La migliore interpretazione di Mastroianni in un film elegiaco sull'amore fraterno

La migliore interpretazione di Mastroianni in un film elegiaco sull'amore fraterno " CRONACA FAMILIARE „ DI ZURLINI ALLA MOSTRA DI VENEZIA La migliore interpretazione di Mastroianni in un film elegiaco sull'amore fraterno Il romanzo di Vasco Pratolini portato sullo schermo rivela tracce di freddezza - In ogni caso non è il «colpo d'ala» che si attendeva (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 6 settembre. SI è vista oggi, ultimo giorno della rassegna dei film in concorso (è ormai certo che Il processo di Orson Welles non si darà) la punta dell'ala che per tanti giorni abbiamo desiderato: ma purtroppo soltanto la punta. Ci avevano assicurato che Cronaca familiare era un'opera interamente risolta in bellezza, e di tanta forza commotiva da aver fatto versare calde lacrime alla commissione di selezione. Ottimi cuori. Ma vedendo il lavoro di Zurlini sul piano competitivo della Mostra, con l'occhio un po' cattivo del cacciatore di < leoni », si ha l'impressione ch'esso sia un film commosso ma non sempre commovente: raffreddato specie nella seconda parte, la più impegnativa, da una stilizzazione di ambienti, personaggi e sentimenti, che è indizio sicuro di una ispirazione che si è persa per la strada. Riconosciamo che l'assunto era difficile, e ove non si trattasse d'un regista dell'intelligenza di Zurlini (il nostro ci nema gli deve, fra l'altro, la più bella novella di questi ultimi anni: la prima metà della Ragazza con la valigia), diremmo addirittura disperato Perché un conto è accarezzare nei toni di un poemetto in prosa il ricordo d'un giovane fratello perduto — come con mirabile discrezione ha fatto Vasco Pratolini in quel suo libriccino quasi segreto, dal pudico incanto — e un altro è dare a quel ricordo un'estrinsecazione figurativa, che, quantunque condotta col flato sospeso e il giusto timore di non appoggiare mai troppo, è però sempre una rappresentazione in atto, corporosa, drammatica. Si dirà ancora una volta che i film non vanno giudicati mettendoli in relazione con le opere letterarie da cui sono suggeriti: ma in questo caso (che è poi 11 caso della maggior parte dei film visti quest'anno a Venezia), cinema e letteratura procedono per una emulazione così dichiarata e stretta, che è impossibile prescindere dai confronti. Zurlini, che ha la mano particolarmente felice nel trattare i sentimenti (come anche si è visto nell'Estate riolento), e che di Pratolini già traspose sullo schermo le frizzanti flagazze di San Frediano, dichiara di aver sempre pensato a Cronaca familiare e che questo sarebbe dovuto essere il suo primo film. Così ci s'è messo intorno con tutti 1 sentimenti; condizione propizia, nell'arte come nella vita, alle cilecche. E ci ha dato un film bello per frammenti, ma nel complesso studiato e compiaciuto, e con una punta di gelo che si fa sentire proprio quando l'elegia si fa più lacerante. Zurlini ha intuito, come intuirono i migliori critici, l'eie ganza e la musicalità di quel primo Pratolini, prosatore poe¬ tico malamente assunto fra ilrealisti e peggio fra i populi-Jsti, e quel suo inimitabile tono di solidarietà umana che riscalda e conforta anche le situazioni più socialmente disperate. Ma fuorché nei primissimi episodi e nella bella figura della nonna, dove è il senso toscano e più gentile della famiglia, non ha saputo trovare, pur visibilmente cercandoli, gli equivalenti cinematografici delle componenti pratoliniane, e ha indurito 11 racconto dei fratelli diversamente cresciuti che la vita unisce coi vincoli del più tenero amore e la morte crudelmente separa, in cadenze anche troppo pacate e solenni. Il film segue il Alo dell'originale, prende un arco di tempo che va dal 1918 al 1945, e comincia dalla fine, quando in «Sala Stampa» a Roma, Enrico, un giovane corrispondente della «Nazione», aspetta per tutta la notte una telefonata da Firenze. E all'alba gli dicono che il suo fratello minore, Dante, è morto. Nella maschera disfatta di Marcello Mastroianni, che in que sto film ci dà una delle sue più calibrate interpretazioni, indoviniamo il peso d'un antefatto, che un solo grande in castro ci rivela a puntino. Morta la madre mettendolo al mondo, Dante è passato sotto la tutela del signor Sarocchi (Salvo Randone), maggiordo mo nella villa fiorentina d'un gentiluomo inglese, che dopo averlo ribattezzato Lorenzo lo ha allevato come un signori il no, schifiltosamente discosto -Jdalla povera nonna e dal fra- e e a l e o i 1 o e ime o a, ntea o lre ue i, en ral to hi o n po o i tello Enrico, rimasto a vedersela con la miseria, la disoccupazione e la tubercolosi. Ma anche il Sarocchi impoverisce, e Dante si ritrova nella stessa condizione del fratello a fronteggiare «un mondo dove anche gli agnelli devono difendere la loro innocenza». Perché il ragazzo, viziato da quella sua infanzia dorata, è appunto un agnello, destinato alla mazza. Lo ripara col suo amore nuovo e struggente, Enrico; ma non può far molto e soprattutto non può dargli la chiave di tutto, la volontà dì lottare. 11 delicato giovane, quantunque sposato e padre (di che non si vede la ragione artistica), si lascia andare finché un'atroce malattia lo ghermisce. Al culmine della breve vita, egli è tutto del fratello a cui chiede sempre della madre, che non ha conosciuto, e di Dio in cui vuole sperare. Enrico sforza le sue magre tasche di giornalista per farne uscire, negli aspri anni di guerra, tut to ciò di cui il malato ha bi sogno; ma non può trovare la marmellata d'arancio da lui invocata come il sapore stesso dell'infanzia. E il distacco si compie straziante, fuggendo Enrico con l'ultima immagine dell'adorato fratello ancora vivo. Nella prima parte cadono gli episodi più belli, centrati sulla nuova amicizia dei fratelli che si ritrovano, e sulla dolente figura della nonna (l'ottima. Sil¬ vie) ricoverata nell'ospizio di mendicità. Più avanti si fa largo il sospetto che la materia del film diventi un po' facile e lo strazio un tantino imposto; che l'agonia di Dante (cui il giovane Jacques Perrin, non così eccelso come nella «Ragazza con la valigia», conferisce la bellezza di un angelo da antiquariato) sia alquanto allungata, eccessivamente cupa, e soprattutto letterariamente adorna. Non s'intende neppure la necessità del colore (sebbene molto delicato, ispirato alla tavolozza di Rosai) in una storia così riposta; e in quanto a Firenze, che ne è lo sfondo Integrante, è uscita rileccata e frigida, come già le era successo, per lo stesso infortunio estetizzante, nella « Viaccia ». Nonostante queste chiazze, il film fotografato da G. Rotunno e musicato da Goffredo Petrassi, è stato vivamente applaudito. Applausi anche al polacco «Noz w wodzie » («Scie») di Roman Polanski, presentato nell'informativa, che, con spregiudicatezza insolita alla produzione d'oltrecortina, tratta una vicenda coniugale (una moglie tradisce il marito, e a lui, incredulo, confessa poi la sua colpa), affidandola a tre bravi interpreti, Jolanta Urnecka, Leon Niemczyk, Zygmunt Malanowicz. Domani sera, in luogo del < Processo », sarà dato fuori concorso il film dei dieci Oscar, l'americano «West Side Story» di Robert Wise e Jerome Robbins. Leo Pestelli

Luoghi citati: Firenze, Roma, Venezia