Burt Lancaster carcerato esemplare nei nobile film «L'uomo di Alcatraz»

Burt Lancaster carcerato esemplare nei nobile film «L'uomo di Alcatraz» Successo delta seconda opera americana alla Mostra di Venezia Burt Lancaster carcerato esemplare nei nobile film «L'uomo di Alcatraz» \{Dal nostro inviato speciale) Venezia, 5 settembre. Buon successo del secondo film americano della Mostra Birdman of Alcatraz («L'uomo dì Alcatraz») ma non tuttavia tale da diminuire l'imbarazzo in cui fino ad oggi si trovano i giurati circa la assegnazione del « Leone d'Oro >. Si tratta infatti di un film di forte commozione oratoria, che segue con onore i collaudati schemi della biografia hollywoodiana; caldo di sensi civili, incuorante, come pochi altri, l'amore degli animali, ma senza lampi di genio; un'opera, a parer no stro, affatto degna di essere presa in considerazione come candidata al premio interna zionale dell'Ocic. Diretto da John Franken heimer, un nome nuovo del cinema americano, a cui si devono Colpevole innocente, Il giardino della violenza e A ciascuno il suo destino visto all'ultimo festival di Cannes, L'uomo di Alcatraz è un film carcerario: e ci sarebbe pia ciuto ai fini d'uno studio coni parativo, parlarne dopo aver visto nella « sezione culturale > (per noi giornalisti, di difficile frequentazione que sfanno) il famoso The Big House (1930) di George Hill, ■dato in Italia, col titolo < Carcere », nella versione spagno la con Juan de Landa, e qui presentato nell'inedita versio ne americana, interpretata da quattro assi quali Chester Morris, Wallace Beery, Ro bert Montgomery e Lewis Stone Il film di Frankenheimer (da un romanzo biografico di Thomas E. Gaddis) è la storia di un uomo vero e viven te, un galeotto che nell'amo re e nello studio degli uccelli in cui è diventato una cima, ha trovato la forza di sopportare 53 anni di prigionia di cui 43 trascorsi in perfetto isolamento. Robert Stroud, oggi settantreenne, benché la sua situazione sia di molto addolcita, non è ancora libe ro, e pur dovendo supporre che lo scrittore prima e poi il regista lo abbiano alquan to idealizzato, noi ci auguriamo che le loro nobili fatiche gli fruttino un atto di più che meritata clemenza: anzi parlando umanamente, di giustizia. Nel 1909 Stroud è condannato a dodici anni di reclusione per aver ucciso un tale che ha malmenato la sua donna (notate il germe cavalleresco), e sin dal primo giorno il direttore della prigione, Whoemaker, lo iscrive nel suo libro nero fra i soggetti più duri e protervi. Dopo sette anni per un'altra rissa dal nobile movente. Stroud pianta un coltello nel cuore d'un secondino; condannato alla forca e poi graziato per merito della madre (una donnetta di ferro) che va a trovare la moglie del presidente Wilson, egli è come murato vivo nel < braccio » dei segregati, e dovrà rimpiangere, come gli ricorda velenosamente il direttore, di non essere morto. Non per questo egli piega l'orgoglioso carattere, anzi si carica di tanto odio che lo sentiamo prossimo a scoppiare. (Interpreta Stroud l'ottimo Burt Lancaster, e vi potete immaginare il taglio ch'egli dà a questo ribelle). E invece nulla. Un passerotto di nido, raccattato nel cortiletto dove il .recluso muove pochi passi ogni giorno, opera il miracolo di riconciliarlo con la vita e con gli uomini. Il film si riempirà tosto di uccelli. La cella di Stroud diventerà un gabinetto di scienza ornitologica, e da quel dilettante, puntualmente imitato dai compagni di pena, uscirà, non senza qualche forzatura iperbolica, un trattatista conosciuto in tutta l'America. Ma quel primo passerotto è quello che conta, perché risveglia a piccoli colpi scontrosi il cuore indurito dell'uomo respinto dalla società. Qui il film, quanto più rasenta il tono documentario, tanto più persuade e commuove: l'appanicamento del passero. La costruzione del beverino, il rifiuto della bestiola a volarsene via, lo scoppio del primo uovo: sono scene di struggente « suspense >. La seconda parte del film, pur confermando la bravura tecnica del regista nel sostenere il grande ritratto, non ha la stessa presa, indul¬ gendo a lungaggini, episodi non necessari, convenzionalità apologetiche. Tramutato al carcere di Alcatraz, separato dalle sue gabbie, il galeotto ritrova il vecchio rancuroso direttore e dirige il pungiglione contro le pecche del sistema carcerario, assistendo, inerme e saggio, a una sanguinosa rivolta che ne è la diretta conseguenza. E' ormai un grosso personaggio, un abate Faria dei penitenziari americani, e quando lascia Alcatraz per andare a una più mite prigione, sprizza freddure sulla televisione che non ha mai visto. Dallo spunto leziosetto (francescanesimo e carcere duro) si sviluppa un film che piacerà molto: per il caldo assunto sociale, la robustezza dell'impianto, e la forte interpretazione di Lancaster la cui maschera trascolorante è un portento di truccatura. Bravi anche Karl Malden, Thelma Ritter e Neville Brand. * * Nella « informativa », consensi e dissensi a II mare, opera prima cinematografica del commediografo Giuseppe Patroni Griffi, che per il suo ambizioso esordio ha scelto « una storia pensata e realizzata, esclusivamente per il cinema; la storia, cioè, dei difficili amori di tre personag¬ gi che non si sarebbe potuta scrivere né per il teatro né per un racconto destinato alla sola pubblicazione ». Il film, immaturo e nebuloso, non è apparso di agevole lettura, rasenta il rompicapo. Per il modo come sono presentati i fatti e scrutati i personaggi e i loro sentimenti s'inserisce in quel settore che da Marienbad a L'eclisse an tepone all'umana spontaneità d'un racconto tradizionale la tortuosa ma non infeconda ricerca di complicate reazioni psicologiche che hanno la loro radice nelle solite alienazioni, incomunicabilità e via discorrendo. A ridurre la carica vitale dell'opera concorrono la sua frigidità letteraria, la sua lunghezza, talora il suo immobilismo. Caduto in un giorno gremito di film lunghi, Il mare merita tuttavia un più riposato esame, atteso il suo valore figurativo e la splendida resa degli aspetti squallid., inattesi, e nella loro malinconia affascinanti, di una Capri invernale, poeticamente sentita dall'operatore Ennio Guarnieri. Alla fine del difficile film, i consensi sono riusciti faticosamente a prevalere sui dissensi, e con Patroni Griffi hanno avuto la loro parte di applausi i tre bravi interpreti: Umberto Orsini, Fran^oise Prévost e Dino Mele. Leo Pestelli

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