Gli ultimi scritti di Leone Trotskij

Gli ultimi scritti di Leone Trotskij Gli ultimi scritti di Leone Trotskij Con un folto gruppo di Scritti 1929-1936 (ed. Einaudi) il perseguitato (e poi ucciso), il dimenticato, il denigrato Trotskij — tale lo si vede ancora nel pur pregevole Lenin a cura di vari studiosi russi presentato Hi recente in Italia dagli Editori Riuniti — riappare alla ribalta in tutto il suo vigore di polemista politico concentrato senza remissione contro Stalin e la burocratizzazione staliniana. In questo periodo di revisioni (e, confidiamo, di pubblicazione di documenti, di nuovi e liberi studi) la conoscenza del pensiero di Trotskij sarà un buon acquisto per la cultura di tutti, per la chiarezza generale dei problemi del socialismo, su almeno un decennio di politica russa interna ed estera, e per la prospettiva di uno sviluppo meno torbido della lotta rivoluzionaria in molti paesi del mondo; a patto naturalmente che non si cada nell'errore opposto di confondere ogni degenerazione nella semplicistica denuncia di un unico male denominato « culto della personalità » e un unico peccatore. Il travaglio ideologico del mondo sovietico interessa tutti quanti; è utile quindi conoscere il più ampiamente possibile i termini di una pojcmica così implacabile che da poco ha rovesciato le ragioni dei contendenti. E' l'ora, postuma, di Trotskij? Non si tratta, penso, di innalzare un monumento al trotskismo, ma di rifarlo circolare con i suoi fermenti critici, disinfettanti e stimolanti. Questa raccolta di scritti trotskiani è curata e presentata da Livio Maitan e, in mancanza di un'introduzione storica che sarebbe stata necessaria, può considerarsi un utile preambolo ad essa un suo scritto del '59 Trotsky, oggi, pubblicato anche quello dall'Einaudi. Trotskij scriveva dal suo esilio (cominciato nel ':o), prima dall'isola ili Prinkipo nel mar di Alarmara e poi, osservando da vicino gli avvenimenti francesi e tedeschi, proprio dalla stessa Francia e dalla Norvegia: non si può dire certo che la vista gli facesse di fetto, anzi l'acutezza dello sguardo, l'ampiezza dell'orizzonte che riusciva ad abbracciare dimostrano che nulla gli giungeva confuso o distorto o limitato. Dovun que egli appunti quel suo sguardo, nel succedersi del tempo, sull'Urss degli anni trenta, sulla rivoluzione spagnuola del '3o-'3i, sull'avvento del nazismo, sulla Francia del Fronte popolare, c'è alla base delle sue osservazioni e dei suoi giudizi la famosa teoria della « rivoluzione permanente » che abbraccia gradatamente il mondo e la lotta rivoluzionaria, contro alla teoria del suo avversario Stalin, quella del « socialismo in un Solo paese ». Conflitto di teorie alla luce del quale senza dubbio si leggono meglio questi suoi scritti, ma che non esaurisce tutto il loro valore, anzi; giustifica un certo rigore, alimenta di continuo il corso del pensiero trotskiano, ma non è quello che può incatenare un lettore non specializzato, il quale poi, in Ita lia, di queste tesi opposte non sente discutere nemmeno più, se •non storicamente. Quello che incatena, quello che ci affascina e che ci appare utile alla comune vita politica, è altro, meno sche matico e più duraturo. In realtà Trotskij non tanto si preoccupa di discutere la solidità sdentiti ca della tesi di Stalin, quanto di gettare l'allarme per la conseguenza di essa, e cioè l'irrigidì mento burocratico. I suoi ritornelli sono : « il compito dei compiti: rigenerare il partito... ventilare e disinfettare dalla burocrazia tutti gli. organi smi » e « la via di una futura ascesa dell'economia passa intraverso un serio miglioramento, visibile e sensibile, delle condizio ni materiali degli operai e non attraverso le istruzioni burocratiche sull'aumento della produttività del lavoro»; e, assiomaticamente, « per lavorare bene la gente ha innanzi tutto bisogno di vivere umanamente e quindi di soddisfare i bisogni umani ». Anche quando il campo d'osservazione di T. è Spagna, Francia, Germania, la più evidente sua preoccupazione è la situazione interna dcll'Urss, è il « cuoco » dai « piatti pepati » (come Lenin aveva chiamato Stalin); il suo iterimi censeo è sempre quel lo, che il « sistema sovietico è consolidato al massimo grado », ma che solo il crollo dell'apparato burocratico che lo soffoca, che minaccia di incrinarlo gravemente, poteva dargli uno slancio e uno sviluppo pieno. Ma dove il nostro interesse è più vivamente eccitato è ncll'csa me di T. del profilarsi della reazione fascista, o nazista, nell'Europa di quegli anni. E' diffìcile non ammirare l'impeto, l'acume (attraversati spesso da un guizzo ironico) delle sue analisi politi che. Lo scritto sulla Francia è un'analisi formidabile e, in forza di essa, è anche uno scritto di lotta. Sono tutti del resto scritti di lotta, di uno che pensa rigorosamente, ma che a suo tempo ha pure organizzato l'Armata rossa, e conosce la guerra civile, e in fatto di decisioni, anzitutto non è un attesista, né un pacifista. Per quanto riguarda l'avvento del nazismo e l'implicito futuro della sua azione, non so quanti osservatori del tempo (salvo forse in Italia, dove l'esperienza era in corso nel corpo vivo del paese) si dimostrarono capaci di intuire cosi nettamente : « Se Hitler arriva al potere, se schiaccia poi l'avanguardia degli operai tedeschi, se polverizza c demoralizza per anni il proletariato nel suo complesso, il governo fascista sarà il solo capace di fare la guerra all'Urss. In questo caso agirà, beninteso, in collegamento con la Polonia e con la Romania, con altri Stati limitrofi e, in Estremo Oriente, con il Giappone. In una simile impresa, il governo di Hitler non sarebbe che l'organo esecutivo di tutto il capitalismo mondiale ». Trotskij ha anche una pagina sul fascismo italiano, di poco rilievo, ne ha molte sulla Francia e di gran peso; ma l'analisi ch'egli fa della piccola borghesia francese di allora e della « polvere umana » in cui essa si iiiiuiii illuni iiiiiiiiiiiiiniii iiii decomponeva e della suggestione su di essa operata dalla violenza e dalla retorica del fascismo potrebbe essere stata scritta relativamente alla storia di casa nostra. Quel fascismo ch'egli vedeva svilupparsi in Francia niente e nessuno potè esorcizzarlo; a distanza di anni è come Annibale alle porte del nostro vicino. 1 rimedi potrebbero essere gli stessi indicati allora da Trotskij. Sicché per questa parte egli può apparirci un buon profeta (cioè null'altro che uno storico avveduto e razionale, e non già un indovino), ricco, oltre che di forza critica, di eloquenza e di fervore. Ma, profeta o non profeta, ha ragione il Maitan: l'importante è di stabilire se i suoi pronostici avessero allora un obiettivo fondamento, se le analisi e i pronostici di altri fossero altrettanto fondati e, in definitiva, se le forze stimolate a difesa fossero veramente le più progressive. Franco Anfaniceli! iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiii i iiiiiiiiiiiiiiiiiii