Non vi siano più figli di due padri di A. Galante Garrone

Non vi siano più figli di due padri Pud essere taciuta, la. maternità su un atto di nascita ? Non vi siano più figli di due padri Ancora una volta, un lettore ha richiamato l'attenzione su un caso frequentissimo: quello della donna che, da tempo separata dal marito, e convivente con un uomo non sposato, ha da quest'ultimo un figlio. Può in questo caso il padre naturale denunciare (senza altre aggiunte o precisazioni) il neonato allo stato civile, come figlio proprio, e di donna che non intende essere nominata? Bisogna dire subito a questo lettore che non esiste, come a lui par di ricordare, una legge che contempli il caso, e imponga esplicitamente all'ufficiale di stato civile di iscrivere nei suoi registri la denuncia sopra indicata. Ci sono, piuttosto, delle sentenze che, dopo avere stabilito alcuni saldi principi, hanno affrontato il caso specifico di cui si diceva, e lo hanno risolto in senso affermativo: esse attendono ora di giungere al vaglio della Corte di Cassazione. Ma quel nostro lettore non disperi: c'è da pensare che il Supremo Collegio ribadirà anche in questo caso (e, riteniamo, a sezioni unite, data la delicatezza e l'importanza della questione) l'indirizzo già chiaramente assunto in linea di principio. Converrà ricordare che, da quasi una trentina d'anni le sezioni civili della Cassazione, aderendo a una tesi sostenuta da una parte della dottrina, avevano messo in chiaro che la < presunzione di paternità » del marito rispetto al figlio concepito durante il matrimonio non operava per il semplice fatto della procreazione da donna coniugata, ma solo in quanto ci fosse un atto di nascita che dichiarasse detta procreazione, o, in mancanza, il « possesso di stato » di figlio legittimo. Insomma, non bastava la circostanza di nascere da una donna coniugata, per acquisire senz'altro lo stato di figlio legittimo. Tale status sorgeva solo in concomitanza dell'atto di nascita, o, eccezionalmente, di un possesso di stato. Di opposto avviso era invece la Cassazione penale; fino a che, con la memorabile sentenza 30 maggio 1959 (di cui segnalammo subito su queste colonne la decisiva importanza), a sezioni unite, espressamente uniformandosi all'indirizzo della Cassazione civile, essa ritenne che non costituisse delitto di alterazione di stato la denuncia, da parte del genitore non coniugato, del nato da relazione adulterina come di figlio proprio e di donna che non intendeva essere nominata. Sembra logico inferirne che, se così stanno le cose, una denuncia siffatta può essere presentata dal genitore naturale, e deve essere registrata dagli ufficiali di stato civile. Ma taluni di costoro si sono rifiutati di accoglierla, pretendendo che il denunciante specificasse se la madre fosse, oppur no, coniugata. Di qui alcune sentenze di tribunale, tutte nel senso dell'ammissibilità della denuncia come sopra formulata. Non possiamo qui addentrarci nei meandri della questione, certamente opinabile. Ma vogliamo ancora una volta ricordare, fra queste sentenze, quella del Tribunale di Torino (presidente ed estensore Pratis), dal serrato e convincente argomentare. Quello che conta, al fini dell'attribuzione della legittimità, — hanno dimostrato i giudici torinesi, richiamandosi all'insegnamento ultimo della Cassazione — è l'atto di nascita; il quale ha e deve avere, come suo presupposto, l'enunciazione della « verità reale ». La pretesa di ottenere, dal genitore che, essendo celibe, può ricono¬ scere il proprio figlio, indicazioni relative all'altro coniuge, urta anzi contro il divieto della legge di fare indagini sulla paternità o maternità nei casi in cui il riconoscimento è vietato. Questa sentenza è stata di recente confermata dalla Corte d'Appello di Torino (presidente Casoli; estensore Muggia). La quale ha aggiunto, alle argomentazioni del tribunale, alcune rilevantissime considerazioni pratiche. Se non potesse essere accolta la denuncia nei termini sopra indicati, l'infante sarebbe in concreto iscritto come figlio di ignoti. Ma siffatta iscrizione contrasterebbe apertamente con l'intento del legislatore di migliorare la sorte dei figli illegittimi: intento fatto palese da tutte le innovazioni legislative dell'ultimo ventennio. Così, grazie a questo indirizzo giurisprudenziale che sembra ormai avviato al definitivo trionfo, va scomparendo un assurdo che grida vendetta: quello di un padre vero che non può dare il proprio nome alla sua creatura, e di un padre * finto » che, quasi sempre contro il suo desiderio e i suoi Interessi, e in ogni caso contro ogni ragione morale e civile, si vede attribuire un figlio non suo. Più di trent'anni fa ci è voluta tutta l'estrosa fantasia di un Bontempelli per immaginare, in un fortunato romanzo, il < figlio di due madri ». Ma solo da bizzarria crudele e anacronistica delle nostre leggi ha potuto dar vita, nella dolorante realtà umana, a quello che potremmo ben dire il « figlio di due padri ». La nostra magistratura, nella sua sensibilità, ha avvertito l'assurdità di questa situazione: e sta cercando di porvi riparo, con l'interpretazione di cui abbiamo detto. Lo ripetiamo: da un punto di vista di stretto diritto, la questione è certamente disputabile. Ma nel conflitto delle opposte ragioni, come può non preferirsi la soluzione che soddisfa le più intuitive esigenze di giustizia? Lo ha detto di recente, su una rivista giuridica, uno dei nostri migliori magistrati, il consigliere di Cassazione Mario Stella-Richter. Egli ha posto bene in luce l'iniquità delle conseguenze cui porta la soluzione contraria: il vero padre non potrebbe riconoscere il proprio figlio; e il marito della madre dovrebbe subire l'incomodo — e l'onta — di una paternità impossibile o inesistente, della quale potrebbe liberarsi solo con l'oneroso esercizio dell'azione di disconoscimento. Lo Stella-Richter ha concluso con queste parole altamente ammonitrici: «I teorici e gli operatori pratici del diritto non devono dimenticare che lo scopo finale ed essenziale delle loro fatiche è quello della realizzazione della giustizia, e non possono quindi, posti ad un bivio, scegliere la strada che li conduca alla meta opposta, sol perché sembra loro più aderente a dei principi astratti, dei quali si sono innamorati ». Vorremmo aggiungere che così vuole anche la Costituzione. « La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile cpn i diritti dei membri della famiglia legittima » (art. 30). E' chiaro che, con l'equa soluzione adottata dalla giurisprudenza, i diritti della famiglia legittima non vengono menomamente intaccati. A meno che non si volesse sostenere che, per difendere la famiglia legittima, è necessario perseguitare le unioni formatesi fuori del matrimonio, accanendosi sui flgli incolpevoli. Che sarebbe veramente un po' troppo. A. Galante Garrone

Persone citate: Bontempelli, Casoli, Mario Stella-richter, Pratis, Richter

Luoghi citati: Torino