Il Vesuvio a Torino di A. Galante Garrone

Il Vesuvio a Torino Piemontesi e meridionali Il Vesuvio a Torino Un mio recente articolo sulla fuga al Nord dei meridionali, c sui problemi posti dall'immigrazione nei grandi centri industriali, ha suscitato le reazioni di diversi lettori, che hanno sentito il bisogno di scrivermi. Sono tutte lettere interessanti, che toccano punti vivi, e spesso anche dolenti. Mi pare utile parlarne, nel tentativo di trarre alla luce e di vagliare criticamente qualcosa che fermenta sordo c indistinto nel pensiero di molti, o si effonde nelle solite frasi fatte, o in sussurri c brontolìi spesso tinti di sospetto e di rancore. Sono, quasi tutte, lettere, di piemontesi, e si capisce perché. Chi si inette in allarme, e protesta, è per lo più colui che rivendica e difende una posizione acquisita e tradizioni proprie, e ha l'impressione — vera o falsa o esagerata che sia — di vedersele minacciate dall'irrompcrc dei nuovi venuti. Del resto, è sempre accaduto così, in tempi lontani 0 vicinissimi, anche in altri paesi. Non mancano, in questi sfoghi epistolari di piemontesi, considerazioni giustissime. Perché, dicono, non si pensa abbastanza a fare, nelle regioni meridionali più case, più industrie, più scuole? Bisognerebbe poi affrontare, con criteri più moderni, e una politica di interventi pubblici, il problema della trasformazione dell'agricoltura del Sud. Non nuocerebbe, inoltre, il richiamo a un maggior senso di responsabilità per quel che riguarda la procreazione dei figli o, anche, le spese voluttuarie non commisurate alla modesta entità dei guadagni. Ma accanto a queste e ad altre osservazioni di buon senso, abbondano le recriminazioni passionali, i pregiudizi stereotipati, le generalizzazioni ingiuste. Episodi di cronaca nera (di cui non si vuol certo disconoscere la gravità e la frequenza, ma che hanno le loro origini in una situazione, di per sé emendabile, di arretratezza economica ed educativa, e che lo stesso fenomeno migratorio, con taluni suoi aspetti inevitabilmente caotici e drammatici, moltiplica ed esaspera) spingono qualcuno a imprecare contro l'« orda di mafiosi armati di coltelli e rivoltelle senza porto d'armi ». Altri inveiscono in blocco contro i « furbi » che fanno « fessi » i piemontesi, contro « coloro che vorrebbero portarci... il Vesuvio sulla Mari-; dalcna », e pretendono di assidersi comodi a un banchetto faticosamente preparato dagli autoctoni. Sono reazioni irrazionali, emotive; ma anche a pregiudizi e rancori ci si deve accostare con l'abito dell'osservatore scientifico, col desiderio di esaminare e di rendersi conto di tutto. Che è poi il modo migliore per agevolare la reciproca conoscenza e una maggior fiducia. Così come ha fatto, in un ottimo studio a base di indagini statistiche, la sociologa torinese Anna Anfossi nel volume, curato dal Cris e pubblicato da Comunità, di cui ho già una volta parlato. Si veda, per esempio, l'accurata analisi che la Anfossi fa dei « pregiudizi stereotipi » dei piemontesi sui meridionali, e viceversa. Nel primo dei due gruppi, ecco la graduatoria dei cinque pregiudizi che hanno incontrato la maggiore adesione fra i piemontesi, sul conto dei meridionali: i) fàuno tanti figli e poi pretendono che siano gli altri a mantenerli; z) per loro l'onore consiste nel non portare le corna; 3) se non sono barbieri, sono questurini; 4) invece di ragionare ti tono fuori il coltello; 5) si aiutano soltanto fra di loro. Ed ecco la graduatoria dei più correnti pregiudizi dei meridionali (residenti a Torino) sul conto dei piemontesi: 1) sono interessati e Calcolatori; :) negli affari non guardano in faccia nessuno; 3) prinia di fare un passo ci ruminano su tre volte; 4) credono di essere superiori e si danno un sacco di arie; 5) piemontese falso e cortese. Si noti che, nel primo gruppo, 1 pregiudizi dei piemontesi sui meridionali sono assai più diflu si di quanto non siano gli opposti pregiudizi dei meridionali nel secondo gruppo. Ciò conferma che il disagio e la diffidenza scr peggiano, come sempre, più tra la popolazione ospitante che tra quella ospitata; e che questa, almeno in parte, aspira e tende, più che ad accentuare i risentimenti e le differenze, ad amai gannirsi con la prima. Affiora anche, da queste tabelle comparative, una diversa mentalità, un diverso modo di concepire i fatti del costume e i rapporti sociali. Lo si vede special mente nella graduatoria delle « azioni mal fatte », intendendosi con questa espressione semplici stica le azioni delittuose 11 elisoneste. Constatiamo che l'« ammazzare per motivi d'onore » è dai meridionali — e specialmente dalle donne meridionali — considerata un'azione assai meno grave di quanto non la considerino i piemontesi; meno grave del furto, dell'adulterio, del procurato aborto, del «fare la spia»! Così pure, l'« approfittare di un incarico pubblico per far soldi » è, in genere, giudicato più grave¬ mente dai piemontesi che dai meridionali. Fra le molte riflessioni suggerite da questi rilievi statistici, una ci pare di singolare significato. In seno a ogni gruppo, c'è divario fra uomini e donne. Nei primi, sono più forti le sollecitazioni della nuova civiltà del lavoro e della vita pubblica, che li attrae e li assorbe più delle donne; mentre in queste ultime, e specialmente nelle donne meridionali, sono più forti che negli uomini le visioni ancorate a una struttura arcaica della società. Se ne conclude che ha una grande importanza, nel plasmare le nuove concezioni di vita, l'inserimento nell'ambiente di lavoro (inserimento che avviene più per gli uomini che per le donne meridionali). Nel giro di pochi anni, si avverte una graduale, rapida evoluzione del costume. Ciò dimostra che non esiste un divario di natura, immodificabile; ma piuttosto un divario di circostanze storiche e ambientali, destinato ad attenuarsi. E che molto ci si può attendere da una spontanea evoluzione del costume, per il fatto stesso di vivere insieme e di conoscersi sempre meglio. Ma non basta rimettersi ottimisticamente all'opera del tempo. A. Galante Garrone

Persone citate: Anfossi, Anna Anfossi, Piemontesi

Luoghi citati: Torino