Il cinema sudamericano è diviso tra Marx e l'erotismo di Antonioni

Il cinema sudamericano è diviso tra Marx e l'erotismo di Antonioni Dojpo la oMmìùbumm* tfol festival tfi Sestri Imeira.x*te Il cinema sudamericano è diviso tra Marx e l'erotismo di Antonioni Dagli impegnati film sulla rivoluzione cubana alle decadenti e torbide opere dell'* alienazione » (Dal nostro inviato speciale) Sestri Levante, 11 giugno. O Marx o Antonioni : è, press'a poco, il dilemma davanti al quale si è trovata la giuria della III Rassegna del cinema la-' tino-americano quando è stato il momento di assegnare il « Giano d'oro ». (Si consideri che la manifestazione è organizzata dal c Columbianum », da un istituto cioè che non nasconde la sua ispirazione cattolica, anzi la conferma con la presenza attiva alle proiezioni e ai dibattiti del gesuita padre Arpa e dei suoi collaboratori). Si trattava infatti di conferire una patente di nobiltà, che a nostro parere non sarebbe stata immeritata, alla giovanissima vinemaiografia cubana nella quale, tuttavia, le insinuazioni marxistiche sono soltanto temperate dall'ancora robusto, e spesso retoricheggiante individualismo dell'ideologia castrista. Oppure bisognava dare un riconoscimento, questo sì non meritato, ai film argentini, o anche brasiliani, nella maggior parte dei quali l'imitazione dei modelli europei, e soprattutto del nostro Antonioni. è al servizio di un contenuto decadente, torbido e, manco a dirlo, eroticheggiante. La giuria ha felicemente sciolto il dilemma premiando L'angel exterminador di Luis Bunuel: senza dubbio il film più degno del « Giano d'oro » ma, sia detto senza eccessiva malizia, anche quello in cui il più anticlericale (è l'autore di Viridiana, non dimentichiamolo), e certamente il più anarchico, dei registi di oggi non ha davvero risparmiato certa corrotta società borghese, né lss la Chiesa, o quella parte di essa, che le fa da puntello. Il bel film di Bunuel, di cui la sezione retrospettiva ha presentato altre eccellenti opere (che, ahimè, al pari di Viridiana difficilmente vedremo in Italia), rappresentava il Messico, per modo di dire, però, poiché Bunuel, che non è poi neppure messicano ma spagnolo, i suoi film potrebbe girarli tali e quali in ogni angolo della terra. La produzione più autenticamente messicana in vece, almeno dal poco che si è potuto vedere, è sembrata mediocre e, in generale, assai decaduta dagli anni felici della coppia Fernandez-Figueroa (ma la retrospettiva ha tolto anche qui qualche illusione). Quanto alle cinematografie degli altri paesi, i sociologi e gli educatori che hanno dato vita ai dibattiti sull'i Eroe nel film » e sulla < Funzione dei mezzi di comunicazione di o e o a o massa in America Latina» avevano ottima materia di studio e di riflessione proprio nei film in concorso. Quelli argentini, ad esempio: si direbbero lo specchio dello sconfortante assenteismo di cui gran parte della popolazione di quel paese sta dando prova, cóme riferiscono le corrispondenze da laggiù, di fronte al dispotico monopolio della cosa pubblica che esercita la casta militareDei quattro film presentati, soltanto I giovani vecchi di Kuhn tenta, se non altro, di testimoniare il disagio della gioventù argentina. Gli altri ("Settanta volte sette di TorreNilsson, H numero dispari di Antin, Tre volte Anna di Kohon) sono fredde, arzigogolate, e talvolta francamente fastidiose, esercitazioni stilistiche. Qualche fermento positivo si può invece cogliere nei film brasiliani. Non tanto nell'ambiguo La parola data C«0 pagador de promesasj di Duarte premiato, non si capisce bene perché, a Cannes; quanto'nel Grande mercato (<A grande /eira »; di Pires: un film mediocre, anche brutto se vogliamo, ma che lascia almeno trapelare quel fervore di rinnovamento e quell'ansia di progresso che, a differenza dell'Argentina, debbono pur esserci in Brasile. Altri paesi sudamericani, e la rassegna di Sestri Levante lo ha confermato, sono ancora all'abbici cinematografico (ma sarebbe stato interessante vedere un film cileno, annunciato e poi non presentato, prodotto da un'università cattolica e diretto da un padre gesuita). Rimangono i film di Cuba, a spia della confusa e ribollente situazione dell'isola: per fortuna, essi sono anche di qualche valore, soprattutto Realengo 18 di Torres, di cui già si è avuto occasione di parlare, e El joven rebelde (<Il giovane ribelle*) di «Tutto Grada Espinosa, la cui sceneggiatura è firmata da Cesare Zavattinl. In questo film, la vicenda di un giovane, un ragazzo quasi, che rifugiatosi tra i « barbudos » in lotta contro Batista prende a poco a poco coscienza dei suoi doveri, è narrata con realistica efficacia e quasi senza retorica (la quale invece abbonda nei documentari). Anche i cubani del resto, qui rappresentati da Alfredo Guevara direttore dell'Istituto di arte e Ci industria cinematografica (un diplomatico, tgccnSGmspf troppo diplomatico personag gio, e forse più comunista che castrista: i due termini, ancora, non si equivalgono) han no avuto uno dei premi per Storie della rivoluzione di Gutierrez Alea, che meno lo meritava; gli altri due sono toccati ai film argentini di Torre-Nilsson e Kuhn. Que st'ultimo ha ottenuto anche il premio dei critici cinematografici mentre quello dei Cineforum è stato assegnato a Realengo 18. Brasile, Cuba, Argentina e Portorico figurano infine nell'elenco dei paesi pre miati per il cortometraggio. Alberto Blandi