BANCA COMMERCIALE ITALIANA Società per Azioni - Sede in Milano - Capitale sociale L 20.000.000.000 - Versato 1. 16.490.000.000 - Riserva L 6.500.000.000 BANCA Di INTERESSE NAZIONALE Assemblea generate ordinaria dei 14 aprile 19ti2

BANCA COMMERCIALE ITALIANA Società per Azioni - Sede in Milano - Capitale sociale L 20.000.000.000 - Versato 1. 16.490.000.000 - Riserva L 6.500.000.000 BANCA Di INTERESSE NAZIONALE Assemblea generate ordinaria dei 14 aprile 19ti2 BANCA COMMERCIALE ITALIANA Società per Azioni - Sede in Milano - Capitale sociale L 20.000.000.000 - Versato 1. 16.490.000.000 - Riserva L 6.500.000.000 BANCA Di INTERESSE NAZIONALE Assemblea generate ordinaria dei 14 aprile 19ti2 Relazione del Consiglio di Amministrazione Signori Azionisti, ogni volta che ci accingiamo a redigere questo commentario, ci viene il dubbio che sia superfluo o solo incidentalmente utile: superfluo per voi, che sapete legger benissimo un bilancio e un conto profitti e perdite; e marginalmente utile per tutti gli altri — clienti e corrispondenti —, che lo scorrono per cogliere qualche informazione di prima mano sull'andamento e le prospettive di un'azienda con cui hanno, o prevedono di poter avere, rapporti d'affari. Ma il dubbio si attenua e svanisce di fronte alla perentoria constatazione che l'abusata eloquenza delle cifre resta sempre inadeguata alla realtà; e che non c'è ragione perché una < resa di conti > — quale è in effetti questo rito legale — si debba necessariamente ridurre a un mero scambio di risultanze contabili contro quietanze a discarico. Lungi da noi l'intenzione di sottovalutare bilanci e conti economici, che sono insieme somme algebriche di un'infinità di rapporti e strumenti vitali di misura e di controllo o, più semplicemente, nel poetico linguaggio dei contabili, « specchi » in cui si riflette la gestione dell'azienda. Ma — l'abbiamo già detto altre volte — la situazione al trentun dicembre è uno « spaccato > della realtà. E' un tentativo, corretto nella sua impostazio ne formale, ma assurdo nella sostanza, di fermare il tempo. La vita di un'azienda non conosce pause, e tanto meno cesure. La voce del < risconto a favore del nuovo esercizio » è il cerotto ohe maschera nel bilancio d'una banca la cica trice dell'indispensabile operazione. Ma se vogliamo vedere come l'istituto viva, e non come appare in fotografia, ecco, le misure, le dimensioni, le dìstanze, i totali e i saldi « emergenti » dalla contabilità non bastano più, anzi ci pongono jcvl'dmteptennzginsg« ue ilrN«c fcmNafiadsdi qqpngprbzamd—acqfcmbaddcinterrogativi che vogliono un Haltro linguaggio, un altro filo]gdi raziocinio Può sembrare che tutto questo si riduca alla consueta pròtesi: «vediamo in quali condi¬ cbbczioni ambientali si è svolto illCnostro lavoro ». Ma sarebbe questa una troppo drastica semplificazione, e forse anche una troppo comoda giustificazione per render più facile il nostro compito. Le condizioni generali dell'ambiente economico contano moltissimo, com'è ovvio. E costantemente noi ci sforziamo di interpretarle, sia per adeguare ad esse la nostra azione, sia per influenzarle, rettificarle, raddrizzarle, secondo i casi e nella misura delle nostre forze. Ma questo ci dice appunto che il rapporto « lavoro ambiente » è un presupposto generico di tutto il nostro operato, e che il problema va stretto più da vicino Bisogna vedere, poi che siamo una banca, in quali specifiche — e magari specialissime — circostanze di mercato ci siamo trovati a lavorare, e perché abbiamo fatto quel che abbiamo fatto per intonarci e quel mercato e per intonarlo alla nostra azione. Questa esigenza detta il metodo per soddisfarla. Invece di « prenderla alla larga » partendo dalla situazione mondiale (peripli ad alta quota compresi), per passare poi a quella europea in senso lato e in senso stretto (sottolineando ritualmente le vicende del MEC), e arrivare infine ai progressi economici realizzati nel nostro paese e ai loro riflessi sul no stro lavoro, — dobbiamo parti re proprio di qui, da casa no stra, dal nostro bilancio e dagli altri conti domestici e cercar di spiegare, a voi e a noi stessi che cosa è successo e che cosa si è fatto. Entriamo dunque nel vivo del nostro lavoro. La raccolta complessiva è aumentata nell'esercizio da 1.198 a 1.314 miliardi ossia di 116 miliardi. Se ricordiamo che ai nostri sportelli sono stati sottoscritti nell'anno più di ottanta miliardi di titoli — con carico, almeno immediato, ai conti della nostra cliente la —, il progresso può dirsi soddisfacente. Se guardiamo però alla situazione del mercato turbato da subdola o palese indisciplina, pensiamo che, qualora tutti avessero osservato i patti lealmente, la nostra parte di raccolta avrebbe potuto esser maggiore. E se guardiamo all'incremento dei nostri crediti, troviamo che avrebbe dovuto esserlo. Faremo quindi tutto quanto sta in noi perché la restauranda e restaurabile disciplina del mercato lo consenta, nell'interesse nostro beninteso, ma anche, senza egocentrismo e senza ipocrisia, nell'interesse del buon funzionamento del sistema. Che cosa è accaduto infatti nel 1961? La cosiddetta <-. liquidità » del mercato è andata progressivamente riducendosi. Mentre i depositi affidati alle banche crescevano d'un 17%, gli impieghi sono saliti quasi del 20%. Di conseguenza, il rapporto impieghi/depositi è aumentato dal 71,3 % al 73 %. In sé non sarebbero, questi, cambiamenti che ci possano impressionare, tanto più che (a) alla speciosa liquidità degli anni scorsi, noi, come sapete, non abbiamo mai c fatto credito», e che (b) la Banca d'Italia, sollecita a mantenere il grado igroscopico del sistema, ha ridotto al principio di quest'anno dal 25 al 22Vj % il plafond del deposito obbligatorio. Ma quella leggera tensione, dissipando le ultime illusioni attaccate alla vistosa e fatua « liquidità », accusandone anzi il carattere transitorio e sporadico, ha avuto sul nostro mercato un effetto «moltipli- csctsiqpaacMppddtsdsmede sceva su tutte le piazze dei due emisferi l'antico prestigio e la cordiale considerazione del nostro Istituto. » * • La collaborazione con Mediobanca ha continuato a dare buoni frutti, e in più d'un campo si è sviluppata e intensificata con profitto comune. * * * Il lavoro del Credito Fondiario Sardo, che, com'è noto, si estende praticamente a tutto il paese, è aumentato in misura tanto considerevole che si è proceduto all'aumento del capitale da 2 a 5 miliardi; e naturalmente vi abbiamo partecipato per la quota di nostra spettanza. , ♦ * * La organizzazione territoriale italiana non ha subito alterazioni degne di particolare menzione, mentre si è ulteriormente progredito nella razionalizzazione e nell'adeguata meccanizzazione dei nostri servizi. Il personale d'ogni grado, spiegando la tradizionale solerzia e un alacre attaccamento alla Banca, merita pienamente l'elogio che siamo lieti di tributargli in questa sede. a a o e , n o jcato», incoraggiando le mano¬ vre e 1 maneggi per aggirare l'Accordo Interbancario, quando non gli si mancava apertamente di rispetto. Si sono avute cosi manifestazioni di « impazienza», come le ha chiamate eufemisticamente il Gover natore della Banca d'Italia, per non dire con maggior crudezza che una valutazione inadeguata della situazione aveva indotto in certi casi a violare sistematicamente l'Accordo. Perché « valutazione inade. guata »? L'Accordo non è un « cartello > per sostenere da una parte i prezzi del credito e per deprimere dall'altra, con il blocco di un fronte unico, la remunerazione del risparmio. Non ha niente a che fare con «c pratiche monopolistiche », che fra l'altro non sembra siano compatibili con un mercato co. me quello dell'uso del denaro. Non è un tentativo di imporre al mercato un sistema di saggi fissati unilateralmente (sono ancorati al saggio ufficiale dello sconto), e nemmeno uno strumento per mantenere rigidamente aperto lo scarto tra i saggi passivi ed attivi. Da quando l'Accordo è in forza, quello scarto si è andato sempre più riducendo sotto l'azione a forbice, continua e'progressiva, di un rialzo dei saggi pagati alla raccolta e di un ribasso di quelli caricati ai debitori. L'Accordo ha un'altra funzione, di capitale importanza anche se non appariscente ai miopi, e molesta per gli ingordi: quella di restaurare la base — una base solida ed elastica ad un tempo — del mercato che vuol dire, in definitiva quella di aiutare il mercato a funzionare come tale, e cioè come il luogo d'incontro con mutua convenienza di chi ha bisogno di credito e di chi aspetta ad investire le proprie disponibilità monetarie. Quando la sua maieutica azione sia compiuta, l'Accordo sparirà. Prima dell'Accordo il merca- n Ho non era nemmeno la «giun o]già» dell'espressione corrente, ¬ che fa pensare a colpi scam blati alla luce del sole, ma un brumoso labirinto sotterraneo che richiamava alla mente la llCorte dei Miracoli. Nessuno e a e l i i , a n o o o e e e o edi ne euo l e eo o i o li di i a el mri rli o li ae dò o na i te so iodi é e no za a, oti ita si. le %, si puIn mma) gli e, ia il a, eao. ne, ni ua nzi oro li- certo si è mai illuso che bastasse stipulare un accordo per cambiar di botto le cose. Anzi, tutti siamo stati e siamo persuasi che le sottaciute prave intenzioni abbian pesato forse quanto gli espliciti buoni propositi (e segnaliamo come tale anche la coscienza che ebbero alcuni di dover «pagare qualcosa») nell'indurre a firmarlo. Ma, per lo meno, questo ha permesso di avere una serie di punti di riferimento, di moduli su cui misurare sì la condotta dei singoli, ma soprattutto il comportamento dell'insieme. Ha stabilito una linea di condotta riconoscibile anche se troppo spesso sia venuta a mancare la sanzione punitiva ed espiatoria. Riprova di questa sua tendenza a incorporarsi nelle cose e a favorirne l'assestamento: l'Accordo non ha fatto sorgere un « mercato nero », né ha li mitato la concorrenza tra le aziende; ma ne ha inflesso la punta direzionale dalla lotta internecina agli emuli sforzi per offrire al cliente, a tutti i clienti, inclusi i potenziali, il servizio migliore, più rapido e più completo. . In questa embrionale organizzazione di un mercato ha potuto affermarsi la tendenza per cui in sette anni (1954-'61) il costo medio del credito (ci basiamo naturalmente sulle nostre cifre) è calato di oltre un settimo, mentre la remunerazione alla raccolta, attraverso minori oscillazioni dovute in particolare al più accentuato incremento dei vincolati, saliva di un ventesimo. II margine tra il rendimento medio dei nostri impieghi e il costo medio della nostra raccolta si raggrinziva così ininterrottamente, registrando una contrazione di più di un quinto, che non ha lasciato traccia nel nostro conto economico, perché, parallelamente, si è andata allargando con sano vigore la mole delle operazioni. Non ha lasciato traccia sul nostro utile; ma abbiamo la ferma fiducia, anzi possiamo dire « sicurezza », che ha lasciato una forte traccia benefica sulla economia di tutto il paese. Questo minor costo del credito lo ha reso accessibile, o meno inaccessibile, a nuovi strati di imprenditori e ad attività produttive con più stretti margini di profitto: ossia, in definitiva, ha suscitato un più diffuso ricorso alle banche e assecondato un più vivo pullulare d'iniziative. Il numero delle facilitazioni da noi accordate è cresciuto, tra il 1° gennaio 1955 e jl 31 dicembre 1961, di circa il 38%. Né si è trattato di offerte rimaste in bianco, che denunziassero cioè un fenomeno di indebita « espansione creditizia». Il numero degli utilizzi ha avuto un incremento praticamente uguale, del 37,5%. Il loro importo, medio unitario è andato anch'esso all'insù, — da 7,8 milioni (1954) a 11,8 milioni a fine 1960 e a 13 milioni a fine 1961, ma rimane comunque molto modesto. Del pari, tra i depositi, è rimasto dolcemente graduato e apertissimo lo scaglionamento: solo due conti su mille superano i cento milioni. Da questo complesso di ci fre, e tenendo conto del fatto che le « grandi aziende » della nostra economia sono clienti « da sempre », nostre o della concorrenza, si arriva diritto a concludere che lo sviluppo delle nostre facilitazioni è andato a fecondare aziende medio-grosse, medie e piccole: quelle soprattutto cui l'Accordo Interbancario vuole parti¬ cnlui etaadl'rovnrlaqdaedsmsfplevAstqndasdmtczssllnpgcscqistnzfqtbqdsrletgd[ctèdhfiddmRnnAvpgptll Presieduta dal dott. Raffaele Mattioli, si è tenuta sabato 14 aprile, in Milano, l'Assemblea generale ordinaria degli Azionisti della Banca Commerciale Italiana per l'approvazione dei risultati del bilancio 1961. Il Presidente dott. Mattioli ha dato lettura della seguente r e e l a e l e , e e , r a i , l ; , o Se dalla ripartizione per re-' gioni risaliamo ora a quella nazionale per rami economici, constatiamo che i cambiamenti rispetto al 1960 non sono molti, ma significativi, soprattutto perché in genere continuano e rafforzano le tendenze che già s'erano manifestate nel 1960 rispetto al 1959: diminuiscono ulteriormente le percentuali delle facilitazioni destinate all'agricoltura, ai tessili e alla chimica (per le ragioni già dette l'anno scorso, e con lo stesso ovvio memento, valevole quest'anno più che mai, che in cifre assolute tutti i rami hanno avuto più credito che nel 1960), mentre crescono ancora quelle della edilizia e delle industrie meccanica ed estrattiva: il che, occorre appena rilevarlo, riflette con precisa fedeltà e le lente trasformazioni strutturali del nostro organismo economico e il diverso comportamento nell'anno scorso di quei grandi rami della produzione. Uno sguardo più penetrante e completo sull'andamento dei nostri crediti ci è consentito dal quadro « Movimento dei conti e velocità di rotazione degli utilizzi », che ci dà, per così dire, la terza dimensione, in profondità, in aggiunta alle altre due, per zone e per rami, del nostro lavoro. Anzi, articolato com'è anch'esso analiticamente per zone e per rami, ma inarcato a coprire tutti gli affari compresi tra i punti estremi di due « 31 dicembre », vale a darci almeno l'impressione anche della quarta dimensione, del tempo, che le « situazioni » invece fissano e trafiggono sugli spilli delle scadenze. La prima osservazione è di una crescita quasi diremmo scattante, nia non disarmonica né forzata. L'anno 1961 è stato effettivamente, di quadrimestre in quadrimestre, un anno di poderosi sviluppi in molti e decisivi settori dell'industria. Al ritmo già sostenuto dell'espansione fisiologica si è sovrapposta con brio fiducioso una serie di « punte » statistiche sempre più alte, accavallantisi e incalzanti, quasi a giustificare il motto: vires acquirit eundo. Solo verso la fine dell'anno abbiamo avvertito un principio di rallentamento di quello slancio « extraordinario », che tende ormai a confluire, rafforzandola e consolidandola, nella ininterrotta curva ascendente della vegeta crescita organica. Movimenti così rapidi e voluminosi non potevano non lasciar una nitida impronta sul giro dei nostri affari. L'accordato medio è cresciuto del 21,5 per cento e l'utilizzo medio del 26 per cento, il che vuol dire, in cifre assolute, che sono stati fatti lavorare per tutto l'anno 150 miliardi di più che nel 1960. E' ovvio che il movimento dei conti non poteva tener dietro immediatamente a un impulso tanto vigoroso e tenace: cresceva bensi di un 19% (ossia di più di mille miliardi, un massimo in cifre assolute), ma essendo cresciuto, come si è detto, del 25% l'utilizzo medio, la rotazione annua degli utilizzi ripiegava di qualcosa ■lai livello del 1960, che aveva rappresentato un record. La flessione non ci preoccupa, a) perché questo indice ha cambiato significato e portata da quando l'abbiamo costruito (1954) per misurare la minaccia della « stagnazione »; b) perché in qualche parte essa riflette anche un congruo (e cosciente) aumento dei crediti con carattere di assistenza finanziaria, salubri e sicuri, però evidentemente « rotanti » più lentamente degli altri; c) perché, come s'è detto l'anno scorso, quando dovevamo commentare un « massimo », l'essenziale è che la velocità di rotazione sia rimasta da sette anni pressoché costante — prova che il credito da noi erogato in dosi crescenti ha lavorato sempre in pieno; ma soprattutto d) perché il ripiegamento dell'indice non è certo un indizio di stagnazione: il grado medio di utilizzo delle nostre facilitazioni è salito dal 61,44 al 65,51%, e il totale del movimento dei conti ha superato largamente i seimila miliardi dello scorso anno. C'è infine da osservare che la minore velocità di rotazione è un fenomeno esteso praticamente a tutti i rami è a tutte le zone, il che riprova che non è imputabile a specifiche debolezze settoriali o locali. Le sole eccezioni, ossia aumenti di qualche rilievo, si trovano negli olii minerali, le comunicazioni e la gomma; mentre più sintomatica ci sembra l'eccezione « locale » del Mezzogiorno, dove la velocità di rotazione degli utilizzi (pari a più del 78% degli accordati!) è cresciuta, sia pure di poco, rispetto al 1960. Una conferma al quadro generale che abbiamo tracciato si ricava dal fatto che a questo più spedito movimento dei conti nel Sud hanno contribuito, esclusivamente, le zone a carattere più industriale (Napoli, Bari, Taranto, Reggio Calabria, Pescara, Catania, Siracusa), mentre quelle prevalentemente agricole si sono uniformate al trend generale. * * A questo punto ci pare opportuno tirare una sommaria conclusione, che sia insieme diagnosi, prognosi e terapia. L'economìa italiana è ancora in pieno sviluppo, e non sono apparsi sul nostro orizzonte quei limiti e quei freni (scarsezza di mano d'opera, necessità di stimoli crescenti per vincere la sazietà del consumatore, insidie inflazionistiche) che altrove minacciano di rallentare i progressi della produzione e della prosperità. Tale giudizio non ci vien dettato da un cieco ottimismo, ma anzi da un oculato pessimismo. Esso significa che la nostra società è ancora ben lungi dall'essere « affluente ». Non c'è davvero tra noi un eccesso di beni che non si arrivi a con¬ smpltcfinvSstncsipracgcpvrqndnust a à o e e . ; é l e n n n folle di nostri lavoratori all'estero, risparmiatori all'osso per incrementar le « rimesse », con capitalisti stranieri sempre più attratti a investire i loro denari in Italia, con accordi doganali sempre più frequenti e generosi e aree comunitarie in espansione, — e infine con un'atmosfera internazionale che, se non si può dire di pace, è tale però" che ogni giorno più appare impossibile, e quasi inconcepibile, un conflitto armato su grande scala. Le cifre che riassumono questo quadro sono, com'è noto, quelle della bilancia dei pagamenti. Contrariamente a quanto si sarebbe potuto credere nei primi mesi dell'anno la bilancia dei pagamenti del '61 è risultata, soprattutto per il deciso miglioramento .nel secondo semestre, molto più attiva che nel '60. In base alle cifre dell'UIC, la bilancia commerciale si è chiusa con un deficit leggermente superiore a quello del '60 ($ 931 milioni contro 893); ma si tratta di dati valutari, ossia delle somme effettivamente pagate e riscosse per merci importate ed esportate. I dati doganali dicono invece che c'è stata nel deficit commerciale una diminuzione del 3 Vi % (647 contro 670 miliardi di lire): il che sembra indicare che son cresciute nel '61 le esportazioni a credito, non pagate immediatamente, ma 11 cui ricavo impinguerà le entrate negli anni prossimi. Comunque, il forte incremento delle partite invisibili — quasi + 13 % per i noli, nonostante il perdurare della crisi; quasi + 18 % per il gettito netti) del turismo e un abbondante 4- 31 % per le rimesse, — nsieme alle partite minori, ha portato il saldo attivo delle partite correnti, ossia di ciò che si è « comprato » e « venduto », da $ 268 a $ 463 milioni, — un aumento di più del 72 per cento. Tra le poste del movimento dei capitali, sostanzialmente « prestiti » e « investimenti », fanno spicco l'aumento dei « prestiti concessi dall'estero » da $ 56 a $ 167 milioni, e quello degli « investimenti di capitali italiani » all'estero, da $ 109 a $ 198 milioni: chiaro segno dei vincoli sempre più stretti del nostro mercato con quelli d'altri paesi o, come suol dirsi, del crescente inserimento del nostro paese nella finanza mondiale. Tirate tutte le somme, la bilancia si è chiusa con un avanzo di $ 643 milioni (contro $ 522 milioni nel 1960), che in parte han compensato variazioni nelle posizioni di debito e credito dell'UIC e delle banche abilitate, e in parte maggiore hanno portato ad un aumento delle nostre disponibilità di oro e valute convertibili per ben $ 339 milioni (contro $ 127 milioni nel 1960). Tali disponibilità han cosi raggiunto a fine anno 11 livello senza precedenti di $ 3419 milioni: una bella somma, certo, ma che sarebbe sbagliato di prendere come misura della nostra capacità di contribuire allo sviluppo dei paesi arretrati. Che cosa vuol dire, infatti, quella cifra, in ultima analisi? Vuol dire che per anni da noi è uscito più di quel che è entrato, in merci e servizi, e che il di più che è uscito ci è stato regolato con rimesse di oro e accrediti in valuta. Abbiamo accumulato così un « potere d'acquisto » internazionale che senza dubbio ci sarà necessario negli anni venturi, come i risparmi son necessari al singolo nei sicuri e nei dubbiì frangenti della vita. In altre parole, potranno essere fin troppe le occasioni di spenderlo. Questo non significa, ripetiamolo anche quest'anno, che ci dobbiamo disinteressare del problema degli aiuti ai paesi sottosviluppati. Ma dobbiamo vederlo con occhio realistico e portarlo su un piano concreto di accordi ben definiti e di trattati ben articolati con questo o quel singolo paese. E soprattutto vuol dire — e ritorniamo così alla nostra critica diffidenza — che non bisogna farsi illusioni: i problemi che ancora assillano l'Italia sono tanti e tali che le risorse disponibili vanno inventariate e utilizzate secondo una ben graduata e concatenata scala di priorità. Solo in tal modo sì arriverà a far sì che la nostra capacità di produrre e di consumare cresca senza interruzione, ossia, nel linguaggio corrente, che il « miracolo » continui e diventi tanto normale e quotidiano che a nessuno venga più in mente di chiamarlo < miracolo ». La condotta opposta porta difilato alla sardonica intimazione del cimitero di Saint-Médard: «De par le Roy, défense à Dieu - De faire miracle en ce lieu ». Per parte nostra, sappiamo qual è il nostro compito. Se l'Italia deve farsi più matura e robusta, bisogna che tutti i suoi « operatori economici » (come si dice oggi con neolo gismo pseudo-americano) pos san valersi dell'appoggio delle banche. I più grossi, ripetiamo ne hanno forse meno bisogno degli altri: sanno come aiutarsi da sé e sanno anche di poter contare su di noi quando lo richiedano. I piccoli si van facendo meno piccoli, e si van no così avvicinando al momento in cui dovranno e vorran no valersi dello strumento del credito bancario. Ma tra queste due categorie estreme ere scono di numero e di importanza i medi e i medio-grossi: e questi sono clienti delle banche perché ne han bisogno, perché solo con il loro aiuto possono realizzare in pieno le loro iniziative e raggiungere le dimensioni più convenienti. A costoro noi dobbiamo prestare tutto l'aiuto possibile, anche se talora travalichi di qualcosa l'ortodossia formale e il sonnolento ossequio ad una legge sorta in diversa temperie. Tanto maggiore sarà questa necessità, nellUnteresse di tutti, quanto più la crescita del paese, riassorbite le punte, le seserlctcl o l a i o . l a o l l , i , n e o , o , o , i 0 o u . o a ti a o o : ri¬ colarmente offrire qualche garanzìa- di. un mercato ordinato, e che infatti vi trovano protezione e incoraggiamento; quelle appunto che hanno moltiplicato gli impulsi al progresso economico in questi ultimi anni, e che hanno trasformato la fisionomia di intere Provincie e mezze regioni. E' tautologico, più che ingenuo, il dire che ogni fase di sviluppo civile ha per promotori i piccoli che si fan meno piccoli e i medi che si avviano a diventar grossi. Ma è un fatto che, a guardarci intorno, risorgono dalla memoria i versicoli dell'Aleardi: « Da per tutto di scuri e di martelli - una ressa operosa - mista d'allegro favellio risuona, - senza tregua né posa », e nella coscienza si rafforza un imperativo: fa' che la tua politica del credito aiuti quegli sforzi concordi e discordi, fa' che la norma della tua azione sia di incoraggiare gli esitanti, di assistere gli audaci, di assicurare ad ogni fatica il successo che merita. Il tono può sembrare da sermone. Ma alle mete ideali non si arriva con biglietto a tariffa ridotta. E tutto quello che pretendiamo non è già di averle raggiunte, ma di esserci avviati nella giusta direzione. Alla fine dell'anno scorso le posizioni dei nostri clienti debitori erano circa sessantacinquemila, oltre il doppio del numero del 1949 (oltre il triplo del 1942). Per ogni cliente che avevamo agli inizi della ricostruzione, oggi ne abbiamo più di due. E non intendiamo fermarci a questo coefficiente. ... Ma dove sono quei clienti? Anche questo merita qualche attenzione. Nella distribuzione geografica si riflettono le stesse direttive, modificate, ossia concretate, dalle particolari situazioni ambientali e dalle tendenze evolutive in atto nelle singole regioni. Al 31 dicembre 1961 gli impieghi per cassa lire raggiungevano un buon 74 % della raccolta. (Tenuto conto del depo sito obbligatorio presso la Banca d'Italia, è evidente che la quasi totalità della raccolta era impiegata). Ma se, in complesso, abbiamo investito quasi i tre quarti della raccolta, ciò non vuol dire che la distribuzione del credito sia stata uniforme e allo stesso livello ovun que. In certe regioni la percen tuale è più alta, in altre più bassa. Ed anche il significato di questi diversi livelli è diverso da una regione all'altra: varia secondo il nostro grado d'inserimento, secondo la qualità e la mole stessa della raccolta e degli impieghi, e secondo tanti altri fattori storici e geo grafici, che vanno. dalla nostra data di insediamento alle re [azioni dell'economia regionale con quella di altre regioni, fini time e lontane. Tuttavia, non è del tutto senza interesse veder in quali regioni la pompa ha funzionato più dell'annaffiatoio, in quali abbiamo fatto da bacino montano e in quali da acquedotto. Una regione si stacca nettamente dalle altre: il Lazio. Roma è una gran collettrice naturale di fondi, ma Roma non è un centro industriale. Altro è il suo compito nella vita nazionale. E nel Lazio, pur essendosi mossi all'insù, gii impieghi hanno di poco superato un terzo della raccolta. All'estremo opposto stanno tre regioni, una grossa, l'Emilia, e due minori, le Marche e l'Umbria, in cui gli impieghi sono andati oltre la totalità della raccolta al lordo del de posito obbligatorio. Notiamo che si tratta di regioni a economia molto diversificata e con un gran numero di imprese medie e piccole, poche veramente grosse. Le abbiamo < irrorate » di credito, ossia abbiamo fatto convergere su di loro le disponibilità esube ranti di altre regioni; lo ab biamo fatto a, ragion veduta, e continueremo a farlo. Ma forse più significativo è che nel gruppo di regioni a sud di Roma, nel Mezzogiorno e nelle Isole, la percentuale impieghi-raccolta sale a più dell'80%: in altri termini, vi abbiamo largito credito per non pochi miliardi di più di quanto vi abbiamo racimola to (al netto del deposito obbligatorio), contribuendo cosi per la nostra parte allo sviluppo del Sud e, ancora una volta, date le esigue dimen sioni medie delle aziende meridionali, alla diffusione capii lare del credito. Le cifre, dunque, rivendicano in pieno la nostra funzio ne e il nostro titolo di banca d'interesse nazionale, h, ' pr contrasto, mettono m rilievo quanto di più, anche come ridistributori di disponibilità monetarie, avremmo potuto e potremmo fare se, invece di aver laggiù poche e disperse filiali, ci fosse dato d'aprire qualche nuovo sportello almeno nelle zone di più vivace e promettente sviluppo. Nella distribuzione del credito per rami in ogni singola regione, la metalmeccanica prevale in tutte le regioni del Nord, meno l'Emilia (dove la agricoltura, con le industrie dei derivati, è al primo posto) Nel Centro, l'agricoltura prevale in Umbria, la edilizia nel Lazio e negli Abruzzi, mentre nel Sud l'agricoltura è al primo posto in tutte le regioni, meno che in Campania (lieve superiorità della metalmeccanica). Se guardiamo le stesse cifre dall'altra parte, per così dire, per vedere la distribuzione per regioni del credito globale concesso a ogni grande ramo, troviamo che la Lombardia si fa la parte più grossa in tutti i rami, agricoltura compresa, meno che in quattro. Le quattro significative eccezioni sono: i trasporti (ossia l'armamento navale) che hanno il centro di gravità in Liguria; il turismo e gli enti pubblici, che vedono il grosso dei crediti loro concessi concentrato in Roma, e le opere di pub blica utilità, in Sicilia. gnctmtnznncssgetctccecoflltetqzendcdciadlmifmaadiusnesdAvs2 emissioni effettuate nel '60); minor richiesta diretta da parte dello Stato; forte sviluppo per contro delle emissioni-obbligazionarie, specie di quelle effettuate attraverso gli istituti speciali (le emissioni dirette sono scese invece da 230 a 130 miliardi) ; prima emissione per conto dell'estero (15 miliardi della Banca Mondiale) Nelle operazioni cui abbiamo partecipato abbiamo ottenuto risultati soddisfacenti, raccogliendo fino al 20 e al 25% delle sottoscrizioni ad alcune delle emissioni più importanti — IRI, Montecatini — e quote anche più alte su alcuni aumenti di capitale — Motta, Olivetti, Rinascente, Tecnomàsio Brown Boveri. * » » La rete delle nostre filiali all'estero e delle banche affiliate e associate ha lavorato nell'esercizio con risultati economici ancora migliori che nel 1960; e, insierrie al gruppo dei nostri uffici di rappresentanza e alle centinaia di banche corrispondenti, ha assicurato agli uomini d'affari del nostro Paese un appoggio costante, sicuro e proficuo. Al tempo stesso cre- i o a o o a e . a o e r ) o . a è i ¬ sumare. L'appetito — e diciamo appetito nella accezione più comune — è ben lungi dall'esser soddisfatto: è l'appetito dell'adolescente. E questo illustra e confuta, conferma e distrugge lo slogan fideistico del « miracolo italiano », « Miracles are ceas'd » vien voglia di ripetere con Shakespeare. Già l'anno scorso s'ebbe a sorridere di questa troppo sommaria raffigurazione di un processo lungo e complicato. E al tempo stesso si additarono certi fattori di interessata connivenza alla sua propagazione. Poiché il clamore non cessa — e nessuno può augurarsi che cessi il « miracolo » — vediamo di capire meglio che cosa è successo, e perché quel che è successo sia parso così straordinario da dover esser definito un « miracolo ». A nostro parere, è successo qupsto: il progresso fisiologico, normale, diremmo ineluttabile, di una nazione giunta sì ultima nel tempo, tra le europee, alla unità politica, ma portandovi tradizioni civili ed arti e nobili tecniche non inferiori a quelle delle nazioni più antiche, vede va il suo slancio frenato e ritardato da mali ereditari, dalla carenza di risorse fondamenta li e dalla stessa esuberanza demografica del paese, e poi da un ventennio di opprimenti e dispendiose avventure politi che concluse con il disastro senza precedenti di una guerra perduta e combattuta in casa propria. Ciononostante, e sia pure sot to l'usbergo di protezioni doganali e a prezzo di gravi squi libri interni, l'Italia era riusci ta a farsi una solida attrezzatura industriale che, anche se gravemente danneggiata dalla guerra, serviva di base e di schema alla ricostruzione postbellica. Cessati o attenuati i fattori negativi; ottenuti e, nel complesso, ben impiegati, i cospicui aiuti del piano Marshall (e successori); rimessa la casa in ordine, e la fabbrica in moto, il cammino poteva e doveva esser ripreso a passo accelerato. Come sempre accade, un moto propulsivo di nativo vigore traeva nuovo impulso anche da elementi in apparenza negativi; la perdita delle colonie, la svalutazione quasi integrale della moneta (che eliminava il debito pubblico), la limitazione degli armamenti. La mano oubblica, dapprima attraverso l'opera riorganizzatrice e restauratrice dell'IRI, poi con l'azione dì altri poderosi organismi, come la Cassa del Mezzogiorno, interveniva a fiancheggiare e potenziare le iniziative particolari. La Banca d'Italia, a sua volta, praticava al sistema tempestive iniezioni di liquidità che permettevano di proseguire l'opera incominciata senza arresti, senza blocchi né bruschi rallentamenti, dando anzi nuove possibilità di sviluppo a molte medie e piccole imprese. In particolare, contro un superstite e tenace ostacolo, l'arretratezza del Mezzogiorno, sì combatteva con una manovra di grossi e sostenuti investimenti, che, naturalmente, come tutti gli investimenti in zone sotto-sviluppate, procurava in una prima fase orofitti e stimoli addizionali al le zone più industrializzate. La strozzatura della siderur già era rotta con il piano Sini gaglia. Quella delle fonti di energia era incrinata con la scoperta dei giacimenti di me tano, con lo sviluppo d'una grande industria dì lavorazione del greggio, e indirettamente con la universale decadenza dell'economia del carbone Stimolati dalle tempestive « liberalizzazioni », i nostri im prenditori si sono aperti a viva forza le porte del vasto mon do, ed hanno invigorito e in turgidito le correnti d'esportazione, acquisito lavori e forniture in tutti i continenti, introdotto ovunque nuove tecniche di lavorazione. Il crescente impulso impresso alla produzio ne di beni durevoli, per ulteriori produzioni e per il consumo, conferiva allo sviluppo generale un carattere di ac centuato progresso industriale nel senso più vivo e più moderno. La trasformazione, inevitabilmente più lenta, del l'agricoltura porta pian piano allo sfruttamento più razionale del territorio nazionale, alla sostituzione di colture e di allevamenti più ricchi a quelli tradizionali, a un più intenso e proficuo scambio di prodotti con gli altri paesi. Tutto questo era possibile naturalmente, in primissimo luogo perché la qualità e la quantità del lavoro fornito dagli italiani si mantenevano molto alte, sia in assoluto sia in confronto al resto del mondo, ma anche perché — vogliamo ammettere qui una dose di prodigio? — il naturai talento e anche il genio del nostro popolo manifestavano in molti campi una ripresa, una rinascita sorprendente: e i brevetti italiani, i prodotti italiani, e sin le espressioni più discutibili del gusto e dell'arte italiana si imponevano di qua e di là dell'Oceano; e, finalmente, anche perché — la modestia non deve far velo alla verità — le nostre imprese, lavorando come sempre con l'occhio aperto sul mondo, sulle sue possibilità e sulle sue necessità, trovavano sicura comprensione e valido appoggio nelle banche, tra le quali la nostra è sempre stata all'avanguardia. Con questo non vogliamo arrogarci nessun merito pertico; lare. Non come banca, perché abbiamo fatto il nostro interesse (anche quando non a tutti era chiaro dove risiedesse) ; e non come paese, perché siamo pronti a riconoscere che il « miracolo » è stato possibile in quanto la situazione internazionale ha in molti modi risposto ai nostri stimoli e assecondato i nostri sforzi: con mercati di assorbimento prosperi e voraci, con mercati delle materie prime pletorici e cedenti, con milioni di turisti non troppo restii a spendere, con flpcplcqnfzdgeflsqmtnldctc spinte e gli sprazzi, assumerà e manterrà il carattere robustamente fisiologico che deve esserle proprio e naturale. Ma ir queste condizioni di rinnova a e gagliarda normalità, sarà tanto più necessario che le banche forniscano l'aiuto richiesto nella quantità occorrente, e alle condizioni più convenienti per il prenditore di credito. Ne vien di conseguenza, porro unum necessarium, che esse dovranno poter lavorare tranquillamente in un mercato ordinato e stabilmente disciplinato, in cui le fonti di approvvigionamento siano costanti e scorrano con sorgiva fluidità e trasparenza, invece di essere captate e deviate artatamente. Solo in un mercato siffatto il credito potrà venir offerto normalmente al minor prezzo e senza restrizioni. Sebbene, come s'è ricordato, noi abbiamo seguito questa direttiva, riducendo anche quest'anno il tasso medio dei nostri impieghi, siamo riusciti a coprire con il solo reddito della gestione del denaro tutte le spese di amministrazione, più le imposte e tasse (aumentate di quasi un miliardo, a cinque miliardi e mezzo): risultato tanto più soddisfacente in quanto i proventi delle intermediazioni e diversi son rimasti molto al di sotto di quelli del 1960, che fu un anno di effervescenza in borsa. Nel 1961 la percentuale degli utili e provvigioni di borsa sul totale delle nostre rendite si è esattamente dimezzata, ma il fatto era previsto e scontato, e si tratta del resto di un altro ammonitore « ritorno alla normalità ». Nel 1962, poi, per finanziare i piani di sviluppo che devono assicurare la continuazione e la diffusione della prosperità, avremo sicuramente e-mis sioni di considerevole volume, soprattutto obbligazionarie, che daranno una maggior animazione al nostro mercato finanziario. (E giova qui rammentare che il mercato monetario è la base di quello finanziario strumento essenziale d'ogni piano produttivo e d'ogni progresso economico). Nel 1961, in verità, il volume delle emissioni non ha superato di molto quello del 1960. I versamenti richiesti per emissioni azionarie sono stati anzi circa 531 miliardi, contro 560 l'anno prima; ma le obbligazioni offerte al pubblico, circa 430 miliardi contro 375, quelle collocate con emissioni continuative (comprese le cartelle fondiarie che hanno avuto un aumento particolarmente marcato) 585 miliardi contro 414. Il Tesoro ha raccolto solo 5 miliardi, contro 134, attraverso la conversione dei Buoni - Novennali, ma in compenso la circolazione dei BTO, che nel '60 era diminuita di 59 miliardi, è aumentata di 72 e il gettito del risparmio postale è cresciuto da 196 a 227 miliardi. Se poi si depurano le cifre, elidendo dalle emissioni azionarie le duplicazioni interne (176 miliardi) e da quelle obbligazionarie 1 riscatti anticipati e gli ammortamenti (160 miliardi circa), anche meglio risulta che gli spostamenti non sono stati considerevoli e in larga misura si son neutralizzati tra loro; e ancora più nette appaiono le caratteristiche del '61: minori aumenti di capitale (e non tutti effettuati al cento per cento: restano circa 100 miliardi di decimi da richiamare nel '62, ma nel '61 si sono richiesti 98 miliardi su Signori Azionisti, l'esercizio chiude con un utile netto di . . che vi proponiamo di ripartire come segue: assegnazione alla Riserva ordinaria . . . più: Avanzo utili esercizi precedenti » Riporto a nuovo L L. 2.374.813.536 » 950.000.000 L. 1.424.813.536 » 692.875.000 L. 731.938.536 » 26.319.353 L. 758.257.889 > 692.875.000 L. 65.382.889 Signori Azionisti, Non è trascorso ancora un mese dal giorno in cui è improvvisamente scomparso il nostro Vice Presidente, prof. ragErsilio Confalonieri. Integra figura di professionista, d'insegnante e di realizzatore — il suo nome resta legato, tra l'altro, alla costruzione degli aeroporti di Milano, — dal 1954 aveva portato al nostro Consiglio il prezioso contributo della sua esperienza e della sua ambrosiana saggezza. Dal 9 aprile 1959 era poi succeduto come Vice Presidente al compianto ing. Bernardino Nogara. Rivolgiamo alla sua memoria un pensiero di affettuoso rimpianto e di non caduca riconoscenza. Nel corso dell'esercìzio sono altresì venuti a mancare due nostri apprezzatissimi colleghiil conte cav. gr. croce dottM. Tullio Fossati Bellani e icommendator dott. ing. Giacomo Parodi. Il conte Fossati Bellani anch'egli nostro amministratore dal 1954 e membro della Commissione di Revisione del Bilancio dal 1959, era una delle personalità più spiccate nemondo dell'industria tessile italiana, e insieme un mecenate d'alta cultura e un uomo dsquisita signorilità Tutti ricordiamo il suo sorriso, il suo talento, il suo prestigio. L'ing. Parodi, nostro consigliere fin dal 1949, aveva svolto la sua feconda attività necampo armatoriale, in quello molitorio e in quello saccarifero. Autorevole esponente degruppo Piaggio, portava alle nostre riunioni un accento dsàpido realismo ligure e una attenzione scrupolosa e fattivaAnche ad essi si volge ora inostro mesto pensiero e commosso ricordo. • * * A sostituire i Consiglieri venuti a mancare nel corso dell'esercizio abbiamo chiamato signori: gr. uff. rag. Gino Baroncin gpsquale Saraceno cav. lav. dott. Antonio Ernesto Rossi le cui nomine siete invitati a voler ratificare. * * * Vogliate infine provvedere, previa determinazione della indennità loro spettante, alla nomina di tutti i componenti il Collegio Sindacale, e fra questi del suo Presidente, che cessano dalla carica per compiuto triennio. * * * L'Assemblea ha approvato la Relazione del Consiglio di Amministrazione nonché quella del Collegio Sindacale. Ha pure approvato il bilancio chiuso al 31 dicembre 1961 ed il proposto riparto degli utili, con l'aumento della riserva ordinaria a 7.450.000.000 e l'assegnazione di un dividendo del 10 % al capitale sociale. Quindi ha ratificato la nomina ad Amministratori dei signori rag. Gino Baroncini, dott. Antonio Ernesto Rossi e prof. dott. Pasquale Saraceno, già chiamati a far parte del Consiglio, per cooptazione, ih sostituzione del Vice-Presidente prof. rag. Ersilio Confalonieri e dei Consiglieri conte dott. M. Tullio Fossati Bellani e dott. ing. Giacomo Parodi. L'Assemblea ha inoltre provveduto alla nomina del Collegio Sindacale, scaduto di carica per compiuto triennio, eleggendo Sindaci i signori: prof. dott. Ettore Boncinelli, Presidente del Collegio; prof, dott. Angelo Aldrìghetti, avv. Vermondo Brugnatelli, dott. Carlo Obber, dott. Ugo Tabanelli, Sindaci effettivi: dott. Domenico Bernardi, dott. Costantino Zubbani, Sindaci supplenti. * * * Nella riunione del Consiglio di Amministrazione, tenutasi subito dopo l'Assemblea, è stato rieletto alla carica di Presidente il dott. Raffaele Mattioli ed a quella di Vice-Presidente 11 dott, ing. Giovanni Folonari.