Un ritratto nuovo dell'«uomo» Giolitti nei ricordi affettuosi della figlia Maria

Un ritratto nuovo dell'«uomo» Giolitti nei ricordi affettuosi della figlia Maria INCONTRO CON LA VECCHIA SIGNORA IN ELLA SUA CASA "UMBERTINA,, Un ritratto nuovo dell'«uomo» Giolitti nei ricordi affettuosi della figlia Maria In casa, appariva ben diverso dall'impassibile «burocrate» della vita politica - Era alieno dalle svenevolezze, ma seguiva i figli con attenta comprensione - « Bisogna trattare i bambini come adulti, mai canzonarli, educarli alla responsabilità » - Non badava a spese perché potessero seguire ognuno la propria vocazione; voleva soltanto che si abituassero alla parsimonia e non traessero privilegi dalla carriera paterna - Tra i familiari era sempre pronto allo scherzo ed al colloquio gioioso; e talvolta si commuoveva fino alle lacrime (Nostro servizio particolare) Roma, settembre. Unica ancora in vita tra i figli di Giolitti, Maria Giolitti vedova Chiaraviglio ha ottantanni ed è lucidissima. Dall'aprile scorso non esce di casa, il suo stato di salute lascia a desiderare, soffra di cuore. L'assistono le sue due figliuole, vicine ai cinquanta (non nascondono ■iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniii la loro età) Laura e Giuseppina: sembrano due figurine alla De Amicis, meriterebbero una medaglia all'amor filiale. Gli ultimi dieci anni della loro vita li hanno passati al capezzale dei genitori; prima del padre, Dino Chiaraviglio, che morì nel '55 dopo una lunga malattia; poi della madre. Non si sono mai sposate. iiiiiiiiiiiiiiiitiiiiMiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiii L'intervista avviene per la interposizione di queste fanciulle dai capelli grigi. La figlia di Giolitti non si sente, in questo periodo, di ricevere visitatori estranei, dai quali potrebbero venirle emozioni inaspettate. Il nostro colloquio avviene a distanza, grazie alla spola che Laura e Giuseppina, a turno, si danno la pena di fa- iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii^iifiiiiiiiiiittiiiiiiiiiiiiiiiit d ù . » e o e i a à o e e re tra me e lei. Or l'una or l'altra, vanno di là, nella stanza da letto della mamma, e ritornano con la risposta della mia amabile e stupitissima interlocutrice. Abituata com'è a vivere appartata, mi fa chiedere come abbia fatto a sapere della sua esistenza. Non metto molto a capire che questo appartamento di via Flaminia 109 è ancor tutto alitante di vivissimi ricordi giolittiani. Maria Giolitti visse col padre, nella casa di via Cavour 71, fino all'età di ventisette anni, quando andò sposa all'ingegnere Chiaraviglio, cioè fino al 1909. Nei vecchi, come si sa, la memoria delle cose lontane è spesso più fresca di quella delle cose vicine. Ecco perché donna Maria, dall'ombra della sua stanza da letto, mi manda una messe abbondantissima di ricordi della sua «Vita col padre*, che io annoto alla rinfusa nel mio calepino. L'aria di queste stanze discrete, in cui il mondo turbolento d'oggi non ha fatto irruzione, il riposo dei filodendri e delle cortine di damasco coi grossi anelli scorrevoli nei bastoni di legno, mi sembrano particolarmente favorevoli al sussurro di tante memorie che risalgono alla casa di via Cavour 71; V inconfondibile atmosfera chiusa, austera, pratica e antidannunziana che i piemontesi trapiantarono sul colle dell'Esquilino nei primi anni di Roma capitale. Sono qui raccolti molti dei mobili che confortarono il soggiorno romano dell'illustre uomo di Stato. Una legnaia di mogano con l'apertura a ribalta. Il comò a cassettoni e specchiera che stava alla destra del suo letto. Un secrétaire con ripiano di marmo cipollino. Un ritratto di Quintino Sella. Due bellissimi orologi a pendola, con intarsi floreali, sui quali per circa mezzo secolo egli regolò il corso delle sue laboriose giornate, e che, quasi in segno di omaggio al nume della puntualità, di cui era rispettosissimo a dispetto degli usi locali, soleva caricare amorevolmente di suo pugno. Ciò che a poco a poco emerge dalle ombre e dalle voci delle due volonterose messaggere, è la figura di Giolitti padre e educatore. Anche nei periodi in cui era impegnatissimo nella vita pubblica, l'uomo di Stato seguiva con interesse minuzioso i suoi figli. Quando alla sera tornava dagli affanni del governo, non c'era stanchezza che gli impedisse di interrogarli tino per uno su ciò che avevano fatto durante la giornata. La pedagogia cui si ispirava era asciutta, senza indulgenze, ma comprensiva e rispettosa. Soleva dire che i bambini vanno trattati come adulti, così da svegliare in loro il senso della responsabilità, e che non bisogna mai canzonarli. Padre affettuosissimo, rifuggiva dalle svenevolezze, non prendeva mai i suoi rampolli in braccio, non si abbandonava ai vezzeggiamenti. Era severo e nello stesso tempo di idee larghe. Donna Maria mi dice (attraverso la bocca di Laura e di Giuseppina) che le sue sorelle maggiori Enrichetta e Luisa furono tra le prime ad uscire da sole per Roma, senza chaperon di scorta, ciò che ai primi del secolo costituiva un'iniziativa intraprendente. Uno dei puntigli di Giolitti padre era l'educazione alla parsimonia. Non voleva che i suoi figli si abituassero alla vita facile. Donna Ma¬ iiiiiiiiiitiititiiiiiiitiiiiiciiifiiiiiifiiiitiiiiiiiiiiiicti ria mi confessa che, da ragazza, portava gli abiti smessi delle sorelle maggiori. Solo una volta le fu comperato un abito nuovo. Ma un giorno sua madre, donna Rosa Giolitti, lo regalò per beneficenza. Ricorda che il fratello Federico (il primogenito di Giolitti), quando già frequentava l'università, chiedeva ogni mattina i centesimi per il « maritozzo » e il caffè. Ed ecco un altro episodio assai significativo dell'aria che si respirava in via Cavour 71. Una volta donna Maria doveva recarsi in Piemonte. Poiché non si sentiva troppo bene in salute, qualcuno suggerì al presidente l'idea che «Mariuccia» viaggiasse in vagone riservato. Il no di Giolitti fu categorico. « Non ammetto che esista la professione di figlio del presidente del Consiglio », disse. Giovanni Giolitti teneva moltissimo che i suoi rampolli fossero al riparo da qualsiasi privilegio. Ambiva che si facessero avanti con le loro proprie forze, e raccomandò sempre che si scegliessero i loro amici non fra i rappresentanti sfaccendati della jeunesse dorée, ma fra quelli che avevano amore allo studio e al lavoro. Larghissimo era invece per quanto attenesse all'istruzione. Procurò sempre ai figli e alle figlie i migliori maestri. Enrichetta, la primogenita, che dimostrava inclinazione per la pittura, la mandò a scuola da Vannutelli, uno dei celebrati maestri di quel tempo. Donna Maria, versatissima al pianoforte, potè giovarsi degli insegnamenti del maestro Gullì, uno dei migliori. Quando si accorse che « Mariuccia > faceva sul serio, le comperò un ottimo piano a coda Bluthner. Era, la mia discreta informatrice, la nota musicale di via Cavour. Gli orecchi di Giolitti non indulgevano troppo alle carezze melodiche, ma la sua piccola pianista egli l'ascoltava volentieri. Una volta « Mariucciat, volendo conquistarlo al mondo musicale, se lo trascinò ad una rappresentazione del Lohengrin. Quando si accorse che l'autorevole padre dava segno di annoiarsi, disse; « Questa musica, più la si ascolta e più piace ». Giolitti, sornione, rispose: « Peccato, dovevo cominciare dalla seconda volta». Donna Maria tiene a ricordare che suo padre non era quell'uomo invernale, quel burocrate di ferro, che accompagnava la sua fama. In casa era sempre di umore ilare, scherzoso e conversevole. Gli piaceva parlare, e si seccava dei tipi taciturni. Molto spesso, nel calore delle pareti familiari, si abbandonava a ricordi che lo commuovevano fino alle lacrime. Così quando parlava di sua madre, o del figlio Lorenzo, che morì per disgrazia a sette anni, in campagna. O quando ricordava Ij, figura della vedova Lanza, di virtù classica, che, alla morte del marito, rifiutò la pensione di Collaressa dell'Annunziata, offertagli dal re, dicendo: «Se con quello che avevamo abbiamo vissuto in due, posso tanto meglio vivere io. ora che sono sola ». Lo spazio non mi consente di ricopiare tutto quello che pullula nel mio taccuino. Voglio solo estrarre alcune righe di una lettera inedita che il padre scrisse a donna Maria nel 1927, un anno prima della morte, da Cavour. « ... Io sto bene, mi godo questa bella -primavera stando gran parte del giorno all'aria libera, guardando i cespugli e gli alberi fioriti, e ascoltando i concerti degli usignuoli, merli e capinere...»: vi traspare una sensibilità per la poesia della natura, piuttosto contrastante con l'immagine consueta d'un Giolitti arido e burocratico. Alfredo Todisco

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