Testimonianze di un tempo inquieto
Testimonianze di un tempo inquieto Arti «e ci artisti Testimonianze di un tempo inquieto In un'età sostenuta da un senso di certezza, di sicurezza, di durata come potè essere la seconda metà dell'Ottocento, una pittura e una grafica quali ci presenta Giuseppe Guerreschi nella sua mostra alla <Bussola> apparirebbero assurde. Ma il suo quadro vuole essere prima di tutto — lo dichiara egli stesso — una c entità dialettica, rivelatrice, pulsante >, il « risultato di un controllo e di un considerare incessanti >. Dunque una testimonianza, una tra mille, d'un tempo inquieto che non si stanca di proporre a filosofi e a narratori, a poeti, ad artisti, a registi 1 temi dell'esistenzialismo, dell'angoscia, della noia, di quella «alienazione» che l'altro giorno Eugenio Montale definiva « un vuoto che sta diventando un tutto ». Una testimonianza meditata e convinta perché Guerreschi è un pittore estremamente serio, per il quale il dipingere si trasforma cosi « in una vera e propria lotta giornaliera, sfibrante, a denti stretti ». Alla pittura, che anche quand'egli era impiegato di banca non fu per lui mai dilettantismo perché seguiva le scuole d'arte serali, giunse dopo quattro anni di studi regolari a Brera. Esordi non in Italia ma a Chicago nel 1954; espose poi a Milano, e già nel 1958 era invitato alla Biennale di Venezia. E' uomo di idee chiare e di volontà precisa. Scrive di sé: «La gioia di chi opera con mano facile mi è negata Una delle maggiori difficoltà nel realizzare il quadro sta, per me, nell'urto che l'intelligenza deve sostenere affinché la materia usata non prenda la mano, non sia cioè il quadro a dominare il pittore anziché viceversa » (corno avviene per tre quarti della pittura attuale). La sua pittura, dal punto di vista della tecnica, può far pensare a quella dei «polimaterici» per le aggiunte di sabbia e pomice all'olio e alta tempera onde ottenere ruvidi spessori. Formalmente essa denota affinità spirituali con certi espressionisti tedeschi, o simpatie — ci sembra — particolarmente per August Macke. Quanto poi la grafica di Guerreschi (acqueforti e « montaggi ») derivi spunti di accusa e di denunzia sociale, di insofferenza e rivolta morale da George Grosz, ci pare evidente. S'aggiunga, a completare una definizione, l'apporto ri: acre sarcasmo fornito dal ricordo di un Maccarl la cui bonaria, sorridente ironia si sia trasformata in cupa drammaticità. Con tutto ciò, Guerreschi resta una personalità forte e viva; e le sue tormentate immagini, chiuse nel rotto e pungente ghirigoro della linea, sono indice di una passionalità potente dominata da una lucida intelligenza di artista * * A tutt'altro panorama ci porta la « Galatea » esponendo i pastelli Lea 100 hommes del- l'americano Irving Petlin, figurativo al cento per cento (Petlin è un giovane di 28 anni, il che prova che l'astratto non è l'unico linguaggio adatto alle nuove leve artistiche), 11 quale ebbe la rivelazione di questo suo singolare motivo di uomini nudi balzanti, scattanti e lottanti in un piatto paesaggio verdegiallo, vedendo ad Arles alcuni ragazzi che tormentavano un toro in un'arena improvvisata. Ne è nata una serie di veloci, dinamici, audacissimi episodi plastici, all'apparenza tutti simili ma formalmente invece tutti diversi e fortemente individuati, che compongono una suite indiavolata quasi di fotogrammi; e giustamente nella prefazione al catalogo è notato Il taglio cinematografico di queste pittoriche sequenze. Se per esse non si può parlare di vero e proprio « realismo > (osservare la maschera fissa che sostituisce la faccia del 100 hommes), si deve però riconoscere che l'artista non allude vagamente ad uno spunto realistico, ma muove in modo diretto, senza equivoci, dal modello naturale. Un atteggiamento estetico di rara e coraggiosa lealt* mar. ber.
Persone citate: August Macke, Brera, Eugenio Montale, George Grosz, Giuseppe Guerreschi, Guerreschi, Irving Petlin, Petlin
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