«Non è vero che il football italiano sia pericoloso; la mia partita più dura fu contro mio fratello Mel»

«Non è vero che il football italiano sia pericoloso; la mia partita più dura fu contro mio fratello Mel» JToMmmi GHarless aoMialuiie Ist serie delle ssjmg aiemowe «Non è vero che il football italiano sia pericoloso; la mia partita più dura fu contro mio fratello Mel» Gli inglesi accennano spesso alle asprezze del calcio continentale per scusare le loro sconfitte - In Italia, però, gli incidenti gravi sono rarissimi; non si rompono le gambe agli avversari - Il gran duello tra Law e Sivori e la eccezionale abilità di Omar John Charles conclude oggi la serie dei suoi ricordi italiani. Il gallese ha rievocato il bello ed il brutto della sua avventura. Ha detto di aver avuto difficoltà nel lasciare la Juventus, ma di considerare i suoi cinque anni in. bianconero come un periodo meraviglioso, ha criticato alcuni aspetti della stampa scandalistica italiana, riconoscendo però che il nostro giornalismo è in genere corretto, ha parlato dei grandi guadagni dei professionisti del foot-ball, sottolineando tuttavia il severo controllo cui sono sottoposti gli atleti. Ci si può domandare in definitiva quale impressione il gallese Charles abbia ricevuto del nostro campionato. A tale domanda ha risposto lui stesso: «Il Deeds e la Juventus saranno sempre nel. mio cuore ». «Jn Italia, quando vi attaccano, vi attaccano a morte ». Si afferma che io avrei detto questo, parlando del calcio italiano. Non so proprio dove e quando io possa aver detto qualcosa del genere, anche perché non è mai stata questa la mia opmione sul calcio italiano. Molto è stato scritto e detto in Gran Bretagna circa la durezza del fóot-ball continentale. Ogni sconfitta viene scusata perché i nostri giocatori sarebbero vittime di tattiche sleali. Gli spettatori degli stadi inglesi credono che ogni atleta con- à à e o a n . tinentale sìa un teppista il • cui solo intento sia quello di far sgomberare il campo agli avversari. Questo non è vero. Un giocatore italiano col quale ho discusso questa faccenda ha detto: « Vedi, John, qualunque cosa si dica su di noi italiani, resta il fatto che noi non rompiamo le gambe ai nostri avversari ». Per quanto poco | credtbiZc da parte del pubj blico inglese, quel calciatore aveva ragione. In Italia, e nella maggior parte dei paesi del Continente, gli infortuni gravi sono virtualmentc* sconosciuti. Non dico che u « continentale » sto un'educanda, ma non è neppure un « duro », robusto e pericoloso. Vi posso assicurare ohe la partita probabilmente più pesante, da me giocata con la maglia della Juventus, la combattei contro un inglese: era mio fratello, Mei Charles. Prima della gara (Juventus-Arsenal) i giornali italiani si erano occupati dell'imminente scontro e qualche articolista aveva insinuato che noi due non avremmo lottato a fondo. Questo non lo sopportavo. Prima della partita, cercai Mei e gli dissi: < Senti, quando scendo sul terreno, 10 non ho amici nella squadra avversaria. Lasciamo da parte anche la parentela... ». Mei, che è un vero Charles, mi rispose: < Videa mi va. Aspetta e vedrai... ». Così, per 90 minuti, ci scuotemmo ben bene, l'un l'altro, la polvere che avevamo addosso. Fu un susseguirsi di botte e risposte impressionanti. Mi piace ricordare ohe giocammo entrambi lealmente, ma in modo veramente duro. So che alla fine egli si trovò con alcuni denti vacillanti ed io ebbi la mia parte di contusioni e bernoccoli. I tifosi ne furono sbalorditi, ma conlenti. Non ricordo d'aver gustato tanto un duello personale. E Mei, dopo l'incontro, mi disse che non era affatto risentito e che anche a lui era piaciuto. A proposito di duelli, ne ricordo uno che certamente nessun tifoso torinese dimenticherà mai. Subito dopo l'arrivo di Denis Law in Italia, i giornali di Torino si diedero da fare per paragonare lo scozzese all'asso rivale dell'altra società, cioè 11 mio compagno di squadra Omar Sivori. Un gran titolo diceva tSivori o Lavi?». Che partita! Gli altri venti giocatori avrebbero potuto benissimo andarsene a casa, dopo i primi cinque minuti... Non appena ebbe raccolta la palla per la prima volta, Sivori cercò Law con lo sguardo, lo trovò e, palleggiando, si diresse verso di lui. Raggiuntolo fece una finta, quindi, con uno scarto improvviso, fece sgusciare la patta fra i piedi-di Law. Poi balzò alle spalle dello scozzese e ripete lo scherzo. Nessun giocatore, neppure Law, sarebbe riu¬ scito ad impedire un'azione del genere. Pochi minuti dopo, Law, raccolto un passaggio, cercò Sivori. Fece saltellare la palla fin quasi ai piedi dell'argentino e, con altrettanta abilità, glie l-a fece passare sotto il naso, prima in una direzione poi in quella opposta. Nessun giocatore, neppure Sivori, sarebbe riuscito ad impedire uno scherzetto di questo genere. Questo durò per quasi tut- ti i 90 minuti di gioco. Quando uno dei due raccoglieva la palla filava direttamente verso l'altro (schivando talvolta due o tre avversari che si trovavano casualmente lungo il tragitto) e quindi tormentava il rivale con giochi di pura abilità. La folla andava in estasi. Tornando ai falli va detto che ovviamente anche i continentali violano i regolamenti non meno degli inglesi ma lo fanno però in maniera differente. Vi tagliano la strada, vi tirano per la maglia o vi danno strappi ai calzoncini. Si giustificano dicendo che si tratta di trasgressioni non pericolose, mentre lo sarebbero invece quelle degli inglesi. E' per questo che, quando calciatori latini si scontrano con quelli britannici, esistono tutti gli ingredienti per provocare un'esplosione. Né immaginale che i latini non ricorrano al gioco duro perché non ne sono capaci. Se lo vogliono possono ricorrervi. Fu ancora Sivori a darne un esempio. Debbo dire che, avendo giocato cinque-unni enn liti,'ho' vFsto calciatori d'ogni parte del mondo animati dalla volontà di <fargliela». Non ho mai visto nessuno che ci sia riuscito. Una volta, tre jugoslavi scesero su di lui mentre nell'area di rigore faceva saltellare la palla sulla punta del piede. I tre avanzavano decisamente, tutti in sieme, risoluti ad abbatterlo. Sivori, col più bel gioco di destrezza che io abbia mai visto, passò la palla da un piede all'altro e lasciò i tre completamente sbalorditi. Ma il vero problema è di trovare il modo, sul piano del calcio internazionale, di impedire che uno abbia bisogno di ricorrere al giuoco duro. Per arrivare a questo, i continentali debbono accettare il principio che il calcio ò un giuoco fra uomini, e gli inglesi, a loro volta, debbono riconoscere che il calcio è anche un'arte. John Charles Copyright Associated Newspapers Limited 1962 Sivori (a sin.) e Charles quando erano compagni di squadra: John ha conservato una grande stima di Omar

Luoghi citati: Gran Bretagna, Italia, Mel, Omar, Torino