Al processo per i delitti di Mazzarino dure parole del P.M. contro la mafia

Al processo per i delitti di Mazzarino dure parole del P.M. contro la mafia Oggi il magistrato proporrà le pene alla Corte d' Al processo per i delitti di Mazzarino dure parole del P.M. contro la mafia Il rappresentante dell'accusa ha detto: «Essa esiste e ignorarla, come taluno autorevolmente ha preferito fare, è un errore grossolano. Siamo lieti noi siciliani che il Parlamento abbia disposto una seria inchiesta» - Dura diagnosi del costume mafioso - Le responsabilità dei quattro frati e delire imputati laici a i a a l o ò o e o a e a e a a a o (Nostro servizio particolare) Messina, 22 maggio. Il processo in Corte d'Assise per i fatti di Mazzarino si avvia lentamente alla conclusione. Dopo l'interrogatorio degli imputati, la deposizione dei testimoni e dei periti, le arringhe degli avvocati di parte civile, è giunto il momento del rappresentante della pubblica accusa. Per dire tutto il P. M. dott. Salvatore Di Giacomo avrà bisogno di due giorni; ha cominciato oggi la requisitoria e la concluderà domani. Ma sono state sufficienti poche battute del suo lungo discorso, quelle iniziali, perché si comprendesse chiaramente quale obiettivo egli intende raggiungere: la condanna di padre Carmelo, di padre Agrippino e di padre Venanzio e quella, infine, dei tre contadini (Filippo Nicoletti, Girolamo Azzolina e Giuseppe Salemi) i quali, accanto ai frati, sono accusati di estorsione, di associazione a delinquere e di omicidio preterintenzionale nei confronti di quello sventurato possidente di Mazzarino, Angelo Cannada, il quale aveva tentato di resistere alle im posizioni dei ricattatori. L'unico, forse, a cavarsela, secondo il P. M. che pur non ha mancato di sottolineare certi aspetti sconcertanti del suo comportamento, potrebbe essere padre Vittorio, che resse, con la qualifica di « guardia no », il convento di Mazzarino per tre anni. In quale misura i tre monaci e i tre contadini di Mazzarino dovrebbero pagare il loro debito verso la società, l'accusatore lo spiegherà meglio domani ai giudici della Corte di Assise che da oltre due mesi ormai si stanno interessando a questa vicenda. La prospettiva, comunque, non sembra, aver preoccupato in modo eccessivo nessuno degli interessati: i tre contadini, perché forse non hanno compreso molto; padre Carmelo, padre Agrippino e par dre Venanzio perché forse sono stati preavvertiti da tempo di non cullarsi in eccessive illusioni. Questo spiega la ragione perché al termine della giornata erano, o mostravano di essere, tranquilli, quasi che tutto il discorso del P. M. fosse loro completamente estraneo. Alla sua lunga requisitoria il dott. Salvatore Di Giacomo ha voluto porre una premessa polemica e coraggiosa che, senza alcun dubbio, gli fa onore: <Il cuore — ha sentito il bisogno di'spiegare — ci piange dentro ad esaminare questa storia che procede nel fango e che ha origine nella miseria morale e materiale di un paese: ma nello stesso tempo per noi siciliani è interessante che ci sia data l'occasione di sollevare il velo su questo fango, che ci sia consentito di parlare della mafia, che ci sia consentito di dire chiaramente che questa mafia non è soltanto un argomento polemico determinato da speculazioni politiche contro la Sicilia. « La mafia esiste — ha affermato — ed ignorarla, come taluno autorevolmente ha preferito fare, è un errore grossolano. Siamo lieti, noi siciliani, che il problema sia stato finalmente affrontato dall'Assemblea regionale a Palermo e che il Parlamento abbia disposto una inchiesta: ci auguriamo, però, che questa inchiesta non si risolva in semplici operazioni di polizia, cosi com'è avvenuto all'epoca del prefetto Mori e del questore Marzano; i risultati sarebbero mediocri. E' necessario andare a fondo, tenendo presente che si deve distin¬ tiiiiitiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiri guere fra mafia e costume mafioso: è necessario tener presente che il costume mafioso è un fenomeno ben più grave e importante della mafia; i mafiosi, infatti, non sono molti, ma il costume mafioso li favorisce e li rende forti. < E' per colpa di questo costume che le parti lese preferiscono tacere anziché rivolgersi alla Giustizia, che i testimoni non si presentano a dire quello che sanno o quello che hanno veduto. Evidentemente questo costume non può essere distrutto con una operazione di polizia per quanto vasta, per quanto severa: il fenomeno è determinato da particolari condizioni ambientali ed economiche, ed è per questo che il problerrta deve essere risolto sul terreno sociale. « Per eliminare la mafia e i mafiosi non sono necessarie leggi particolari perché sono sufficienti le norme del codice penale; per eliminare, invece, il costume mafioso è necessario ben altro, sono necessarie strade, acquedotti, scuole, soprattutto scuole. Lo Stato deve intervenire per bruciare il terreno alle spalle dei mafiosi, ma può farlo soltanto con delle opere di bonifica materiale e morale che migliorino le condizioni economiche e con esse la mentalità degli uomini ». Era una premessa necessaria. Il <.costume mafioso* ha permesso che a Mazzarino, all'ombra di un convento, fossero organizzati e compiuti nel giro di tre anni sci ricatti (almeno questo è il numero accertato) per un complesso di quasi quattro milioni di lire. Ma questo « costume », questa mentalità possono rendere meno pesanti certe responsabilità f Prima di dare una risposta il dott. Salvatore Di Giacomo ha dovuto ricostruire la vicenda dettaglio per dettaglio, partendo da quello che è stato l'ultimo episodio: l'aggressione subita dal vigile urbano di Mazzarino Giovanni Stuppìa, il quale venne ferito la iera del 5 maggio 1959 perché « sapeva troppo ». Il P. M. ha ricordato come partendo da questo episodio sia stato possibile accertare che pochi mesi primo il farmacista' di Mazzarino era sta- to ricattato e aveva dovuto consegnare un milione a padre Agrippino e a padre Carmelo; che nell'inverno 1958 la vedova di Angelo Cannada aveva dovuto consegnare un milione a padre Carmelo; che nell'agosto 1958 il padre provinciale di Siraousa, padre Sebastiano, aveva dovuto dare cinquantamila lire per un ricatto subito da padre Costantino, dopoché aveva consegnato duecentomila lire per un ricatto di cui egli stesso era stato vittima; che nel 19.57 il farmacista dott. Colajanni aveva versato a padre Carme lo e a padre Agrippino un mi lione, che infine Angelo Can nada si era rifiutato di versa re una somma prcss'a poco simile a padre Carmelo prima di essere punito con la morte dai ricattatori. « E' stato soprattutto il silenzio dei frati — ha osservato il dott. Di Giacomo — che ha impedito l'intervento immediato della polizia: per- ché questo silenzio? E soprattutto perché essi hanno agito in modo da convincere le viU lime, non esclusi i loro confratelli e il loro superiore padre Sebastiano, a pagare ' la somme richieste f ». Domani il P. M. intende dare una risposta a questo interrogativo. Al processo contro i frati di Mazzarino, il P.M. ha iniziato ieri la requisitoria contro gli imputati (Telefoto)