Quell'accidente di gerundio

Quell'accidente di gerundio DIFBSA DELLA LINGUA Quell'accidente di gerundio Sembra facile usarlo (Vivendo, volando, che male ti fo ?) ma spesso se ne abusa - La distinzione fra troncamento ed elisione è importante, per via dell'apostrofo da mettere o da lasciare - « Uccidersi » è brutto, anche in lingua Il gerundio ricorre tanto spesso nel nostro parlare che quasi abbiamo dimenticato la sua natura d'accidente (del verbo). Né a usarlo sembra volerci più senno linguistico di quello della farfalletta della Vispa Teresa: « vivendo, volando, che male ti fo? » Pure anche questo docile servitore (e con fine • senso d'arte il Collodi battezzò Gerundio, nel suo «Minuzzolo», un giulivo vetturino) ha una dignità da difendere contro coloro che gli chiedono troppo, conservandolo anche quando si potrebbe sostituire, a scanso di monotonia, con una frase avverbiale, un participio, una proposizione. Il gerundio — da gerundi ■modus, modo di fare — denota la contemporaneità . di un'azione o d'uno stato con l'azione e con lo stato espresso dal verbo principale; cadono sotto il suo dominio il mezzo (sbagliando, s'impara), il modo (veniva avanti ridendo), il tempo (vedendolo, gli corsi incontro), una condizione (spendendo troppo, mi rovini), la causa (essendo malato, non partì). E ancora entra in alcune frasi fatte come « tempo permettendo », * generalmente parlando »; o dentro la pelle di un aggettivo: orrendo, tremendo, stupendo. Questo spiega perché il Carducci vedesse levarsi « le forche dei gerundi », e anche perché il popolo toscano dicesse una volta « dare nei gerundi » per: uscir dei gàngheri, o addirittura impazzare Modo sospensivo, nelle vecchie scuole si raccomandava di non attaccare mai un discorso col gerundio, fingendo di dimenticare 1 tanti esempì in contrario che sono nel Petrarca, nel Boccaccio e in altri padri della lingua. Ma non pareva un buon artifizio oratorio il tenere gli uditori in aria quando ancora non avevano finito di mettersi a sedere. Oggi dileggi e riguardi sono caduti: e dalla congerie dei gerundi ci salva soltanto, quando c'è, la discrezione del parlante. SI noti che gli antichi usa¬ vano del gerundio molto più di noi; ora costruendolo con in (gerundio preposizionale, promosso dall'analogo costrutto francese): «in aspettando» (Petrarca); ora facendogli fare ufficio di participio presente: « E vidi spirti per la fiamma andando » (Dante), senza darsi pensiero di possibili equivoci (« Caterina, io ti priego che tu non mi facci morire amando », Boccaccio); ora accompagnandolo col verbo Mandare in forza d'infinito: mandare dicendo, mandare cercando, mandare pregando (per: a di re, a cercare ecc.). Ma altra era la loro arte; e chi cerchi in Boccaccio Machiavelli Leopardi e altri grandi concatenatori di pensieri, trova come più gerundi disposti l'uno dopo l'altro in gradazione diano al discorso una elegante robustezza, dove generalmente fanno nei nostri l'effetto contrario. Il gerun dio che a quelle mani è un tonico, con effetti straordinari di suspense nella prima parte del periodo, alle no stre è per lo più un pigro espediente con eui liquidiamo le idee avanzateci dalla principale: gerundi di rimorchio, a non finire Ond'è che pur usandolo meno degli antichi, sembra che lo stanchiamo di più * Una delle regole che più sopportano eccezioni e quella che prescrive di non fare mai il troncamento davanti a parole comincianti da z, gn, pn, ps, s impura, x e se. Deve dunque dirsi: bello zio, grande pneumatico, buono psicologo, uno gnocco e così via. Ma sono molti che pur conoscendo la regola non l'osservano, e troncano con l'impavidità dei forti (un gnocco, bel zietto ecc.); né in alcuni ■ casi si può dare loro torto se vogliono piuttosto lasciare tre consonanti vicine (un buon specialista), incorrendo nella condanna dei pedanti, anziché seguire una pronuncia meno naturale e meno grata. Ma come riconoscere a colpo quando si tratta di tron camento e quando di elisione? E la differenza è impor¬ tante perché ne va del non mettere o mettere l'apostrofo, e il non conoscerla può dar luogo a solecismi veniali (qual'è), ma anche gravi (fin'alloraj e gravissimi (un'asino). Il grammatico Malagoli ha trovato una regoletta empirica che merita la sua gran fortuna. « Una parola scemata in fine di una vocale e uscente perciò in consonante non riceve l'apostrofo se può stare così accorciata davanti ad un'altra parola dello stesso genere che cominci per consonante: tal eroina perché si può dire tal donna; qual è perché sì può dire qual fu; buon uomo perché si può dire buon libro; ma buon'idea perché non si potrebbe dire buon donna, poveruomo perché non si potrebbe dire pover cane ». E il glorioso esempio carducciano del « pover uom tu se' », senza apostrofo? Lo scusa il dantesco < pover cielo », a sua volta scusato da necessità metrica. Del resto In prosa anche il Carducci mette a < poveruomo » la prescritta lagrimetta. * Un lettore ci rinfaccia l'uso giornalistico del riflessivo uccidersi per Morire in qualche accidente per lo più stradale, quasi che i morti per disgrazia fossero suicidi. Ha mille ragioni, tutte cantate chiare dagli stessi linguisti che vanno per i giornali. Se quello scambio non è assolutamente scusabile, si potrebbe tuttavia spiegarlo con due motivi d'ordine psicologico. Il primo è che molte di quelle disgrazie, come purtroppo si vede giornalmente, sono causate dall'imprudenza onde una punta di volontarietà (quella che concerne ap punto l'imprudenza) s'insinua in queste morti, che vengono così arbitrariamente assomi gliate a suicidi!. Il guidatore imprudente non vuol certo la propria morte, ma vuole mette in opera quanto può condurvelo. Di qui la stortura dell'c uccidersi» estesa senza ragione a tutte le vittime, anche più incolpevoli, di disgrazie mortali. L'altro motivo, un po' più tirato per 1 capelli, potrebbe essere il ribrezzo general-men te suscitato dalle nude parole significanti il passo estremo, e la conseguente corsa ai sinonimi. Lasciando dei burleschi, si veda la fortuna delle forme Decedere Decesso Spirare Mancare Scomparsa Defunto Estinto « Fu » Bonanima e tante altre con cui si evita la principale. Persino il linguaggio giuridico non ne vuo-l sapere e adopera le molle del de cuius (« Is de cuius hereditate agitur »), e l'antico volgare aveva i Spoetici Passaggio e Passare aperti a tutte le speranze. E così an che nel nostro caso, chi « sì uccide ». meno male, non muore. Umanissimo ritegno, che facendo mancare la parola propria s'illude di far mancare anche la cosa. Leo Pestelli uiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin ■■iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiii

Persone citate: Boccaccio Machiavelli Leopardi, Carducci, Leo Pestelli, Malagoli, Petrarca

Luoghi citati: Boccaccio