La vedova Cannada racconta che i sicari le strapparono il marito dalle braccia

La vedova Cannada racconta che i sicari le strapparono il marito dalle braccia La dolente deposizione a Messina della donna che subì due estorsioni La vedova Cannada racconta che i sicari le strapparono il marito dalle braccia La picchiarono con il fucile per costringerla ad allentare la presa - Poi lo trascinarono fuori, lo gettarono a terra, gli spararono addosso uccidendolo - La parte sostenuta dall'ottuagenario fra Carmelo nelle trattative con i banditi - Il cav. Cannada di fronte alle minacce aveva detto : "Lasciamo fare a Dio" - E il frate: "Ci dobbiamo pensare noi, non Dio" - In questi ultimi giorni a Mazzarino la mafia ha ucciso un contadino che aveva parlato troppo, ha mozzato la mano a un altro perché dimenticasse quel che sapeva (Dal nostro inviato speciale) Messina, 2 aprile. Ancora chiusa nel lutto vedovile, nascondendo gli sguardi dietro spesse lenti azzurre, la. signora. Eleonora Cannada ha portato nel processo una dolente nota femminile, ma in forme per noi inconsuete. Nelle parole e nei gesti rivelava un'antica rassegnazione ,alla tragedia, accettata come condizione inalienabile dell'esistenza. Dopo quanto dirò, quell'atteggiamento diverrà comprensibile; queste donne siciliane vivono immerse in un clima di violenza, i loro uomini sono sempre esposti alla morte subitanea, i loro lutti possono durare anche tutta la vita. Prima che entrasse nel pretorio la signora Cannada, il difensore di un imputato laico aveva fatto alcune istanze - e per sostenerle aveva letto un impressionante elenco di furti, estorsioni, rapine, omicidi, commessi da banditi nei dintorni di Mazzarino, ora in carcere a Caltanissetta, tra cui potrebbero esserci i complici veri indicati da Filippo Nicoletti, nella aggressione ad Angelo Cannada. A Calogero Cravotta, che era testimone contro i banditi, tagliarono una mano perché tacesse; egli disse ai carabinieri che si era ferito maneggiando una bomba. Giuseppe Manetta, custode di un proprietario derubato e ricattato, fu ucciso perché aveva parlato troppo. Gli assassini gli legarono le mani diètro la schiena e gli infilarono un bastone in bocca, per firmare il delitto mafioso. Un altro testimone, Salvatore Lo Bartolo, fu ucciso a fucilate in un campo. I crimini avvennero a Maz zarino, e non sono diversi da quelli che avvengono quotidianamente nelle città e nelle campagne della Sicilia occi dentale. Le donne rimangono ai margini, la loro partecipazione alla tragedia è sempre passiva; possono soltanto piangere, chiedere vendetta, invo care giustizia. Ma sono impo tenti di fronte alla violenza che dissemine dì morte la loro esistenza. La signora Cannada ha in vocato giustizia e si è costituì ta parte civile contro tutti gli imputati su cui grava l'accusa dell'aggressione a suo marito conclusasi tragicamente. Nel soggiorno dell'albergo, in cui ha pernottato coi suoi fratelli, la signora Cannada ci ha detto una frase illuminante. Diceva che le premeva di concludere presto la sua deposizione, perché desiderava recarsi ad Acireale a trovare il figlio 10 in collegio.. « Ha poco più di undici anni, disse, ma è un ragazzo molto sveglio. Voleva ve nire anche lui a deporre come testimone, ma io mi sono opposta. Non voglio che veda gli assassini di suo padre >. Intendeva sostenere che lei non appartiene alla schiera di coloro che si fanno giustizia da soli attraverso catene di vendette senza fine. La signora Cannada appartiene ad una ricca famiglia di Licata, suo fratello è sindaco democristiano della città, un altro fratello è comandante dei vigili urbani di Agrigento, il nome dei Sapio comparve nel romanzo « Una campana per • Adano » attraverso cui, dopo la guerra, gli americani scoprirono una particolare Sicilia e, so prattutto, Licata. I Sapio sono profondamente religiosi, e ciò spiega talu ni atteggiamenti della signo ra Eleonora, andata sposa trentaseienne al sessantenne cav. Cannada, parente di magistrati fra i quali un presidente della Corte di Cassazio ne Dalle tarde nozze nacque un bambino, ora undicenne fu con la minaccia di rapire quel ragazzo'che i delinquenti fecero le estorsioni, tramite 11 vegliardo fra Carmelo. Alta, di lineamenti marcati e quasi virili, ha rivelato la condizione comune a tutte le donne siciliane, la rassegnata accettazione del fato come potevano intenderlo i tragici antichi. Non ha avuto parole di esecrazione, né ha rivelato debolezze: raccontava la sua tragedia senza un tremito e con voce ferma. Non ha rivelato nulla di nuovo; in questo processo le circostanze sono po che e si ripetono identiche fino alla noia. Le estorsioni ci sono state, i monaci vi hanno partecipato, ma per scoprire il grado della loro colpevolezza penale ci sì affida alle impressioni ed al tono con cui hanno pronunciato certe frasi, che Bono sempre le stesse. La signora Cannada ha raccontato che nell'ottobre 1957 suo marito ricevette tre lettere ricattatorie, con le quali l banditi gli chiedevano dieci milioni pena il rapimento del bimbo e Indicavano in fra Carmelo colui che avrebbe dovuto incassare la taglia. Chiamato telefonicamente, fra Carmelo accorse in casa Cannada e vi fu una lunga discussione sull'entità della cifra: Angelo Cannada diceva di poter dare solo trecentomila lire al massimo perché aveva pagato una forte tassa di'successione e non aveva più denarp; fra Carmelo osservava che la somma era troppo esigua. Uscito per sentire se i banditi accettavano l'offerta, il monaco telefonò già la mattina successiva per ottenere un altro colloquio. Angelo Cannada rimase turbato da tanta rapidità: « Così presto gli hanno risposto » osservò, come se già nutrisse qualche dubbio sul monaco intermediario. Fra Carmelo tornò nel} pomeriggio per confermare che i banditi non si contentavano e Angelo Cannada disse quella frase ormai nota: « Lasciamo fare a Dio », alla quale fra Carmelo rispose con l'altra frase: . « Ci dobbiamo pensare noi, non Dio ». Fra i grossi ricattatori si era inserito un meschino, certo Vicari, che si lasciò sorprendere mentre poneva sotto l'uscio di casa Cannada una lettera, con la quale profferiva minacce e chiedeva 700.000 lire: il Vicari fu arrestato e condannato, ed in quell'occasione Angelo Cannada denunciò anche le estorsioni più grosse, ma senza far troppo rumore, rivolgendosi ad un suo cugino procuratore della Repubblica a Caltanissetta. Non si concluse nulla, anche perché la signora Cannada si era rifiutata di chiamare in causa fra Carmelo « E' un sant'uomo — aveva detto — superiore ad ogni sospetto ». Qualche mese dopo le uccisero il marito. Dovendo affrontare la descrizione della tragedia, la signora ha detto al presidente: « Se potesse risparmiarmi il racconto, gliene sarei grata». Il presidente glielo ha risparmiato in parte, ma era costretto a rivolgerle alcune domande per scoprire se Filippo Nicoletti ha partecipato al delitto. La signora ha raccontato che, mentre abbracciava il marito per impedire ai banditi di portarlo via, uno di loro la colpì col fucile per farle abbandonare la presa. Non ha più raccontato i dettagli di quel delitto vile: < Tre mesi e due giorni dopo l'uccisione di mio marito — ha continuato la signora Cannada — ricevetti altre due lettere di estorsione. Mi chiedevano dieci milioni minacciando di rapirmi il bambino. Incaricai mio fratello Angelo di prendere contatti con fra Carmelo ed i colloqui avvennero nel convento. Mio fratello mi ha riferito che fra Carmelo lo esortò a pagare almeno quattro o cinque milioni, ma mio fratello gli rispose: Fra Carmelo, un milione, o niente. Disse poi il monaco che i banditi si contentavano di un milione da versare in due rate ». Dall'alto della gabbia, fra Carmelo dissentiva scuotendo il capo, sorrideva come ascoltasse una grossa bugia, o per nascondere il turbamento che gli aveva imporporato il viso. La signora Cannada disse ancora che il vecchio monaco non era tanto amico della famiglia, il frate che celebrava la Messa nella cappella privata dei Cannada era Angelico, ora morto: il vecchio fra Carmelo si recava da loro saltuariamente, in occasione di feste solenni. Ed anche questa è una circostanza che contrasta con le affermazioni di fra Carmelo, che si è definito il consiglie re spirituale, l'amico di sempre della famiglia Cannada Tuttavia, la signora aveva grande stima dell'ottuagenario cappuccino e durante la istruttoria si rifiutò di conse gnare le lettere ricattatorie ri-1 cevute dopo la morte del marito: < Lo feci per evitare lo scandalo — ha detto — per evitare che fossero coinvolti fra Carmelo e il convento. Di quelle lettere parlò per primo lo stesso fra Carmelo ed io lo seppi d*i maresciallo Di Stefano il quale, svolgendo le indagini, dinanzi ai miei dinieghi disse: Signora sappiamo tutto, lo vuole nascondere ancora? ». Non lo nascose e la giustizia seguì il suo faticoso cammino fino a questo processo, in cui le circostanze poggiano su parole e' impressioni, non su indizi concreti o fatti indiscutibili. Per allargare l'indagine i difensori dei monaci hanno chiesto un sopralluogo a Mazzarino per accertare se un estraneo poteva nascondere |nel convento il fucile a can¬ iiiiiiiiiiiiiiniiiiim^ o, o n i o n e ¬ ne mozze trovato senza otturatore in una cella: si poteva cogliere l'occasione del trasferimento della Corte a Mazzarino per interrogare Giovanni Stuppìa, degente all'ospedale per gravi postumi dell'attentato cui sfuggì miracolosamente, e per sentire la signorina Elena Colajanni, sorella del farmacista ricattato, troppo anziana per venire fl- cSMriprpdfdfno a Messina. La Corte ha deciso di recarsi a interrogare Giovanni Stuppìa ed Elena Colajanni a Mazzarino, ma ha respinto la richiesta di sopralluogo. Il presidente e gli interessati si recheranno a Mazzarino dopodomani, 4 aprile; domani, deporrà il dott. Angelo Sapio, fratello della signora Cannada, che trattò l'estorsione con fra Carmelo. Francesco Rosso Vestita a lutto, con spessi occhiali azzurri, la vedova Cannada ha narrato alla Corte le vicende che si conclusero con la morte di suo marito e il pagamento di un riscatto perché non le rapissero il figlio. Ha smentito le dichiarazioni di fra Carmelo (Telefoto A.P.)