Sette morti dilaniati nella esplosionedi una fabbrica di prodotti chimici a Orbassano

Sette morti dilaniati nella esplosionedi una fabbrica di prodotti chimici a Orbassano Salta in aria un intero stabilimento a pocHi cH ilo metri dia Torino Sette morti dilaniati nella esplosionedi una fabbrica di prodotti chimici a Orbassano La tremenda deflagrazione è avvenuta ieri mattina verso le 9 - Venti tra uomini e donne stavano lavorando nel locale, dove si manipolano polvere di alluminio e nitrati infiammabili - Alcuni sono stati proiettati a molti metri di distanza - Nove feriti gravi, tra cui il direttore della fabbrica - L'opera di soccorso ostacolata dal nubifragio (Dal nostro inviato speciale) Orbassano, 1 giugno. Uno stabilimento industriale è stato distrutto dall'esplosione delle sostanze chimiche che vi erano manipolate: delle venti persone che si trovavano in quel momento nella fabbrica, sette sono rimaste uccise, una — il direttore — è in fin di vita, otto sono all'ospedale con gravi ferite. Solo quattro, che erano più lontane dall'epicentro della deflagrazione, si sono salvate: non riescono ancora adesso a convincersi di essere incolumi. Lo stabilimento era di proprietà di tre fratelli: Pietro, Luigi e Giorgio Rossignoli. La sede centrale dell'azienda è a Milano, quella torinese in via Saluzzo 93, i laboratori erano stati costruiti nei pressi di Orbassano nell'ottobre scorso ed avevano cominciato a funzionare nel gennaio di quest'anno. Le maestranze, tra operai e impiegati, erano composte da una trentina di unità. La Rossignoli produceva materie chimiche per scopi industriali, soprattutto additivi per fonderia: una miscela di polvere di alluminio e nitrati, in capsule da 5 centimetri cubici, che le fonderie impiegano — insieme ad altri ritrovati — per ricavarne la ghisa. L'edificio, situato in frazione Gerbole, era stato costruito con i più moderni criteri: pareti solide ma elastiche,, coperture di eternit, ampi flnestroni per arieggiare i locali, netto distacco tra il deposito del materiale dai fusti di nafta, benzolo e alcole che avrebbero potuto provocare sinistri. Tutti questi accorgimenti sono stati inutili, per motivi non ancora accertati. Lo stabilimento occupava un migliaio di metri quadrati, consisteva in un grande edifìcio suddiviso in tre corsie, larga ognuna die- ci metri e separate solo da colonnine in cemento armato. Nel primo reparto si effettuavano le operazioni più delicate: miscelatura e cottura delle varie sostanze, racchiuse in sacchi. C'erano un grosso mulino, un serbatoio della nafta, i forni, altre apparecchiature. Il secondo fungeva da deposito, il terzo era diviso a sua volta in due parti: lavorazioni speciali e magazzino. L'esplosione è avvenuta alle 9,10. Il cielo era incupito da nuvoloni, che preannunciavano un violento temporale. All'improvviso, per un raggio di alcuni chilometri, i primi lampi furono sovrastati da un tremendo boato. Era paragonabile allo scoppio di una polveriera, lo udirono anche gli abitanti dei paesi limitrofi. Tutti i vetri delle case tintinnarono, molti andarono in frantumi. Ad accorgersi della gravità del sinistro furono per prime le famiglie che risiedono nella borgata, oltre — naturalmente — al personale degli uffici dello stabilimento. Attimi angosciosi, di smarrimento, di stupore, di panico.* Poco lontano c'è un altro grosso stabilimento, l'< Indesit». Ne uscirono i dirigenti, gli operai, con le squadre anti-incendio e gli addetti all'infermeria. Appena giunsero davanti alla Rossignoli, arretrarono sgomenti: l'intero edificio era un cumulo di macerie, come se fosse stato squas sato da una bomba ad alto po tenziale. Dai rottami sy levavano gemiti e invocazioni, spuntavano membra straziate. L'allarme pervenne subito ai vigili del fuoco di Torino, che si precipitarono sul posto con tutti i mezzi disponibili: due autolettighe, carri-attrezzi, autogrù, autoradio, tre autopompe, quattro macchine sulle quali avevano preso posto il comandante dell'83° Corpo, ing. Malagamba, il vicecomandante e altri ufficiali Dalla sede della Croce Rossa partirono due ambulanze, quattro ne inviò la Croce Verde. Nel frattempo, le squadre dell'* Indesit> stavano prodigandosi per soccorrere le prime vittime. Uno degli operai, schiacciato tra le macerie, stava bruciando: si cercò di salvarlo puntandogli addosso gli estintori (purtroppo, il suo ca¬ davere venne estratto carbonizzato). Un altro operaio aveva una gamba imprigionata sotto un fascio di sbarre metalliche: per salvarlo, dovettero ricorrere alla fiamma ossidrica. Il particolare che quasi tutte le vittime presentino ustioni, potrebbe far credere che allo scoppio sia seguito un incendio. Si è trattato, invece, di una paurosa vampata, che non ha appiccato il fuoco all'edificio, ma investito e bruciato gli operai. Un terzo operaio — Giulio Ginato, che è all'ospedale insieme al figlio Radames — è stato rinvenuto mentre si trascinava carponi fuori dai detriti. Non vedeva, aveva il. volto ridotto a una maschera di sangue. Al momento dello scoppio aveva perduto ogni nozione della realtà, l'istinto di conservazione lo aveva spinto ad allontanarsi alla cieca, trascinandosi sulle mani. Poco dopo l'esplosione si era scatenato un nubifragio. Vigili del fuoco, militi, infermieri, volontari iniziarono il febbrile lavoro di ricerca delle vittime. Si ignorava il numero dei morti, quello dei feriti. Il parroco di Orbassano, don Giordano, si aggirava tra le macer per scoprire i superstiti e confortarli, per individuare i morti e benedirli. Accorsero il sindaco di Orbassano, cav. Guercio, il maresciallo dei carabinieri, Maffeo, centinaia e centinaia di abitanti. Da Torino erano subito partiti il prefetto dott. Migliore, il questore dott. Caputo, il vicepresidente della Provincia avv. Guglielminetti, il comandante la Legione carabinieri, col. D'Elia, i capitani Faccio e Fazio, altri ufficiali dell'Arma con uomini e mezzi. Per la magistratura i sostituti procuratori dott. Piscopo e Fioravanti. Reparti di guardie di P.S. del battaglione mobile, agenti della Stradale, vigili urbani collaboravano alla pietosa opera. Via via che i corpi insanguinati e bruciacchiati delle vittime erano estratti, le ambulanze li portavano all'ospedale. Qualcuno di quei corpi era vivo, altri sfilavano tra fremiti di raccapriccio. La violenza dell'esplosione era stata tale da ridurre a brandelli coloro che avevano avuto la disgrazia di trovarsi nella zona più vicina allo scoppio. Membra erano state proiettate a centinaia di metri di distanza, nei prati Mani pietose le cercarono e le raccolsero per ore, fino al tardo pomeriggio. Una delle vittime, lanciata all'esterno dell'edificio attraverso uno dei finestroni, dopo un volo di quaranta metri aprì una breccia nel muro di cinta e ricadde sull'erba, irriconoscibile Se l'opera di soccorso sul teatro della sciagura è stata commovente e generosa, altrettanto lo fu quella destinata a salvare i superstiti. Orbassano è dotata di un ospedale nuovo, attrezzato, funzionale. II direttore, dott. Battagliotti, lo mobilitò al completo. Insieme al dott. Fiore, all'anestesista dott. Quarta, ai radiologi prof. Francia e dott. Boniperti si prodigò nella cura dei feriti. Da Torino accorsero il primario chirurgo prof. Teneff e quello medico prof. Mattel, del San Giovanni, per accelerare gli interventi. Erano necessarie delle trasfusioni: gli iscritti alla locale sezione dei < Donatori di sangue > affluirono in pochi minuti, più tardi la c Banca del sangue > di Torino inviò numerosi flaconi dì plasma Per sette delle vittime, purtroppo, 1 medici non potevano più far nulla. Gli sventurati erano passati dalla vita alla morte senz'accorgersene, le loro salme vennero adagiate nell'obitorio in attesa dell'identificazione. Per qualcuna fu facile, per quattro no. Il loro nome emerse a poco a poco, tra scene dolorose. Il recupero dei morti e dei feriti si protrasse dalle 9,30 alle 14. Alle 16 il medico legale prof. Portigliattì eseguiva, la triste formalità della constatazione di morte e dell'accertamento delle cause che l'avevano provocata. Dei nove feriti, uno è in imminente pericolo: il direttore dello stabilimento, Guido Ridoni di 54 anni. In gravi condizioni versa anche l'operaio Giulio Ginato di 54 anni, corso Rosselli 117, Torino. Gli altri — che presentano ustioni più o meno estese e profonde, oltre alle lesioni causate dal crollo — dovrebbero rimettersi entro un mese. Quattro dei dipendenti della Rossignoli sono rimasti illesi, a parte lo choc emotivo. Si tratta di Ines Revellino, 58 anni, abitante in frazione Gerbole di Rivalta, della trentanovenne Maddalena Maurino della stessa frazione, del trentottenne Francesco Avallo e del ventunenne Sergio Ruzza: investiti dallo spostamento d'aria, ma ai margini del punto del sinistro, si sono trovati all'aperto, storditi. Mentre all'ospedale si svolgevano le inchieste di carattere medico, tra i resti dello stabilimento aveva inizio quella — più delicata — sulle cause dell'esplosione. Il dott. Pietro Rossignoli non sapeva spiegarsi la tragedia. In un primo tempo, si era prospettata l'ipotesi che un fulmine si fosse abbattuto sull'edificio (protetto, peraltro, dal parafulmine). E' stata scartata, perché in quel momento il temporale era ancora allo stadio di minaccia. Nelle sciagure del genere, a poche ore di distanza, è impossibile dare un giudizio preciso. Ci si limita a prendere in esame le varie probabilità. In primo luogo, la natura delle sostanze chimiche impiegate nella lavorazione che erano, come abbiamo detto, alluminio in polvere — per essere più esatti, in trucioli de¬ , l a e . ¬ rivati dalla tornitura del metallo — e nitrati. Queste miscele possono essere pericolosissime, in determinate circostanze. Il dott. Rossignoli ha esa| minato varie possibilità, escludendole (non siamo certo noi in grado di confutarle, ma l'inchiesta tecnica ordinata dalla magistratura avrà modo di chiarire l'impressionante dramma). Secondo il comproprietario dell'azienda, lo scoppio non può essere stato provocato dalla nafta che ali¬ p menta i macchinari, perché le tubazioni sono collocate in alto, a circuito chiuso. Nel punto dell'esplosione — vicino al mulino — non c'erano prese di nafta. Non possono essere slate le altre sostanze infiammabili, come benzolo o alcole, perché i fusti sono in un capannone esterno, non toccato dalla deflagrazione. Nemmeno la polvere di alluminio — secondo il dott. Rossignoli — sarebbe la causa dello scoppio. Perché, per -essere fortemente pirofila, deve essere molto fine (altrimenti brucia, ma non esplode), mentre quella impiegata era Sotto forma di grossa limatura. Un corto circuito, allora? Afferma il Rossignoli che l'impianto era stato installato con garanzie di sicurezza, con cavi non allo scoperto. Abbiamo anche sentito accennare alle < correnti vaganti >, cioè all'elettricità che si forma in particolari situazioni atmosferiche, a < elettricità statica », al ristagno di gas nel locale. Ma quanto e quale ; gas avrebbe potuto invadere il reparto senza che gli operai ne avvertissero la presenza? Mistero, si brancola nel buio. Forse è più probabile che una scintilla sprigionata dal motore della macinatrice sia caduta sulla polvere di alluminio, provocando l'esplosio; ne cosiddetta < di simpatia » di tutti i sacchi del materiale. I danni ascendono a 100 milioni, coperti da assicurazione. Il ministro del Lavoro, on Bertinelli, ha incaricato il prefetto di Torino di esprimere, a nome del governo, il cordoglio alle famiglie delle vittime. Nel pomeriggio i feriti sono stati visitati anche dal vescovo coadiutore, mons. Tinivella. O^re all'inchiesta dell'autorità giudiziaria e a quella tecnica, ne è stata predisposta anche una da parte dell'Ispettorato del lavoro. Giorgio Lunt Guìdo Ridoni, direttore dello stabilimento, è grave Vigili del fuoco si prodigano all'interno dello stabilimento distrutto dallo scoppio. Elsa Tessarin doveva sposarsi oggi: nella sciagura ha perso il padre Sei vittime (da sin. in all sarin: (da sin. in basso): }: Piero Catapano, Giusto Tapparo, Domenico TesAtlantico Violet, Giulio Gallina, Antonio Oostanzo