Con gli scolari sovietici a Borodino dove la Santa Russia fermò Napoleone di Enzo Bettiza

Con gli scolari sovietici a Borodino dove la Santa Russia fermò NapoleoneL'URSS CELEBRA IL 150° ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA Con gli scolari sovietici a Borodino dove la Santa Russia fermò Napoleone Sul campo, Bonaparte vinse aprendosi la via di Mosca; ma perse un quarto del suo esercito, e fu l'inizio della disfatta Dopo un secolo e mezzo il governo comunista esalta Kutuzov ed i generali zaristi, senza riserve politiche; nella campagna del 1812 si vede il grande fatto patriottico, una difesa della terra russa che anticipa la resistenza contro un altro "brigante" : Hitler (Dal nostro inviato speciale) Borodino, settembre. E* dal Gran Ridotto, dove l'esito della battaglia fu deciso in un feroce a corpo a corpo, con lo sterminio della guarnigione russa, che il campo di Borodino si estende intatto come centocinquanta anni fa: così lo videro il mattino del 7 settembre 1812 i battaglioni internazionali della Grande Armce (francesi, olandesi, tedeschi, italiani, polacchi) e i cosacchi e i mugiki intruppati agli ordini del feldmarshall Mihail Illarionovic Goleniscev-Kutuzov. Prati levigati come panno di biliardo a perdita d'occhio, colline digradanti in morbidi vapori autunnali, gracili boschi di betulle macchiate di riflessi semifreddi, violacei, ocra, rossicci, sotto l'arcata di un cielo che soltanto in Russia ha un respiro altrettanto vasto. « A che scopo fu data la battaglia di Borodinot » — si domandava il Tolstoi, il quale, all'uso documentaristico degli onesti romanzieri del secolo scorso, per conferire corpo e realtà alle sue pagine storiche in Guerra e Pace, venne ad abitare in una dacia al centro di questo paesaggio, adibita oggi a scuola elementare < Né per i francesi, né per i russi, essa aveva minimo senso. Il risultato immediato fu, e tale doxeva essere, che mentre noi ci avvicinammo alla perdita di Mosca (cosa che ci faceva la più grande paura del mondo), i francesi si avvicinarono alla perdita di tutto l'esercito (cosa che a7iche a loro faceva la più grande paura del mondo). Questo risultato anche allora perfettamente ovvio, eppure Napoleone diede e Kutuzov accettò la battaglia ». Affidandosi al suo senso casuale, anti-earlyliano, della storia Tolstoi asseriva che tanto Napoleone quanto Kutuzov agirono, a Borodino, in modo as¬ solutamente involontario e irrazionale. Gli storici professionali, sìa dell'una che dell'altra parte, si sforzano invece di rintracciare in quello scontro decisivo della guerra del 1812, che per la prima volta vide affrontarsi sul campo due eserciti di massa, l'elemento volontaristico, il calcolo e la perizia strategica dei due condottieri: gli uni mettono l'accento sulla tattica flessibile e temporeggiatrice di Kutuzov, o sulla supremazia russa nella artiglieria, gli altri sull'intui-, zione napoleonica del tiro concentrato dei cannoni nel punto più vitale della posizione nemica, o sulla maggiore mobilità della massa francese. Molti ancora disputano su chi sia stato il vero vinto e chi il vero vincitore. La verità sta nel mezzo: per Napoleone, che non nuscì a frantumare la spina dorsale dell'esercito russo e che dopo la battaglia sprofondò con le sue truppe demoralizzate nel vuoto delle città incendiate, del gelo e della fame, fu una vittoria di Pirro. Il prezzo che pagò per Borodino fu troppo alto per poter vincere la guerra. Non si era mai vista, a quei tempi, una carneficina così massiccia consumata in meno di ventiquattro ore: i 130 mila uomini della Grande Armce attaccarono, alle cinque e mezzo del mattino, i 130 mila uomini di Kutuzov; la sera, i francesi avevano perduto 30 mila soldati e i russi 40 mila. L'armata napoleonica non riuscì più a rimarginare le ferite di Borodino: cominciò a estinguersi per emorragia fìsica e morale e, letteralmente, per fame. La folle campagna in Russia era fallita. Eppure qualcosa di positivo, per la Russia, intanto era accaduto: senza la stimolante ventata napoleonica sarebbero inconcepibili i Decabristi, dai quali iniziò il lungo dramma conclusosi nell' ottobre 11)17. Ma in questo piccolo e nutrito museo di Borodino, dove concludiamo la visita ai luoghi della battaglia, alcuni di essi sono ricordati soltanto come avversari di Napoleone, come | ufficiali zaristi, come difensori j delia Santa Russia. i II museo, eloquentissimo, è un monumento all'orgoglio nazionale; assente qualsiasi riferimento alla mitologia comunista, è un concentrato, improvviso, di tutti i simooli dell'autocrazia zarista. Fissano il visitatore i volti di alcuni dei più reazionari generali dell'Ottocento europeo, lo accom- pagr.ano stendardi sbiaditi | con la macchia catramosa del-1 l'aquila bicipite, attirano la sua attenzione 1' aristocratica tabacchiera d'oro e madreperla di Kutuzov, la stampa della benedizione della recluta che parte per la guerra contro l'i Anticristo Bonaparte » baciando l'icona della Madonna, l'appello alla resistenza popolare in cui le parole monarca,! imperatore, signore, riferite di volta in volta allo Zar, spie-! cano a lettere maiuscole. Man-| ca soltanto un ritratto di Ales-j Sandro I, ma la guida lascia intendere che non si traltn di j un'espulsione definitiva: « Per il momento non c'è ». Le mae- j stre, che in questi giorni con-i ducono gli scolari a onorare a Borodino le memorie e i padri della « guerra patria », parlano del brigante Napoleone e rievocano l'eroismo del principe georgiano Bagration. Un'ultima saletta, dedicata alla seconda < guerra patria » contro i tedeschi, stabilisce il profondo legame russo, nazionale, patriottico, tra le due campagne e dà una sintetica idea del tipo di propaganda su cui Stalin puntò per scatenare, con suggestioni sentimentalmente più concrete dall'astratto internazionalismo proletario, la violenza della Bia¬ rea umana russa contro l'invasore. In questa sezione contemporanea le discussioni si annullano, la storia russa si dispiega in un blocco omogeneo senza la frattura della Rivo luzione. I manifesti si acca niscono sistematicamente con- tro un mostro ibrido, con la feluca napoleonica e i baffetti hitleriani. Le didascalie ammoniscono: « Napoleone fu distrutto, così sarà il suo emulo Hitler». Il conflitto fra il fatto nazionale, romantico, e il raziocinio ideologico che dovrebbe portare gli eredi del marxismo russo a una visione storica di- versa e a conclusioni ben più caute, è trapelato in tutta la sua contraddittoria evidenza dalle parole che Malinowsky, il ministro della Difesa, ha ■■•■iiiiiiiititiiiiiitiatitiiiiitiitiiittiiiiitiiiiiiiiiiii scritto in questi giorni su Borodino: « La vittoria russa su Napoleone... creò le condizioni per una potente ascesa dei movimenti di liberazione nazionale in tutta Europa, favori l'indipendenza nazionale della Prussia, dell'Austria, della Spagna... ». Come a dire, in sostanza, che favorì la restaurazione dell'Europa di Metternich e che ciò creò la piattaforma per i moti risorgimentali. Una volta di più emerge, anche in questa circostanza, la complessa contraddizione della Russia che — come Stato — deve difendere il suo passato, le sue tradizioni, i suoi miti, mentre l'Unione Sovietica — come Chiesa — non potrebbe accettarli o per lo meno dovrebbe correggerli più coerentemente. Enzo Bettiza itiiiiiiiti*tiitaiiiiiitiiititiitiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiitii