparire gravose per la Comunità. Ma in compenso, si considerino i vantaggi, per l'Europa e per il mondo, di una Svizzera ancora e sempre neutrale. Per noi non si tratta tanto dei vantaggi materiali che da questa condizione ci sono derivati, è infinitamente di più: con la struttura federale e la democrazia diretta, la neutralità è l'essenza stessa del nostro Paese ». Conciliare le caratteristiche più profonde e peculiari della comunità elvetica con quelle della nuova Europa, costituisce il compito gravoso dei governanti di Berna: « Non abbiamo fretta — conclude il ministro degli Esteri — aspettiamo una risposta solo nei primi mesi dell'anno prossimo; anzi, forse è meglio che passi un po' di tempo ». Forse è meglio. 8e oggi gli svizzeri fossero chiamati a pronunciarsi con uno dei loro referendum, la stragrande maggioranza non esiterebbe a respingere un'associazione europea che possa mettere in pericolo i ire sacri principii della neutralità, del federalismo, della democrazia diretta. Bui quali però si comincia quanto meno a discutere: * Il particolarismo, il cantonalismo, il campanilismo — si legge già sul più diffuso settimanale illustrato — impediscono in Svizzera il coordinamento degli sforzi in settori essenziali. Questa nuova èra della storia europea ci porterà ad un passo avanti o ad un appiattimento doloroso a seconda di quella che sarà la nostra reazione, positiva o negativa, al Mercato Comune ». Giovanni Giovannìnì ministro degli Esteri svizzero Friedrich Wahlen

Persone citate: Federico Wahlen, Friedrich Wahlen, Giovanni Giovannìnì, Jolles, Luigi Einaudi, Minuto