Molti professori e soltanto due ministri fanno parte del "circolo di Kennedy,, di Alberto Ronchey

Molti professori e soltanto due ministri fanno parte del "circolo di Kennedy,, GLI INTELLETTUALI DELLA CASA BIANCA DEBBONO AVERE IL SENSO DEGLI AFFARI Molti professori e soltanto due ministri fanno parte del "circolo di Kennedy,, Il presidente ama le discussioni libere e le proposte audaci, purché siano sempre concrete: i teorici lo esasperano - Egli unisce il senso della direzione storica con un estremo realismo; sa che non sono possibili delle riforme spettacolose e che le rapide iniiovaziojj^dj flfljtffittll.«are]})»»™ fgpgjfeJ tempo difficoltà dell'America non nascono da una crisi; sono dovute all'automazione, agli alti costi interni, alla concorrenza europea e giapponese, alla necessità di enormi aiuti all'estero - Fra tutti i ministri, gli è particolarmente vicino il segretario alla Difesa: già direttore della Ford, uomo di eccezionale efficienza troversie. Si dice a Wash- M11T11 r I ! 1111MI ! ! 1M ! M11111 ! 111111 ! 11T11M MI i IS1111111 (Dal nostro inviato speciale) Washington, giugno. La Casa Bianca ha fatto propria la consuetudine, già praticata dalle U.dustrie, di convocare periodiche assemblee di managers e consulenti, nelle quali è ammessa la facoltà di avanzare qualsiasi proposta e di eccepire nel modo più. franco sulla politica dell'azienda. Una simile riunione si chiama brain-storm, ossia «tempesta dei cervelli^. A differenza di Eisenhower, che fidava sul compromesso preventivo fra i suoi consiglieri, Kennedy inclina a promuoverne le con- ington che ascolti, sema alcun limite di tempo, ogni argomentazione, purché la questione discussa venga ridotta anzitutto ai suoi termini basical (ciascuno'è pregato di < partire dall'ovvio>) e le vie d'uscita siano ipotizzate con metodo rigoroso. Quando un discorso comincia a « girare in tondo », a deviare dal tema delle scelte davvero possibili, il presidente manifesta un malessere quasi fisico: comincia a battere col polpastrello del pollice contro i suoi robusti incisivi. Alieno dalle speculazioni astratte (osserva uno studioso come James Mac Gregor Bumes), il presidente è versato alle analisi politiche in modo persino ansioso ed esclusivo. Gli americani si stupiscono che in Europa qualcuno lo consideri essenzialmente uno sportsman, dedito alle occupazioni di governo col distacco e il dilettantismo d'un signore britannico d'altri tempi. All'opposto, egli è un politician integrale, che deve ad Harvard una lucidità puntigliosa e alla sua origine irlandese un'impazienza febbrile (il primo Kennedy che immigrò a Boston giunse dall'Irlanda durante la famosa « carestia delle patate > del lSkO). Perchè tale impazienza non sia rischiosa, deve essere consumata in ogni quotidiana controversia, ma non incidere mai sulle questioni vitali e sui basilari propositi del presidente, che appare così nella luce singolare di un irrequieto temporeggiatore. Di recente Kennedy s'è irritato contro la conservatrice New York Herald Tribune, che non cessa di rimproverargli l'urto con le grandi compagnie dell'acciaio ed è giunta sino a sostenere la corresponsabilità della Casa Bianca in uno scandalo californiano. Senza pensarci su, ha ordinato che fossero cancellati tutti gli abbona^ menti della presidenza al giornale avversario, suscitando un'eco interminabile di querele. E' superfluo ricordare con quali aggettivi, attinti dal più forte dizionario di Brooklyn, Kennedy ha qualificato i magnati dell'acciaio. Nelle ultime settimane, non ha risparmiato nemmeno gli amici del « clan » rooseveltiano, che avevano criticato la cautela dell'amministrazione nell'intraprendere una politica di riforme. Inaugurandosi nel New Jersey un monumento a Roosevelt, qualcuno ricordò, con chiara intenzione polemica, una massima dello statista: « Se va male, occor¬ MiririiiiiiiiiiiiiiriMiiifi!! iiiiiiitiiitiiiiiiiiM re fare qualche cosa. Se la cosa va bene, occorre fare meglio; se la cosa va mole, occorre fare qualcos'altro >. Dopo alcuni piorni, Kennedy ha trovato il modo di ammonire in un meeting che non insistano a tediarlo ancora col < vecchio disco » del New Deal e delle riforme dinamiche dei primi « cento giorni di Roosevelt », poiché i problemi di oggi sono al di là dell'esperienza. Che le difficoltà americane degli anni '60 siano diverse da quelle degli anni 'SO, è un postulato evidente. Non vi è più margine per le spettacolose riforme di tipo rooseveltiano. Kennedy ha provveduto con alcune leggi speciali a stimolare l'economia delle ultime aree depresse del paese, come il West Virginia e il Mississippi. Non si può dire nemmeno che i quattro milioni di disoccupati siano l'effetto di una congiuntura sfavorevole, poiché la recessione è passata e nella prima metà del '62 il prodotto lordo del paese s'è accresciuto nella misura del dieci per cento. Se la disoccupazione rimane, ciò accade a causa di fattori nuovi, come l'automazione trionfante e l'aumento vertiginoso della popolazione (60 mila giovani alla ricerca del primo impiego ogni settimana). Roosevelt avrebbe stimolato l'espansione economica con un « soffio » d'inflazione; ma Kennedy ha dinnanzi a sé anche i problemi aperti degli alti costi di produzione americani (la rincorsa fra salari e prezzi), dei rapporti col Mercato comune europeo (temuto oggi dall'America non meno che dalla Russia), e della concorrenza giapponese, mentre scemano le riserve auree e la valuta statunitense viene spesa in ogni angolo della terra per motivi di sicurezza ignoti negli anni del New Deal. A differenza di Roosevelt, che fu eletto dopo un disastro nazionale, la grande crisi, che aveva stremato il business, Kennedy deve fare i conti con un ceto capitalista agguerrito e geloso, che resiste ad ogni intervento dello Stato volto a curare i mali più sottili di cui soffre oggi la nazione americana. Infine JFK è stato eletto con uno scarto minimo di voti popolari: un quinto dell'uno per cento. Ma in comune con Roosevelt, Kennedy ha un certo « senso della direzione storica ». Tale, almeno, è il massimo riconoscimento degli amici e la doglianza degli avversari. . E' simile, per qualche verso, anche il metodo di governo, attraverso iiiiiiiiiifiniiiiri» imiiiiiiiiiiiii iiiiiiiin un « trust dei cervelli », ossia, un circolo di uomini di studio e tecnici, che ha risollevato di colpo il tono della politica americana. Walter Heller, capo dei consiglieri economici di Kennedy, è giunto dall'Università del Minnesota; David Bell, capo dell'ufficio del Bilancio, da Harvard; George Bundy, già preside di Harvard, è speciale assistente per le questioni della sicurezza. Walt Whitman Rostow, principale bersaglio dei conservatori, insegnava storia economica al Massachusets Institute of Technology e dirige ora il Policy Planning Staff, l'organismo incaricato di studiare le prospettive politiche a lunga e media scadenza, che elaborò il piano Marshall, previde con quattro mesi di anticipo l'aggressione coreana (nel celebre documento p.17) niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiini iiiiiiiiiii iiiii e cessò praticamente di esistere negli anni di Foster Dulles. Altri celebri «nomi universitari » raccolti intorno a Kennedy sono quelli del fisico Wiesner, dei professori Kissinger, Seaborg e Schlesingér. Quest'ultimo, insieme con Theodore Sorensen, assolve le funzioni che a Mosca vengono adempiute da Shvcenko e Shuisky, compilatori del documenti e discorsi krusceviani. Quello che Lester Tanzer ha definito il Kennedy Circle, l'ambiente degli intimi, comprende anche alcuni membri del gabinetto: anzitutto Me Namara, il migliore segretario alla difesa della storia americana, già presidente della Ford, che conosce i segreti del management industriale e ha posto termine alle contese fra esercito, marina e aviazione in materia missilistica. Nella scala, degli amici del presidente, è seguito dall'avvocato Goldberg, ministro del lavoro. Rusk e Dillon, segretari agli Esteri e al Tesoro, possono definirsi « grondi esecutori autonomi di una politica concordatay, ma non fanno Circle. Rusk deriva dalla diplomazia di carriera e amministra il Dipartimento di Stato con metodo pragmatico, portando attenzione ai fatti e consultando la Casa Bianca: l'esatta versione americana di Gromyko. E' lontana l'epoca di Foster Dulles, che operava su, misura delle proprie personali teorie (si diceva che portasse <il Dipartimento nel cappello >). Dillon, ex-banchiere e già membro del governo Eisenhower, è uno scudo' per Kennedy e una garanzia offerta alle opposizioni. Alberto Ronchey