Un sergente in Russia

Un sergente in Russia DOPO LA GUERRA, GII SVAGHI DEL CONGEDATO Un sergente in Russia Mario Rigoni Stcrn è quello che ha scritto II sergente nella neve un dieci anni fa, un piccolo libro che adesso si ripubblica in veste nuova, nei «Coralli» di Einaudi. La nostra letteratura memorialistica di guerra, o di prigionia, è fra le più ricche di Europa, forse è anche la più bella. Soltanto per la campagna di Russia può contare cinque, o sei libri notevoli, del Tolloy, di Nuto Revelli, del Fusco, del generale Iacobucci (Neve rossa a Seikow, ed. Sei) e questo di Rigoni Stern : rutti sono egualmente documentari, ma per i due di Revelli e di Rigoni si sente che si fa un passo avanti, nella sona dell'arte, dove l'interesse tocca altre corde e la mano è vigilata. // sergente nella neve è il memoriale di un alpino italiano che con i suoi compagni di un caposaldo sulla riva del Don deve ritirarsi per evitare l'accerchiamento dell'armata russa e in una lenta e lunga marcia riesce a scampare, ai primi del '43, quando per il nostro paese sta per cominciare un'altra storia (Revelli, ufficiale di carriera, continuerà la guerra da partigiano, Rigoni sconterà, se non mi sbaglio, una lunga prigionia). Si è detto del Sergente che è una piccola Anabasi, per di più dialettale, perche ciò che vi suona dentro è di un animo paesano, e non una epopea famosa, ma è la storia di un soldato e di altri soldati oscuri nella morsa di una immane tragedia. Bel libro, che col tempo non perde nulla della fresca forza di verità che impressionò subito il lettore. Non il libro di uno scrittore ingenuo, bravo'senza saperlo; anzi, di uno che sa che cos'è un ritmo, e quel che contano certe piccole astuzie dell'artigianato dello scrittore: avrà letto fino a quel tempo pochi libri, ma il Tolstoj dei Cosacchi l'aveva Ietto e anche qualcos'altro di più ammaliziato. Ma quel che conta è che Rigoni Stern ha scritto la sua storia avendo sentito nel profondo dell'animo l'affiatamento degli umili'. I nomi dei grandi uomini non dicono nulla a lui: né Mussolini, né Hitler, né i gencraloni. Gli dicono invece i nomi, i' visi, i gesti dei compagni, dei soldati. C'è una cosa di cui anche i lettori stranieri debbono accorgersi: quando si parla di soldati italiana, il cuore si fa allegro, e il sorriso simpatico. Siamo in un calore umano, che subito richiama altri calori umani, di famiglia, di stalla, di baita, di lavori campestri. Di tutti questi libri di guerra quello di Rigoni Stern è il solo dove non si giudichi e non s'imprechi, dove la comprensione politica sembra abolita; sottintesa com'è, esce fuori naturalmente dalla forza, dall'evidenza delle cose stesse. Anche verso i tedeschi non c'è aperta polemica. Racconta come a' caso: hanno un modo, dice, di occupare le isbe, « danno un calcio alla porta, balzano da un lato, spianano la pistola mitragliatrice e poi pian piano guardano dentro ». I nostri invece, «non fanno come i tedeschi. Aprono le porte e varcano le soglie senza sospetto ». Altri soldati, altri uomini. E lo scrittore non dice di più, sapendo di aver già detto molto. Perciò le isbe si aprono familiarmente ai nostri, e i nostri, fatti per la famiglia, son capaci di sognare come in casa loro accanto a quelle affabili bariuscie. Il Sergente è dunque la storia nuda di una marcia che non finisce più, dove l'uomo si annulla negli elementi, ombra nel vento, nella neve, nel ghiaccio, nella notte, e nella fame, nel freddo micidiali. Rigoni Stern sembra trascrivere tutto automaticamente, in una memoria che si ridesta prodigiosa, minutissima: in realtà egli accumulando annotazioni particolari che si dimenticano in gran parte tanto sono fitte, crea il senso di una inesorabile trama di pene in cui l'umanità perde i suoi contorni, salvando appena appena la consapevolezza. Un solo pensiero vivo il sergente Rigoni si porterà con sé da quell'esperienza. Una volta, entrato in un'isbà, armato, vede a tavola soldati nemici armati. Non si fanno male l'uno all'altro, non ci pensano nemmeno. Mangiano insieme. « Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini ». E gli vien da sperare: « Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innume¬ revoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere ». Un altro giorno guardando la neve intatta, l'orizzonte viola, le betulle bianche e tenere e sotto queste un gruppetto di isbe dove si lavorava a cose domestiche, gli sembra di essere fuori del tempo e del mondo: «tutto era come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora e questo sentimento gli lavora dentro. Ed ecco il ■ sergente Rigoni Stern, tornato alla sua casa di Asiago, in un impiego al catasto, scritto il suo primo libro, sta zitto un po' d'anni e poi si decide a pubblicarne un secondo. Che cosa ve l'ha spinto? Quella nostalgia, quell'ideale di una natura che non muta, che è stata e sarà cosi mille anni prima e mille dopo, e in essa forse, nella sua stabilità e durata, è la salvezza umana, a saper trovare con lei un giusto rapporto. Un sogno che non è realizzabile forse, perché la storia ci ha portati e ci porta altrove, ma non per questo è meno bello e meno forte. Il sergente congedato, quando ha potuto, è andato a caccia. Da questo svago gli è nato dentro // bosco degli urogalli (ed. Einaudi), storie, per lo più, di caccia. Lo stesso fremito umano verso le cose semplici e naturali (le bestie, i luoghi familiari, i compaesani), verso la tradizione antica e patriarcale, e Io stesso nitore di scrittura (e anche lo stesso annotare un po' troppo denso). Il ricordo della guerra è lontano, è una data ma, nei suoi poco ciarlieri e duri personaggi, è un ricordo che duole dentro ancora. Ed ecco, in uno dei più belli dei suoi racconti, Alba e Franco (storia di due cani segugi, loro vita, morte e miracoli), tornare vivo quel sentimento che « sulla terra le cose vanno come sempre », anche se accadono tante cose, «la guerra in .Corea, il ponte aereo, il Patto atlantico, le elezioni, l'invasione delle motorette, l'automazione »; sulla jerra il cielo si volge sempre allo stesso modo e i lavori dell'uomo anche, nelle varie stagioni, « proprio come mille anni fa e come tra mille anni ancora » (la frase riecheg- iMiiiiiniitiiitiiiiiiifiiiiiiiiiMiiiiiiiiiHiiiiiiiiiiii già, col medesimo stupore calmo e confortevole). Se col Sergente nella neve l'autore esprimeva, asciutta, senza lagrime, una sua delusione degli atti della vita, tragicamente folli e assurdi, nel Bosco degli urogalli accenna, al contatto della natura, una nuova ragione vitale, una dolcezza fiduciosa di riconciliazione con la vita. E qui è'l'intimo vigore del libro, senza dire delle bellezze descrittive e di certi amabili personaggi di elementare semplicità : il richiamo all'agreste Tolstoj non è imprudente. Franco Antoniceli! ■iiimiiiiiniimiiiiiiiiiuHiuiiiiMiwiiHmiiiiiu

Luoghi citati: Asiago, Corea, Europa, Russia