Si capisce meglio la personalità di Stalin osservando dei georgiani in un «night club» di Enzo Bettiza

Si capisce meglio la personalità di Stalin osservando dei georgiani in un «night club» IL PADRONE DELL'URSS NON DIMENTICO' MAI LA SUA PICCOLA PATRIA Si capisce meglio la personalità di Stalin osservando dei georgiani in un «night club» Non portano donne con sé, non fanno gruppo con i russi - Seguono lo spettacolo «.americanizzante» con sguardi sospettosi, critici e freddamente sensuali; non piegano all'alcool • Sono rimasti asiatici: come il dittatore scomparso, che guidò la Russia e il movimento comunista con lo spirito della vecchia Georgia - Era spietato nella vejidetta, quanto un capo tribù, ed amava un dispotismo personale da sultano - Non comprendeva l'occidentalismo culturale e l'idealismo rivoluzionario di un Lenin o di un Trotzki - E congelò il partito in riti e idola*ne asiatiche (Dal nostro corrispondente) Mosca, 26 febbraio. Rifuggiamo dai capricci interpretativi basati sul paradosso, sullo psicologismo di seconda mano, che cercano di semplificare in chiave qualunquistica caratteri nazionali, figure o eventi della storia. Eppure, una volta tanto, costretto dall'evidenza di quanto vedevo, mi sono lasciato andare a osservazioni epidermiche che ora annoto perché mi sembra possano a loro modo costituire un frammentario risvolto psicologico di quel complesso fenomeno storico che si chiama Stalin. Mi trovavo sere fa, con amici, al Metropol e la mia attenzione ad un certo punto si concentrò quasi esclusivamente su un tavolo, vicino al miNiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiimimmiiiiimmmiMii nostro, occupato da sei georgiani. Tutti e sei rievocavano, in' qualche tratto, il volto di Stalin giovane. Le fronti basse, con un che di animalesco nell'attaccatura dei capelli ruvidi e spinosi al cranio sfuggente, gli occhi acuminati, neri, incastonati nelle orbite con una leggera sfumatura mongoloide che velava il loro sguardo di sospettosità, i baffi che quattro di essi portavano abbondanti sotto lo stesso naso carnoso che avevo visto sulla mummia di Stalin il giorno prima che la espellessero dal mausoleo, richiamavano immediatamente alla memoria l'immagine del tiranno. sconsacrato. Era sabato sera, eravamo nel ristorante più animato di iii m iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiHiiiiiiiiii Mosca, munito di un'orchestrina jazz, di una pista da ballo e di una giovane cantante bionda che pareva una controfigura campagnuola di Brigitte Bardot. Tutti i russi presenti erano in compagnia femminile; i sei georgiani, conservando anche a Mosca l'abitudine orientale di riunirai in pubblico tra uomini soli, sedevano senza donne. In questo scontroso misoginismo mi ricordarono certi oriundi siciliani, d'aspetto mafioso, intravvìsti in qualche locale di New York dove se ne stavano in disparte, cupi, lucidi e in fondo ostili all'ambiente che era molto più allegro è più infantile di loro. Ostilità, lucidità, cupezza ritrovavo ora sul tavolo dei georgiani sepolto da mon¬ iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin iiii tagne di bottiglie di birra, mentre sui tavoli russi si accumulavano vino e vodka. I georgiani si parlavano in una lingua aspra e tronca, indecifrabile, mentre i russi si abbandonavano con ebbrezza a quella loro oratoria liquida e invertebrata. Neppure la cantante, che attirava i sorrisi e gli applausi dei russi, commuoveva in apparenza i compaesani di Stalin: di tanto in tanto, con uno sguardo oggettivo, sfioravano lentamente il suo corpo dalla capigliatura bionda alla punta delle scarpette di raso, come se ne valutassero il prezzo su un bazar di schiave. Ogni volta che cercavo di osservarli di sottecchi, prevenivano, quasi medianica-' mente, la mia occhiata e la iiitiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiHiiiiiimiiim inumi ? o e o i o a k e è r o a i ) r - bloccavano con un lampo concentrico di dodici occhietti diffidenti e inquisitori. Manifestavano eguale diffidenza quando il cameriere gli portava su un immenso vassoio una nuova sfornata di birre: prima di versare il liquido nei bicchieri, annusavano velocemente, come gatti, il collo delle bottiglie quasi a sincerarsi che non contenessero del veleno. Meccanicamente mi vennero a mente certe proverbiali sospettosità di Stalin e certe domande allusive, mafiose, che Stalin, come ci raccontò Kruscev all'ultimo congresso, poneva a bruciapelo a qualcuno dei suoi terrorizzati collaboratori (ed era sempre un segno di malaugurio per l'interpellato): « Il tuo_ sguardo non mi piace oggi; perché, colombelle, oggi non mi guardi negli occhi f ». Un'altra caratteristica di Stalin era la tersa lucidità che lui riusciva a conservare in certi pantagruelici banchetti al Cremlino, in cui, tranne Molotov, gli altri membri russi del Politburò perdevano a volte l'autocontrollo. Una volta, a uno di quei festini, dopo che la vodka era corsa a litri, Stalin si rivolse ad un comunista occidentale e gli disse, indicando con infinita commiserazione alcuni dei mas'simi dirigenti dell'Unione Sovietica: « Ma guardi un po' lei con che razza di gente ho da fare! ». Non potei fare a meno di pensare a quella esclamazione nel momento in cui, al Metropol. vidi i sei georgiani buttare un'occhiata sprezzante, su un gruppo di russi che, trangugiati a garganella alcuni bicchieri di vodka, li scagliarono poi con un gesto romantico contro U pavimento mandandoli in frantumi. Visto dall'angolatura della psicologia nazionale, lo stalinismo ci appare tra l'altro come un tiro orientale giocato da un ex-seminarisia di Gori, che lesse il Capitale di Marx appena verso la fine della sua vita, agli artefici russi dello Stato sovietico, imbevuti di occidentalismo e di idealismo rivoluzionario. Al contrario di Lenin, di Trotzki e degli altri, Stalin non si sentì né si considerò mai un europeo. Gli erano più consanguinei i riti ancestrali dell'Asia che il razionalismo dell'Europa. Quando nell'aprile 19lil Matsuoka, dopo aver firmato il patto di non aggressione con la Russia, volle esprimere la speranza che il trattato sarebbe stato rispettato facendo capire che, in caso contrario, all'uso giapponese, avrebbe dovuto sventrarsi con il karakiri, il georgiano replicò: <La capisco benissimo, siamo entrambi asiatici ». Stalin cominciò a sbeffeggiare apertamente il marxismo, mescolandolo a elementi magici, dal momento in cui imbalsamò Lenin contro le proteste d'orrore dei vecchi bolscevichi, che nell'erezione del mausoleo sulla Piazza . Rossa vedevano un insulto allo spirito laico, europeo, del pensiero socialista. Un nipote di Stalin, Budu Svanidze, ha raccontato come % totem rituali dell'antica Georgia esercitassero un fascino potente sullo zio maturo. Più che nel materialismo storico, che lui congelò in un paio di formuZerW> é&le&astiche, Stalin credeva nella legge dei khevsuri, la tribù che impresse nei feudali costumi georgiani il rito ''ella vendetta ut sangue. Una volta (narra Svanidze) disse: < Noi georgiani abbiamo il nostro codice dell'occhio per occhio, del dente per dente, della vita per la vita, nella legge dei khevsuri, che c'impone l'obbligo di vendicarci. Rivoluzionari o no, compagni o no, la legge ci vincola sempre. Nessun georgiano dimenticherà mai un'offesa 11 ! iM ii 11 ii 11 H M111111 < imim11 < h hi ii 11111M li fatta a lui, alla sua famiglia t> ai suoi antenati. Mai!>. Questo € mai! » vendicativo e tribale è stato portato alle più mostruose conse- ' guenze nella liquidazione del bolscevismo occidentale, rappresentato daK'élite che fece, la rivoluzione. I vecchi capi rivoluzionari russi pagarono con la vita l'offesa che avevano fatto a Stalin, disprezzandolo. La t georgizzazione » della rivoluzione russa, l'ecatombe cannibalesca dei suoi artefici, coincisero storicamente con ia teoria del < socialismo -in un solo paese », con un socialismo cioè egocentrico, misoneistico, primitivo, reciso dalle sue radici europee e internazionalistiche. E con un partito asiatizzato, che non ricordava più nulla quello della rivoluzione, che accoglieva in sé antiche magie, superstizioni, detriti di mitologie orientali e della stessa Chiesa greco-ortodossa, Stalin compì paradossalmente l'occidentalizzazione industriale della Russia. Mi sembrava di cogliere meglio, fisicamente, l'antagonismo psicologico dal cui attrito è sorto lo stalinismo, osservando i russi e i georgiani del Metropol, e comparandoli nelle grandi a--piccole diversità. I primi apparivano bambini entusiasti, estroversi, prevedibili, in ogni loro scatto impulsivo. I secondi invece apparivano tanto più diversi e più isolati in un locale che, non mancando di qualche tocco di liberalismo occidentalizzante, è alla sua maniera una espressione del nuovo corso russo, krusceviano. La cantante che somigliava alla Bardot e cantava « Volare » di Modugno, certe coppie che danzavano con una sensualità estranea al rigorismo staliniano, l'orchestrina jazz che arrischiava scatenamenti di tromba e batteria alla americana, costituivano intorno ai sei sosia di Stalin un'atmosferica cortina di ferro. Ogni tanto si sussurravano qualcosa e si sarebbe detto che brontolassero indignati: < Alla sua epoca, queste follie non accadevano ! » Enzo Bettiza