Seicento italiani hanno costruito una diga nel deserto dell'Iran che spaventa i nomadi

Seicento italiani hanno costruito una diga nel deserto dell'Iran che spaventa i nomadi FRA POCHI MESI SCOMPARIRÀ' L'ORRORE LUNARE DEL KHUZESTAN Seicento italiani hanno costruito una diga nel deserto dell'Iran che spaventa i nomadi Incominciarono i lavori nel gennaio del 1960, tra lo scetticismo ironico dei persiani: il loro paese è pieno di opere iniziate, pagate e non finite - Nel prossimo marzo una barriera alta 203 metri imbriglierà le acque torrentizie del Dez, le distenderà in un lago di 65 chilometri per 35 - Tecnici ed operai italiani (veneti quasi tutti) hanno faticato senza un giorno di pausa, 12 ore al giorno, anche con 55 gradi all'ombra - Il nemico più insidioso non è stato il sole, o l'isolamento, o le difficoltà della montagna: alcuni sono impazziti per non avere visto mai, nell'immenso paesaggio, un solo filo d'erba (Dal nostro inviato speciale) Khuzestan, settembre. Si direbbe che un dio barbaro e violento abbia plasmato questo altipiano desertico della Persia, il Khuzestan, in un momento di furia e quando la Terra era molle come creta. E' uno scenario allucinante, fuori della logica, senza riposo per gli occhi: un parossismo della natura. Visto da lontano e nell'ora del tramonto, il confuso tumulto di rocce ciclopiche dà l'impressione che un popolo di giganti stia tra¬ smigrando verso le pianure meridionali, incontro al Golfo Persico. Come pure all'improvviso capitate in gole profonde e strettissime, e prende l'angoscia di trovarsi in fondo a un pozzo; anche nelle ore meridiane il cielo è di un azzurro cupo, come fa da noi al crepuscolo. Sono stati i millenni e le ncque che scendono a. precipizio dai monti che hanno dato al Khuzestan questi suoi aspetti orridi, desolati. Lo so, l'immagine è conven- zionale, tuttavia è quella che per prima vi afferra in quel triste deserto: vi dite subito che così apparirà la superficie della luna ai primi terrestri che avranno la ventura di visitarla. Non vi cresce un filo d'erba, né si ode un uccello o un animale qualsiasi. Rocce nude, polvere, silenzio. Sin dove arriva lo sguardo nessun segno di presenze umane. E, infine, il gran caldo dei Tropici. Ora che siamo a metà settembre il termometro segna all'ombra sino a 1,6-1,7 gradi; ma fino a un mese fa si avevano temperature anche di 53 gradi; e un giorno d'agosto, il 7 di quel mese, la colonnina di mercuria salì persino a 55 gradi. Fu in questo inferno arido e infiammato che alcuni anni fa arrivò un gruppo di tecnici italiani, piantò le tende, studiò a lungo il terreno e concluse che la diga sul Dez si sarebbe potuta fare. Allora, due anni fa, quando gli italiani presentarono il progetto della diga e assunsero l'appalto dei lavori, molti persiani erano scettici. Dicevano: « Sul Dez non si vedono volare i corvi, la notte non si odono né sciacalli né jene, neppure una lucertola potrebbe resistere più di due giorni senza un filo d'erba; l'aria è così secca che i nomadi, quando attraversano quel deserto, sentono la pelle screpolarsi. Come faranno gli italiani a vivere là per due o tre anni di seguito, un giorno dopo l'altrof ». Lo scetticismo degli iraniani era giustificato dal fatto che nella Persia molti sono i progetti, anche grandiosi, che nascono sulla carta, ricevono un adeguato finanziamento, la posa della prima pietra avviene solennemente, magari alla presenza dello scià, i lavori cominciano in un clima di entusiasmo; ma poi lentamente, senza che vi siano molivi ben chiari, le opere restano a metà. E' piena la Persia di queste opere incompiute e dimenticate. Perciò si pensava che lo stesso sarebbe avvenuto per la diga sul Dez. Cominciata nel gennaio del i960, la diga sarà finita tra il febbraio e il marzo dell'anno prossimo. Probabilmente nessuna diga nel inondo richiese mai un'eguale quantità di opere in condizioni ambientali altrettanto diffìcili. Ma anche se si bada solo iim inumimi Illlllllilllllilllllll u a e e a n e e e e e . ai dati tecnici, la diga sul Dez è destinata n figurare ai primissimi posti fra le maggiori che siano state costruite finora. La sua forma è a, doppio arco, ha un'altezza di 203 metri, vale a dire una delle più alte del mondo. Per costruirla sono stati impiegati 1,63 mila metri cubi di calcestruzzo. Alla diga sul Dez si lavora ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni dell'anno, nessuno escluso: anche a Natale, anche quando il termometro sale sino a 55 gradi, anche nei giorni in cui imperversano venti ciclonici suscitando tempeste accecanti di polvere. Sul Dez si deve lavorare tutti i giorni per motivi tecnici. Per raffreddare il calcestruzzo dopo ogni getto sono state costruite centrali che producono fino a 4 milioni di frigorie l'ora; se per un incidente qualsiasi il lavoro dovesse fermarsi, ne risulterebbe un disastro. Le maestranze sono fot mate da 600 operai italiani, quasi tutti specializzati e qualificati, e da 1500 iraniani, quasi tutti manovali. Più che operai, scoiattoli erano i lavoratori che all'inizio arrivarono qui dalla valle Camonica, e furono loro che scesero per primi nei burroni, piantarono i primi chiodi, misero le prime assi. Ancor oggi, nonostante siano sorte strade e viottoli, quasi tutti i lavoratori italiani provengono dalle regioni alpine, specialmente dal Veneto. Però vi sono anche due calabresi e si dimostrano non meno bravi degli altri nel lavorare in bilico sul ciglio dei burroni. Quando la diga sarà finita, rappresenterà la maggiore opera che forse sia stata mai compiuta nella Persia in tutti i tempi. Finora è costata ventidue morti, otto italiani e quattordici iraniani, e una quantità incalcolabile di sofferenze psichiche, nervose, fisiche. Basti dire che, ogni tanto, a qualche operaio dà di volta il cervello e si rende necessario rimpatriarlo d'urgenza. Non è tuttavia il sole il principale nemico degli operai del Dez. Ormai si sono abituati a temerlo, sanno che se un oggetto di metallo rimane esposto per una decina di minuti al sole si corre poi il rischio d'una brutta scottatura a prenderlo in mano. Il sole, dicono, non è una gran brutta bestia, non fa scherzi di cattivo genere: bastano le comuni precauzioni per evitare insolazione e scottature. Neppure l'assenza di donne e la lontananza dalle famiglie figurano nella casistica degli sconvolgimenti psichici: al momento di partire per la Persia i lavoratori italiani sapevano la solitudine che li aspettava, vi erano preparati e perciò fanno come quei soldati che sospirano e contano i giorni che li separano dal ritorno in famiglia senza peraltro disperarsi. Invece quasi sempre, quando un lavoratore italiano dà segni di alienazione mentale, il motivo a prima vista sembra dei più futili: l'operaio comincia col lamentarsi che tutt'intorno non c'è non dico un arbusto, un cespuglio, ma neppure un filo d'erba. Con quella idea fissa nel cervello, diventa di cattivo umore, si incupisce, dà in improvvise escandescenze. A un certo momento diventa inadatto al lavoro, deve essere rimpatriato. Mi dicono che questo particolare tipo di esaurimento nervoso col tempo si attenua e anche passa, però per mesi e mesi chi ne viene colpito continua ad avere incubi notturni: nel sonno si vede sperduto nel deserto e alla ricerca di un bene che giudica insopprimibile, vitale, un ciuffo di erba. Naturalmente si tratta di iifititiiiiiiiitiiiiiifiiiiiitiiiii)iiiii*tiiitifiiiiiitiTtt pochi casi. In genere i seicento lavoratori italiani si strappano i cattivi pensieri dal cervello e le malinconie dal cuore lavorando come dannati. La loro paga oraria va da un minimo di 520 lire ad un massimo di 750 lire: solo i più deboli o svogliati lavorano 70 ore la settimana, e invece sono molti quelli che ne fanno ottantacinque, persino novanta. Sono venuti qui solo per guadagnare molto e in fretta, e perciò non si tirano mai indietro di fronte al lavoro straordinario. Lavorare li aiuta a non pensare, e la notte, quando sono distesi sui loro lettini al buio, nelle baracche con l'aria condizionata, finché il sonno non li vince stanno a fare conti sul denaro di cui potranno disporre il giorno in cui la diga sarà finita e voleranno verso il paese natio. Quel giorno il Dez non sarà più un torrente anarchico e imprevedibile com'è oggi. Oggi non figura sulla carta geografica. Per buona parte dell'anno il suo letto è asciutto, oppure mostra un esiguo rivolo; in certi giorni invece assume il volume e l'impeto d'un fiume, d'un grande fiume, scaraventa per le strette gole del Khuzestan fino a 3500 metri cubi di acqua al minuto secondo. Nella primavera prossima, quando sugli alti monti della Persia comincerà il disgelo, il Dez scenderà a valle e troverà la via chiusa dalla diga. Comincerà allora a. spargersi nel fondo di alcune valli, a sommergere il popolo di titani formato dai massicci rocciosi, formerà infine un grande lago: un lago lungo 65 chilometri e che in alcuni punti raggiungerà una larghezza di 35 chilometri. Sarà altrettanta manna per un paese assetato com'è la Persia. Lo stesso clima dell'altipiano desertico ne risulterà modificato. Ci sarà acqua per dissetare centinaia di migliaia di uomini, per irrigare centinaia di migliaia di ettari e per alimentare una. grande centrale elettrica. In questo modo, grazie al¬ l'ardimento e alla tenacia di seicento italiani, il Khuzestan, da essere uno dei peggiori inferni che siano sulla terra, diventerà un'immensa distesa di acqua, di verdi coltivazioni, e dove oggi è il deserto sorgeranno villaggi, paesi, forse un giorno città. Nicola Adelfo

Luoghi citati: Iran, Persia, Veneto