Dopo la confessione l'assassino ritratta ma l'alibi cade al controllo degli agenti

Dopo la confessione l'assassino ritratta ma l'alibi cade al controllo degli agenti là'estrema dilessi dell'uccisore di via Beri Ho Ilei Dopo la confessione l'assassino ritratta ma l'alibi cade al controllo degli agenti I particolari dell'interrogatorio in Questura: l'astigiano ha negato per tre giorni, crolla sentendo la sorella piangere nell'ufficio accanto Firmata la confessione, più tardi si è pentito ed ha dichiarato : « La sera del delitto ero a Pinerolo con un operaio della Riv » - La polizia rintraccia l'amico che smentisce : « Non vedo il Mighetto da novembre » - Rassegnazione e timori del lucchese che continua ad accusare il complice: «Quando ci ritrovammo a Porta Nuova, mi disse che aveva ancora due proiettili nella pistola, uno era per me se avessi parlato» Ecco come è crollato e ha confessato Mario Mighetto, l'uomo di ferro della banda che ha ucciso la proprietaria dell'oreficeria di via Berthollet. Mighetto è catturato alle 5 di martedì scorso, portato in questura: incomincia il suo interrogatorio. Non sa che il complice è in mano alla polizia e ha parlato: perciò è sicuro di sé, spavaldo, arrogante. Risponde in piemontese, per mettere in difficoltà i funzionari che Io interrogano. « ATj sai niente*: è l'esasperante ritornello di tre giorni d'interrogatori. Ma gli fanno delie domande alle quali non può non dare risposte precise se vuole salvarsi: dov'era, e con chi. il giorno del delitto? Dice che era a Pinerolo e indica le persone che si trovavano con lui. La polizia va a Pinerolo, controlla: tutto falso. Le persone indicate negano di averlo visto. Passa martedì. Mercoledì Mighetto capisce che la polizia ha in mano il lucchese, e questi ha confessato. « Mi sai niente », continua a ripetere, ma ha perso sicurezza, è sempre più nervoso e inquieto, mentre il cerchio delle prove gli si stringe attorno. Passa mercoledì. Giovedì Mighetto è ancora sotto il fuoco delle domande. E' stanco, ogni tanto si passa una mano sul volto disfatto. « E' mezzogiorno, non si mangia qui? », chiede. Lo sta interrogando il commissario Bonsignore. Ci sono funzionari che trattano con il tu, altri con il lei: Bonsignore è di questi ultimi. « Senta, Mighetto, parliamo ancora un po'. Lei io sa che abbiamo tutte le prove contro, se continua abnegare arriva in tribunale senza mostrarsi pentito. Avrà tutti contro, lo sat Pensi iyivece a suo' padre, poveruomo». Per la prima volta Mighetto appare indifeso. Poi avviene qualcosa che sembra sia stata preordinata, ma è soltanto una coinciden- I za. Magda, la sorella di Mario | Mighetto, una signora di 28 ] anni, è stata convocata in que-1 stura e ora attraversa il cor-1 ridoio per raggiungere Tuffi-1 ciò del dottor Maugeri. Dall'ufficio di Bonsignore la si vede passare attraverso la porta, che ha il vetro opaco. « Guardi, di là e'è sua sorella », dice il commissario. Mighetto guarda, riconosce l'ombra della sorella, si turba, le • labbra gli tremano: « Perché tormentate anche lei? Magda non sa niente di me ». Quasi implora. « Mighetto, questo non piace nemmeno a me. Ma dob■biamo andare fino in fondo. C'£ di mezzo una donna assassinata », dice Bonsignore. Guarda per qualche minuto il . giovane astigiano che si tormenta le /•mani, sente che sta per crollare, cambiando tono dice: « Prendiamo un caffè». Fa portare anche un pacchetto di sigarette che offre al Mighetto. Fumano tutti e due senza parlare, poi si sentono i singhiozzi della sorella Magda che esce dall'ufficio di MzMtvaapssvcblaidsb(llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllltllllllllllllll Maugeri. E questo pianto spezza l'ultima resistenza di Mario Mighetto, che, restando seduto sulla sedia, abbraccia alla vita il commissario e scoppia a piangere: « Non volevamo ammazzarla. Volevamo solo prendere dell'oro. Eravamo senza soldi » Per dieci minuti ripete queste frasi tra singhiozzi convulsi, sempre abbracciato al commissario, che continua a battergli una mano sulla spalla per calmarlo. < Abbiamo avuto paura, credevamo che il commesso fosse armato. Non volevamo sparare ». In corridoio agenti e sottufficiali lo sentono piangere: quello è il bandito, l'assassino? Sono le 13. Dice Bonsignore: « Senti, ragazzo — il tu sembra più appropriato in questa circostanza — sai che sono un poliziotto e devo fare il mio dovere. Adesso bisogna scrivere quello che mi hai detto ». Si fa venire un brigadiere, che si mette alla macchina e incomincia a scrivere: « Verbale d'interrogatorio... >. Mighetto si asciuga gli occhi con il dorso della mano; per un'ora la sua confessione procede con il battere della macchina da scrivere. Poi firma. Alle 14 lo riaccompagnano in cella di sicurezza. Gli portano il pranzo, ma non mangia, fuma tutte le sigarette del pacchetto. Alle 17 è nell'ufficio del dott. Maugeri. Ritrova un po' del suo spirito battagliero e investe il commissario capo: « Ricordatevi: non ho sparato io. Ha sparato il pugliese. Io non c'entro ». Alle 20,30 lo trasferiscono alle <Nuove». In strada, mentre sta per salire sull'autofurgone, si trova davanti i giornalisti, fotografi, una piccola folla di curiosi. Dapprima smar¬ rito, subito si riprende ed è ancora il caparbio lottatore dei giorni scorsi, che si difende disperatamente: < Io non c'entro, ditelo a mio padre. Mi hanno fatto dire quello che volevano, ma io quel giorno ero a Pinerolo >. E' pentito della sua debolezza e della confessione; da que- sto momento tenterà di sostenere questa versione. L'ha gri dato anche ieri ai detenuti che dividono con lui la cella del terzo braccio delle « Nuove », L'ha ripetuta ai carcerati che ieri mattina, in cortile durante \'< ora di aria », si sono affollati attorno a lui per sapere. « E' tutto un errore — ha detto — mi hanno ingannato, facendomi dire quello che volevano. Il giorno del'delitto ero a Pinerolo.^Spero soltanto che mio padre si convinca della mia innocenza ». Probabilmente ha detto la stessa cosa al sostituto procuratore dott. Caccia che è andato a interrogarlo. K àncora una volta il suo alibi è stato controllato. Mario Mighetto sostiene di essere stato è Pinerolo il giorno del delitto, di avere incontrato al caffè Nord un amico: Aldo Scaglia, 35 anni, viale Cavalieri d'Italia 48, operaio della Riv. Ieri pomeriggio tre uomini della Squadra Mobile sono andati a Pinerolo, hanno trovato lo Scaglia. « Mighetto* -- ha risposto questi — non lo vedo da novembre. Sono sicuro" di quello che dico ». Alla rabbiosa difesa del Mighetto, contrasta ta rassegnazione di Mariano Della Maggiora, il lucchese dal volto gentile e timido. Si è piegato subito ai primi interrogatori e ha cominciato a raccontare come se volesse scaricare la coscienza, parlava in fretta quasi temesse di poter dimenticare qualcosa, di non arrivare a dire tutto. « Il giorno dopo ci siamo ritrovati tutti e tre, come sempre, vicino alla "nave" dell'atrio della stazione >. Sapevano dai giornali che avevano ucciso la donna. Erano nervosi, sembrava loro che tutti li fissassero, vedevano poliziotti dovunque. Il lucchese tre mava. « Piantala — gli ha detto il Mighetto — vuoi-- proprio che si accorgano di noi.' Guai a te se. parli. Ci -sono ancora duh pallottole-' m%TÌa pistola: una per te, l'altra per il poliziotto che viene a sapere qualcosa ». Temendo più il complice che la polizia, il Della Maggiora ha voluto andarsene da Torino. Non aveva denaro pet il viaggio. E' andato alla questura per farsi fare il foglio di via. Gli è stato dato il biglietto, ma il suo nome e quello del suo paese sono stati registrati. E il brigadiere Rizzo, quan do sei giorni dopo ha sospettato del lucchese scomparso andato chissà dove, ha trovato il suo indirizzo in un registro della polizia. Manca ancora il terzo complice, il pugliese. Si ritiene "he sia a Genova Non sarà facile trovarlo e catturarlo. Sa da' giornali che l'astigiano e il lucchese sono stati arrestati, sa di essere ricercato, di rischiare trent'anni di prigione. Trent'anni di libertà non hanno prezzo, si fa qualsiasi cosa per difenderli. Mario Mighetto, quando <>ra sergente degli alpini a Pinerolo. Mariano Della Maggiora