«Congo vivo» e «Luce in piazza»

«Congo vivo» e «Luce in piazza» Sullo s c h e r m o «Congo vivo» e «Luce in piazza» (Lux) — Il Congo: ecco una pagina dì storia contemporanea, ancora fresca d'inchiostro, che ben meritava l'attenzione del cinematografo. Ed è un argomento di più circa la vitalità del nostro cinema, che esso sia stato il primo ad occuparsene. Teniamo presente questo merito, che scusa, in parte, quanto di affrettato e di misto si lascia trovare nel film di Giuseppe Bennati (noto documentarista e autore del pregevole «Labbra rósse»), Congo vivo, girato sui luoghi tra difficoltà che si possono facilmente immaginare Forse i era meglio lasciar fare tutto al Congo; per prudenza il regista si è invece zavorrato d'un « soggetto » che alla prova doveva riuscire anche troppo costruito. Un giornalista italiano, un po' meno improbabile dei soliti ma tuttavia sempre sommario, interpretato da un buon Ferzetti, ritorna a Léopoldville, dopo un anno di assenza, per intervistarvi .il presidente " della re-, pubblica congolese Kasavubu.' Il quale crede di fargli fare anticamera; in realtà offre al film la desiderata occasione di un primo incastro a ritroso. Roberto si rivede in quella stessa città, un anno prima, in piena rivoluzione. E' il tragico '60: immaturo alla libertà piovutagli sul capo, il popolo congolese si divide nelle sue molte razze e fazioni, precipitando in una sorta di vuoto politico che è sanguinosa anarchia. Di qua i bianchi divisi tra la paura e l'interesse, con gli argomenti e i sofismi dei colonialisti; di là i negri scatenati a vendicare un passato di oppressione e d'ingiustizia. Il pasticciaccio si delinea in tutta la sua evidenza impressionistica, senza che ne siano indagate partitamente le ragioni. Eppure i giornalisti ci sono mandati per questo. Ma il nostro è di quegli « inviati > di estrazione cinematografica che lontani dal loro direttore fanno sostanzialmente quello che vogliono. Scrivono a gocciole, e con l'aria di volersi documentare vanno incontro al romanzo. Ecco dunque sul ricordo del Congo sconvolto, affiorare e poi spiccare quello di Annette, una bella signora belga con cui Andrea ha avuto un'indimenticabile avventura in bianco. Cade anche lei nel gioco degli incastri, e la vediamo vivere quelle ore angosciose, tappata in un albergo di Léopoldville, imbottita di tranquillanti, accettante le tenerezze del compagno fino a un certo punto, un punto così risoluto che tiene del folle. Il suo antefatto? In passato era stata violata da un negro cattivo, e ora tutto quel nero ribollimento che fa capo a Lumumba la mette freudianamente sottosopra Saputo quel doloroso segreto nel corso di un episodio pieno di turbamento, Andrea ha tanto amore per lei da poterla guarire; ma intanto i fatti precipitano, la signora scompare, ritrova il marito ignaro, riprende la sua vita... Ora, passato un anno, Andrea la rivede: è lontana, sedata, tranquilla come piacerebbe al Congo di essere. Queste cose non possono però entrare nel « servizio » del giornalista; mentre potrebbe entrarvi l'episodio, assai bello, del soldatino negro ucciso durante la rivolta e fraternamente soccorso dall'italiano; il quale è in tema, dice qualcosa sulla tragedia congolese, e con un più di sviluppo sarebbe stato «soggetto» sufficiente per un film scabro e vero. Tale non è, come sì sarà capito, Congo vivo, così sovraccarico d'intreccio da spiombare nel fumetto (con un'affascinante Jean Seberg), e rimasto sostanzialmente un compromesso fra il documento e il romanzo, tra una informazione riposata dei fatti congolesi (che sarebbe stata molto utile) e la loro stravagante, coloristica rappresentazione. Questo sia detto senza pregiudizio delle molte ed eccellenti interpolazioni documentarie, dei non pochi spiragli che Bennati ha aperto sul film castigato e asciutto che forse aveva in mente. (Astori — Da un romanzo di Elizabeth Spencer, edito in Italia dalla Longanesi, Luce nella piazza («Light in the Piazza », di Guy Green) è ambientato nella Firenze tanto cara ai turisti stranieri. Una folata di tramontanino porta via il cappello-souvenir alla giovane americana Clara (Yvette Mimieux), e prontamente un garbato fiorentino (George Hamilton) glie lo riporta. Nasce così un idillio a cui s'affaccia volentieri il signor Naccarelli (Rossano Brazzi), il genitore del giovanotto, mentre la signora Johnson (Olivia de Havilland) è molto inquieta per la sua Clara, psichicamente immatura per colpa d'un cavallino che la scalciò sotto un orecchio fluand'era piccola. La signora convoca il marito a Roma per un consiglio di famiglia e quello, seccatissimo, propone che la pupa venga messa in una clinica. Nean-, che parlarne; la madre prefe risce correre il rischio del matrimonio. Il quale sembra andare a monte quando il Nac carelli padre scopre che la fu tura nuora ha ventisei anni sei, Dio bonino, più del suo Fabrizio. Ma amore travolge anche questa difficoltà, e < signora vede realizzarsi il s' sogno: la figlia all'altare. Di che è particolarmente grata all'Italia, ottima terra a maturare grulline I colori e il grande schermo danno fiato all'esile commediola che ci dà una Firenze autentica ma hollywoodianamente edulcorata, e « italiani » tutti fra virgolette. La signorilità della De Havilland e di Brazzi, lo svolazzìo dei due attori giovani, fanno il resto: cioè di rendere qua e là amena l'assurda storiella. 1* P»