Kafka e Hauriae davanti al cinema

Kafka e Hauriae davanti al cinema ROMANZI FILMATI ALLA MOSTRA DI VENEZIA Kafka e Hauriae davanti al cinema , Non c'è commentatore della Mostra di Venezia che non abbia già sottolineato come questa si svolga all'insegna della letteratura, nel senso che diversi film in competizione derivano, più o meno direttamente, da romanzi. La rassegna del Lido rispecchia una tendenza che, nata cori la comparsa stessa del cinema, ha assunto oggi dimensioni davvero rilevanti. Non solo continuano ad essere portate sullo schermo, in misura sempre maggiore, le opere dei classici, ma anche quelle dei contemporanei. E l'Italia è forse al primo posto. Non è nostro proposito, qui e ora, analizzare il fenomeno, vederne i lati negativi e positivi. Quali che siano 1 valori autonomi o derivati di film tratti da Cronaca familiare, Thérèse Desqueyroux. Lolita e addirittura // processo — film che appunto fanno parte del cartellone veneziano — sarà forse interessante per • il lettore conoscere la posizione di Pratolini, Francois Mauriac, Nabokov e Kafka dinanzi al cinema, cosa ne pensavano o ne pensano. Non sono del tutto superate le ragioni oggettive del cosiddetto dissidio tra i cultori delle lettere e i cultori del cinema. « Ragioni positive » : di là dal malumore — come osservava Flora nel 1935 — che la presenza di un'arte giovane, già cosi tracotante e perfino corrotta, desta nei letterati non privi di una lor dignitosa accidia: di là dall'ebrezza un po' fumosa che il nuovo mezzo espressivo desta nei suoi fedeli Lasciamo stare il « caso » Nabokov. Si dice che, dopo aver incassato 1 diritti spettantigli per la riduzione cinematografica di Lolita fatta da Kubrick, lo scrittore abbia sì collaborato alla sceneggiatura, ma esclusivamente interessato alla riuscita commerciale del film. E' questo un atteggiamento, del resto diffuso, che non rimanda comunque alle considerazioni del Flora. Ad esse è invece da ricondurre la posizione dell'autore del Processo, da cui VVelles ha tratto il film omonimo. ■Certamente Kafka, al pari di molti altri intellettuali, fu un pigro spettatore cinematografico,' e non conobbe i capolavori del periodo del muto. Un suo discepolo, Gustav Janouch, gli domandò se non amasse il cinema. Kafka rispose dopo breve esitazione che non ci aveva mai pensato : « Si tratta di un giocattolo grandioso, ma io non lo tollero, forse perché sono troppo visivo, lo vivo con gli occhi, e il cinema impedisce di guardare. La velocità dei movimenti e il rapido ?nutare delle immagini ci costringono continuamente a passar oltre. Lo sguardo non si impadronisce delle immagini, via queste si impadroniscono dello sguardo e allagano la coscienza. Il cinema inette l'uniforme all'occhio che finora era svestito ». All'osservazione che si trattava di un giudizio terribile, e che l'occhio è la finestra dell'anima, come dice un proverbio ceco, Kafka annuì, e aggiunse: «/ film sono persiane di ferro ». Dopo qualche giorno, riprendendo il discorso, Janouch gli fece notare che il cinema è una potenza paurosa, molto più del la stampa: «commesse di negozio, modiste e sarte hanno la faccia di Barbara La Alarr, di iMary Pickford e Pearl VVhite ». E Kafka rispose che era naturale, che il desiderio di bellezza fa delle donne altrettante attrici. « La vita reale è soltanto un riverbero dei sogni dei poeti; le corde della lira dei poeti moderni sono pellicole di celluloide interminabili ». Certo Kafka diede un giudizio puntuale a proposito delle attrici allora famose, del divismo e l'influenza che esso aveva ed ha non soltanto su commesse di negozio, modiste e sarte. 11 grande scrittore tuttavia generalizzava — forse anche a causa delle sue scarse conoscenze cinematografiche — proprio come oggi generalizza un filosofo quale Adorno, quando afferma che la cultura contemporanea rjduce tutto alla conformità: il cinema, la radio, la tv e il rotocalco formano un unico sistema, non hanno bisogno di spacciarsi per arte; non sono altro che un affare e ciò è usato come ideologia per legittimare le brutte cose che intenzionalmente vengono prodotte. Occorre però aggiungere che c'è cultura e cultura, cinema e cinema. Più moderna, aggiornata, la posizione di Francois Mauriac. Già nel suo Iqumal annotava che il romanziere può rinnovarsi col teatro e col cinema. Lo sforzo di rinnovamento — spiegava — dev'essere volto alla forma di espressione- « Questo desiderio mi spinge a ipotecare l'avvenire per quel che riguarda il cinema > Di fronte a esso, noi ci rendiamo conto oggi che il viso umano era, si può dire, una terra sconosciuta. pgcmpspuvvsdllesrcnprllcmgspSsn Dobbiamo al film questa scoperta, questa meraviglia: di leggere un cuore a libro aperto, di cogliere sui lineamenti di un uomo o di una donna, ripresi in primo piano, il turbamento più segreto. Di fronte a una tale « superiorità » — la scoperta del viso umano — allo scrittore sembravano di minore importanza altri vantaggi del cinema: la rappresentazione concreta del passato, di ciò che pensano i personaggi, la vittoria sul tempo e lo spazio: la possibilità di cambiare il luogo e l'epoca dell'intreccio. Oggi, a proposito della trasposizione cinematografica di Thérèse Desqueyroux, egli afferma che un racconto o un romanzo non ha nulla da guadagnare o da perdere diventando film. Se è vero che ogni lettore ricompone il libro secondo i propri e particolari modi di vedere e giudicare, che il libro che viene letto non è mai il libro che è stato scritto, è piena e legìttima facoltà del regista tradurre in immagini la personale interpretazione che, appunto come lettore, ne ha dato. Seppure preferisca non vedere sullo schermo i capolavori della letteratura, a Mauriac interessano i film tratti dai suoi romanzi è curioso di conoscere le idee che dei personaggi si fanno il regista e gli attori. Nel caso di Thérèse Desqueyroux, Franju ed Emmanuelle Riva. Rigorosa e polemica la posizione di Pratolini, il cui nome è legato a film come Paisà e Rocco. Se si vuole fare qualcosa che sia autentico cinema, afferma, occorre rinunciare a ridurre per lo schermo opere letterarie. Non discute se il cinema è arte, sarebbe bizantinismo. Ma appunto per questo si deve convenire che ha bisogno di idee originali, di soggetti, di storie e personaggi intuiti, pensati, elaborati per la sua sola e irripetibile forma di espressione. Ridurre per lo schermo un romanzo o un racconto di sicuro valore letterario, quindi una opera in sé compiuta, è un con trosenso. Nel migliore dei casi si avranno, sullo schermo, fedeli, apprezzabili e anche ammirevoli « illustrazioni in movimento » dell'uno o dell'altro, un semplice spettacolo. E' già implicito dunque il giudizio di Pratolini su Cronaca familiare « messo inscena» da^Zurlinì." " Pratolini. riconosce comunque che in mezzo a tante oscurità e dubbi, la letteratura e la cultura sono un punto di riferimento si curo. Il miglior cinema italiano non condiziona la propria est stenza alla negazione, impossibile, delle diverse e ben forti opere narrative di questi ultimi quindici anni, dei cui contenuti, e poetiche, si è giustamente nutrito. D'altra parte, come già osservava parecchi anni sono il Thibaudet, l'influenza del cinema sui romanzieri è evidente. Per Thibaudet, anzi, il cinema può incorporarsi nella letteratura. E forse non è davvero lontano l'avverarsi della sua profezia: che nominare un film nella storia della letteratura non sarà impossibile e contraddittorio. « Il cinema la senza dubbio un avvenire letterario ». Guido Aristarco niiiiiniiiniuiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiMiiiiiiHiiM

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