Bisogna fermare i vandali perché Venezia non muoia di Paolo Monelli

Bisogna fermare i vandali perché Venezia non muoia CURARE LA CITTA, MA RISPETTANDOLA Bisogna fermare i vandali perché Venezia non muoia (Dal nostro inviato speciale) i dVenezia, 6 ottobre. Il convegno per la conservazione e la vita di Venezia è definito ufficialmente « internazionale »; e per vero, sono venuti a parteciparvi illustri personaggi di Francia, di Germania, dalla Jugoslavia, dalla Russia e dalla Polonia, dalla Spagna e dal Portogallo, dai paesi balcanici e scandinavi; e numerosi sono gli interventi di stranieri nel corso delle sedute. E debbo dire che le loro parole mi sono sembrate spesso più sensate, più pratiche di fronte ad una congerie di argomenti appassionati o eccessivamente polemici degli oratori nostri. Il professore Albert Lapracle, difensore e conservatore del quartiere del iVIarais di Parigi, specialista nella difesa dei centri storici in un paese che è assai più conservatore del nostro, assai più geloso dei suoi antichi edifici, si è meravigliato che esistano da noi contrasti così forti sulla integrità di Venezia, quando tale integrità dovrebbe essere assioma e professione di fede per tutti. E quando ha sentito dire che vi sono, chi ha detto cinquecento, chi duecento edifici di bella architettura che sono o vanno in rovina, ha chiesto con candore, come affermando una cosa ovvia, « perché il Comune, o lo Stato, non acquista gli edifici cadenti e li restaura, come si è fatto e si fa a Parigi? ». (Già, perché? Potrebbe essere un buon affare, in fondo; e se il governo ha promesso o ha dato cinquecento miliardi a Napoli, perche non potrebbe darne altrettanti a Venezia che ancor più di Napoli « non può aspettare »?). E avendo ascoltato lunghe considerazioni sul problema delle comunicazioni, sulla pena dei lunghi tragitti giornalieri a cui deve sobbarcarsi chi voglia continuare ad abitare nella città antica e lavorare in terraferma, ci ha consigliato di non esagerare: ci si mette assai meno tempo, ha detto, ad andare da piazzale Roma a San Marco, che a Parigi recarsi dalla piazza dell'Opera alla Gare de Lyon. Anche il collega Gerard Bauer del Figaro ha osservato che per traversare Parigi da un capo all'altro con i mezzi pubblici o con un taxi si impiega due o tre volte più tempo che per traversare Venezia, ove si va da un capo all'altro in meno di mezz'ora con i vaporetti: «Venezia — ha detto — è la città più veloce del mondo ». Ed ha aggiunto che Venezia è perfettamente bella così com'è, e non gli pare affatto morta o moribonda; a patto che non sia toccata più, e tanto meno dagli innovatori. Una lezioncina ha impartito il celebre architetto Neutra, in un'intervista concessa al Gazzettino : « Se comandassi io a Venezia sarci molto restio a concedere permessi di rinnovamento, di sopraclevazionc, e simili, dietro le quali richieste ci sono sempre interessi finanziari e politici. E se dovessi affidare la sorte della città ad urbanisti e architetti, cercherei persone che si sentano culturalmente impegnate con il passato, persone prudenti che non introducessero nuovi e sfacciati clementi ». Voci di uomini di grande esperienza, di buon senso, e traboccanti di ammirazione per questa Venezia che ha, ha detto Laprade, un incommensurabile valore universale. E con un certo ottimismo per l'avvenire. Ora, ha detto Lapradc, c'è in tutto il mondo un maggior interesse per le cose e i monumenti del passato. « Non scoraggiatevi — ha detto press'a poco — Venezia diverrà una mèta desiderata per molti, italiani e stranieri, che aspireranno ad avervi una casa: il risanamento di Venezia avverrà così spontaneamente per opera di quanti si contenderanno il privilegio ambito di farsi cittadini veneziani ». Certo, come ho già scritto un'altra volta, sarebbe un gran passo avanti se duecento ricchi italiani, di quelli che spendono senza batter ciglio ottanta o cento milioni per un panfilo, perché la moda oggi è di farsi navigatori, si facessero lanciatori e parte attiva di una nuova moda, quella di acquistare e restaurare un palazzo veneziano che va a remengo e andarci ad abitare quindici giorni l'anno. (E il Comune di Venezia potrebbe ricompensarli con un bel titolo onorifico del passato, « avogadnri di San Marco », per esempio). Naturalmente, cose sensate si sono dette anche dai nostri oratori, sia pure, da partt dei più, uptisastgridnraanpcdaLlempatetoatestcpbdstisspncstdapsdasncsgcmadubdpvufppentMssvnetsL dopo brevi esordi retorici e con i cie a l r a r e l o e i e o d E e o ri si aù, un tumulto di parole difficili e periodi contorti. Abbiamo sentito degne proposte, e l'interessante esposizione dei risultati di studi profondi su problemi d'ogni genere. Altri oratori hanno riecheggiato frusti motivi di modernità che non si sa quanto siano di buona fede; non mi meraviglierei, avendo seguito ncr anni la politica edilizia della capitale, se taluni di coloro che continuano ad agitare lo spettro della costruzione di una grande arteria che traversi le isole della Laguna di levante, la Certosa, le Vignole e Sant'Erasmo, non mi meraviglierei se accanto alla passione genuina per il motore avessero anche ben definiti interessi, dirò così fondiari. Vorrei dire di più; da un certo punto di vista sono portato a sperare che soltanto rapaci interessi ispirino coloro che insistono a parlare di una Venezia che muore d'asfissia se non le possano mettere in bocca un tubo con i gas degli scappamenti delle automobili, o vogliono sostituire al rustico verde delle isole — quello della città se lo sono già mangiato tutto — compatti bastioni di alti edifici; se no veramente non si riesce a capire per quale demenza persone che dovrebbero essere dotate d'intelligenza e di cultura e di senso logico, che potrebbero avere la consolante sicurezza di passare tutta la vita in un luogo silenzioso c riposante, avvolto dall'eterna mobile bellezza delle acque e dei cicli e di preziosi splendidi edifici, immune dal nevrastenico tumulto delle altre città, vogliano barattare tanta serenità con quartieri senza originalità, senza grazia, aridi e chiassc.: Assistendo alla seduta del pomeriggio di oggi, mi è parso che a un certo momento l'argomento della discussione si sia smarrito un poco; ed alcuni oratori abbiano perso di vista il problema della conservazione della "città per abbandonarsi a visioni dìavvenire non saprei dire se più utopistiche o più pericolose: fantasticando di una Venezia supcrmctropoli d'Europa, testa di ponte di novissim" autostrade europee, allineata sull'asse Berlino-Il Cairo o Copenaghen-Catania o robe di questo genere. Mecca dei commerci, grande stazione aerea, università degli studi di tutto il mondo, e così via. Ed altri, o gli stessi, ci hanno spaventato proponendoci per esempio l'immediata costruzione di una ferrovia elettrica, come hanno detto, insomma d'una metropolitana, treni di sci-nove vetture, velocissimi, frequentissimi, sotterranei, che s'imbucano davanti a Mestre, passano sotto la Laguna fino a sbucare a piazzale Roma, si riimbucano di nuovo, riescono presso il ponte di Rialto e presso San Marco e chissà dove ancora. Vorrebbero questi egregi signori lanciare a centosessanta chilometri l'ora ogni cinque o licci minuti treni carichi di gente stipata come sardine, eruttare sei o dodici volte l'ora due o trecento persone sull'angusta quattrocentesca Riva del Vin presso Rialto, o sul pavimento ilei più bel salotto del mondo, come Napoleone Bonaparte ha definito piazza San Marco. A queste bizzarrie si sono accompagnate oscure minacce, se non vi si ponga mano; come non vi sh altra alternativa, modernizzare e motorizzare Venezia, n ridurla ad una Lcptis Magna, ad una Palmira, ad una Petra nel deserto giordano. Si è anche discusso a lungo, e dottamente, sul fatale sprofon darsi della laguna, che avverrebbe in misura di 33 millimetri ogni dicci anni, un terzo di metro a secolo; sì che la città, definirà da Pompeo Molmcnti « un'atlan tidc favolosa », tra due o tre se coli comincerebbe a scomparire nei flutti seguendo la sorte di tutte le atlantidi. Ala altri ora tori hanno dimostrato con al trettanta dottrina che il rischio non è cosi imminente, che negli ultimi otto secoli lo sprofondamento è stato di undici o dodici centimetri al secolo; e soprattutto non è fatale, che i rimedi per ovviarvi ci sono, e costano poco o nulla, ed è solo questione di risolutezza a ricorrervi, e di buona voglia. Sta il fatto che le condizioni odierne di Venezia sono in gran parte frutto di colpevole trascuratezza per il corso di quasi un secolo. Come ha detto molto bene il consigliere comunale della dataNesse teSaacl'itaunLdegrdiè vrteVnorediteII1•ccildcocsddghapdslSspczgnlpzsdsPpngco città Giorgio Zecchi, più che dalla natura Venezia è minacciata dalla malizia degli uomini. Non è colpa della natura, per esempio, o delle correnti marine se il bellissimo forte cinquecentesco di Sant'Andrea, opera del Sammichcli, sta rovinando nelle acque della laguna; è colpa dell'inerzia degli uffici ai quali spettava la sua conservazione. C'è una grande incuria dello Stato degli enti che ne dipendono. La situazione di Venezia — ha detto il consigliere Zecchi — è grave, irta di problemi, ma non disperata. La crisi di cui soffre è la crisi degli strumenti che dovrebbero salvaguardarne il carattere e l'aspetto. In questi giorni Venezia è stata definita fino alla noia "la grande ammalata". Sarebbe più giusto dire che i grandi ammalati sono quelli che pretendono di curarla ». Paolo Monelli II11111 ! 111 ! 1111111111111111 II I ! 11M1111111M ! 1 ! 111M II ri 111

Persone citate: Albert Lapracle, Gerard Bauer, Giorgio Zecchi, Lyon, Napoleone Bonaparte, Neutra, Pompeo Molmcnti