I macchinisti del merci interrogati in carcere ripetono di aver visto i segnali di via libera

I macchinisti del merci interrogati in carcere ripetono di aver visto i segnali di via libera I macchinisti del merci interrogati in carcere ripetono di aver visto i segnali di via libera I controlli automatici però li smentiscono - 11 convoglio non aveva subito nemmeno un rallentamento come prescrive il segnale arancione di « cautela » che sostengono d'avere scorto - Come e quando saranno risarciti i parenti delle vittime - Uno dei feriti ancora in gravissime condizioni - L'ag. ghiacciante racconto di uno scampato che ha visto il « merci » piombare addosso al suo treno - La piccola Daniela Gritti invoca la sua mamma (Dal nostro inviato speciale) Voghera, 2 giugno. Ancor prima delle 7 di stamattina, la commissione tecnica delle Ferrovie dello Stato, composta dagli ingegneri Rossetti, Fasoli, De Nicola e dal dott. Mltobelli, capo-reparto movimento di Voghera, si è recata nell'antico castello in cui hanno sede le carceri mandamentali per interrogare il macchinista e l'aiuto-mncchinista ritenuti responsabili del disastro ferroviario di giovedì notte. La commissione aveva ottenuto uno speciale permesso dal procuratore della Repubblica dott. Manfra, dato che durante la fase istruttoria gli arrestati di regola non possono essere avvicinati da alcuna persona. La commissione è uscita dalle carceri alle 8,S0. Sembra che il macchinista Lanfranco Pigiani, che era alla guida al momento della sciagura, continui a sostenere di avere visto entrambi i semafori arancione, cioè indicanti via libera con cautela. Questa tesi è sostenuta anche dall'aiuto-macchinista Soriano Fabbri, ma essa non regge per più di un motivo: in primo luogo perché la documentazione grafica lasciata dagli scatti dei semafori afferma che il colore era rosso, poi perché lo scontro è avvenuto mentre il merci viaggiava alla velocità di oltre 71 chilometri all'ora, quindi non ave¬ va subito nemmeno un rallentamento e tanto meno era in grado di arrestarsi nella stazione, come invece avrebbe dovuto per il cambio del locomotore. Il Pigiani e il Fabbri continuano ad essere molto abbattuti: gli agenti di custodia del carcere spesso li sentono singhiozzare. Il primo, che è macchinista titolare, proprio la mattina del SO piaggio, il giorno in cui prese servizio sul tragico merci 8151, aveva sostenuto, a Milano, gli esami per essere abilitato anche alla conduzione delle locomotive a vapore. E li aveva superati egregiamente. Il Pigiani è sposato e padre di una bambina di pochi mesi, mentre il Fabbri, appena ventiduenne, è celibe. Le imputazioni per le quali sono stati denunciati sono quelle di disastro ferroviario (art. 449 del codice penale, pena prevista dai S ai 10 anni) e di omicidio colposo plurimo (art. 589, pena massima 12 anni). Le pene possono anche sommarsi, ma è difficile che esse vengano inflitte nella loro pienezza. Il procuratore della Repubblica, da parte sua, continua l'inchiesta della magistratura che, si prevede, durerà molto tempo, forse parecchi mesi. Egli dovrà interrogare tutto il personale che era di servizio nella notte della catastrofe; dovrà, sottoporre all'esame di periti tecnici, che non siano dipendenti delle Ferrovie, le strisce di carta che portano impressi i dati relativi agli scatti dei semafori: dovrà infine interrogare i feriti e i parenti delle vittime, anche per raccogliere notizie di carattere economico sulle loro famiglie, dati, questi ultimi, che potranno servire ai fini dell'indennizzo da parte delle Ferrovie dello Stato. A questo proposito sarà bene accennare alla prassi di solito seguita. Le vittime o i loro parenti più stretti si rivolgono alla Divisione commerciale del traffico di zona (nel caso attuale Milano) e presentano la loro richiesta per il risarcimento cui ritengono di avere diritto: se la direzione delle Ferrovie considera la domanda equa, versa la somma. Ma in pratica le cose non si svolgono mai con questa semplicità, perché la Divisione commerciale delle Ferrovie è piuttosto incline a considera re eccessive le richieste. I don neggiati devono quindi rivolgersi ad un avvocato e costi tuirsi Parte civile. La causa viene istruita e di scussa dal tribunale, il quale poi — avvalendosi anche degli accertamenti svolti dalla ma gistratura in sede istruttoria dopo la sciagura — fissa l'ammontare della quota che lo Stato deve versare. Per questo computo, nel caso dei morti, si tiene conto del reddito che essi avevano in vita e della loro età per poter calcolare, in linea di massima, quale apporto in denaro avrebbero potuto ancora dare alla loro famiglia se non fossero stati stroncati da morte violenta. A volte, tra l'incidente e l'indennizzo, passano molti mesi. C'è da augurarsi che nel caso attuale, così denso di lutti, il governo intervenga presso la direzione delle Ferrovie per far snellire le pratiche burocratiche e per evitare che il dolore di tanti parenti abbia ad inasprirsi con penosi strascichi giudiziari. All'ospedale versano ancora in condizioni gravissime — e i medici temono che non possano sopravvivere — due dei ventidue viaggiatori ricoverati: la signorina Giulia Fornasiero, di 23 anni, da Mila/no, alla quale fu amputata la gamba sinistra per poterla liberare dai rottami, in tempo prima che spirasse; e la signora Giulia Mariani in Ripamonti, di 31 an ni, pure da Milano. Tutti gli altri non destano preoccupazioni. Si è sensibilmente ripreso anche Guido Calvi, l'operaio milanese di trentotto anni che nella sciagura ha perduto la madre, Ida Spotti, di 63 anni, e la figlia, Maria Francesca, di 4 anni Non sa ancora della tragica fine delle sue congiunte Guido Calvi crede che la figlia e la madre siano soltanto ferite. Oggi, ai medici e agli infermieri che gli hanno messo in trazione una gamba spezzata, ha raccontato che sul vagone sventrato lui e i suoi familiari sedevano nel penultimo sedile (era una carrozza di quelle a scompartimento unico, con corridoio centrale). Un minuto prima della sciagura egli si affacciò al finestrino per prendere una boccata d'aria e udì il rumore del treno in arrivo. Si voltò da quella parte e vide il loco- Vedere in quinta pagina altri servizi e fotografie motore avanzare su stesso binario. Sul primo momento pensò che stesse per deviare su uno scambio, ma quando vide che la distanza era ormai troppo ravvicinata e una simile manovra sarebbe stata impossibile, lanciò un grido che fece sobbalzare tutti i viaggiatori: « Ci viene addosso ». Un attimo ancora e poi il terribile schianto. Anche Romolo Gori, di 33 anni, operaio dell'Alfa Romeo, che stava andando in vacanza presso i genitori, a Livorno, racconta con brividi di raccapriccio le scene strazianti, lunghe senza fine, che si svolsero in quel groviglio d'acciaio dal momento dell'investimento fino al momento della liberazione. R Gori era seduto \nella prima parte del vagone queilo di spalle al senso di marcia. « Ho sentito il rumore del convoglio in arrivo diventare sempre più assordante — racconta —, poi un enorme schianto e con lo schianto ho visto una gran luce e tutto il resto del vagone che avevo davanti a me venirmi contro, con un confuso ammasso di facce, corpi, valige, lamiere strappate, traverse di legno spezzate. E io intanto venivo spinto in alto, compresso contro il soffitto. A spiegare tutto quello che ho visto — continua il Gori — si impiega molto tempo, ma nella realtà i! disastro è accaduto in una fra] zione di secondo, il iempo di un lampo ». Tutto l'ospedale di Voghera è dominato ancora da questi ricordi che continuano ad essere incombenti e sembrano non più cancellabili. Ma oltre al senso dell'angoscia e dello strazio fisico c'è, per fortuna, anche il ricordo d'uno slancio di solidarietà veramente ammirevole: non appena si diffuse la notizia del disastro, affluirono qui all'ospedale decine e decine di donatori di sangue: oltre che da Voghera, vennero da Pavia, da Valenza, da Torino, da Santa Margherita, da Savona. In una sala del reparto traumatologico dell'ospedale c'è, sempre al centro della più amorevole attenzione, Daniela Gritti, la piccina di due anni che nella sciagura ha perduto la sorellina, la madre, il padre, la zia, lo zio e il cugino. Si è quasi del tutto rimessa dallo <choc> e, nell'infantile incoscienza, è pronta a sorridere alle bambole e ai pupazzetti che le vengono offerti dalle suore e dai parenti delle degenti. Ma ogni tanto, come un preludio a quella che sarà la sua angoscia futura, la vocino di Daniela invoca la madre. E intorno a lei i cuori si raggelano, le voci si incrinano di tremiti. Sono già giunte a Voghera richieste da numerose località per adottare la bimba. Reme Lugli