Di ciò che accade alla Regina gli inglesi non si interessano più

Di ciò che accade alla Regina gli inglesi non si interessano più IN POCHI ANNI LTE COSE SONO MUTATE AL DI LA' DELLA MANICA Di ciò che accade alla Regina gli inglesi non si interessano più Anche le discussioni in Parlamento, spesso elegantissime e sfumate di umorismo, cadono nell'apatia generale - II. benessere è diffuso in ogni ceto. ma. gli scioperi aumentano - I sindacalisti dicono : « Non c'importa nulla delle esportazioni, ci importa solo il livello dei salari » - Si parla di « decadenza» fìsica e morale del Paese - In realtà gli inglesi dimostrano di essere un popolo schietto, che non nasconde i suoi mali ma vuole superarli (Dal nostro inviato speciale) Londra, febbraio. Il palazzo di San Giacomo è, con la Torre di Londra e Buckingham Palace, una delle residenze reali in cui viene offerto ai londinesi lo spettacolo quotidiano del cambio della guardia. Ho un ricordo vivo di queste ceri¬ monie del 19S7, quando capannelli di persone assistevano compiaciute alle evoluzioni delle giubbe rosse. Sono passato nuovamente nelle stesse ore davaidi alle yorte del palazzo: era presente un solo spettatore, il sottoscritto. E' questo il primo sintomo del pallido interesse provato oggi dagli inglesi per la loro monarchia. Fino a qualche, anno addietro spettava alla Regina il primo posto nei settimanali, nelle tramissioni radio e nella pubblicità. Reliquia vivente, lampada accesa in un tempio venerato: pura, solenne, cristiana, laboriosa, infallibile; esaltata come figlia esemplare, come sposa e madre virtuosissima. Adesso la dinastia reale sembra vivere ai margini della società inglese, e le notizie che la riguardano hanno pochissimo corso fra i sudditi. Solo gli ultimi casi familiari della principessa Margaret hanno risvegliato per un attimo-l'attenzione del pubblico: ma esclusivamente per sollevare critiche, spesso assai aspre e mai più udite da quando il Duca di Windsor dovè lasciare il suo trono. Il palazzo di San Giacomo non è lontano da quello del Parlamento. Un giornalista francese ha notato eh Big Ben, il grande orologio dei Comuni, s'è fermato soltanto quattro volte in quindici anni, per piccoli guasti, subito riparati. Ed in realtà la Camera della Gran Bretagna è stata fino nei minimi dettagli all'altezza delle sue tradizioni: bella palestra di operosità e competenza ben educate, dal cui vaglio sono passate tutte le recenti riforme del Paese. Col tempo il suo valore è probabilmente cresciuto, ed anche se non risuona più in quest'aula la oratoria eloquente di un Churchill o di un Bevan, ne è rimasto identico il tono: una concretezza elegante che sfuma nelle arguzie dell'umorismo. <E' al corrente il Primo Ministro che la sua politica ci porta tutti alla rovinai ». « No, non sono al corrente, purtroppo ». Oggi però qualsiasi discussione e quasi ogni decisione di questa assemblea sembra annegare tra la gente in una palude d'apatia: lo sanno bene i giornali, che hanno relegato in un angolo le cronache parlamentari. Amministrazione e governo. Nessun londinese vi esprimerà mai la soddisfazione di vivere nel Paese più ricco e più libero tra le grandi Nazioni europee, con una diffusione del benessere e delle presidenze sociali che non ha forse l'uguale al mondo. Il termine € miracolo inglese » non è stato ancora coniato, anche se i segni di una abbondanza straripante sono sotto gli occhi di tutti: automobili più che raddoppiate, elettrodomestici triplicati e televisori decuplicati in meno di dieci anni; necessità di fissare in' anticipo i posti a teatro o al ristorante, o di prendere un appuntamento col meccanico quando si deve riparare la macchina. Sentirete parlare, invece, delle sei crisi economiche di questo dopoguerra, crisi in realtà modeste e tutte rientrate in pochi mesi; o del calo costante delle esportazioni britanniche sui mercati mondiali, passate dal 20 al 15 per cento dal '54 ad oggi: senza però aggiungere che la Gran Bretagna esporta ora il S4 per cento di ciò che fabbrica, mentre nel 1938, con una produzione assai minore, vendeva all'estero soltanto il 19 per cento dei suoi prodotti. Queste, si dirà, sono preoccupazioni delle classi alte, del ceto dirigente, ed infatti llliiilllllllllliiliililiillillllllllllllllillllillllllllll fra le file del proletariato ben pochi gettano un'occhiata sui corsi della bilancia commerciale. L'opinione più diffusa fra i lavoratori può venir riassunta nella frase di un vecchio sindacalista: < Non ci importa nulla del livello internazionale degli scambi, ci importa soltanto il livello dei salari». Tesi discutibile, se non censurabile, che il costante accrescimento dei guadagni popolari dovrebbe almeno confortare: nell'ultimo anno, ad esempio, salariati e stipendiati sono riusciti a dividersi i due terzi dell'aumento nazionale del reddito, 1800 miliardi di lire su 2700. L'operaio ormai va a scioperare in macchina, il minatore passa le sue vacanze in Riviera, mentre la comprensione, più che rispettosa, di ogni esigenza dei dipendenti è regola costante di qualsiasi fabbrica e di qualsiasi ufficio. Ma il mondo del lavoro inglese non sembra certo un ambiente appagato. Gli scioperi succedono agli scioperi, a getto continuo, molti non autorizzati e spesso addirittura avversati dalle Trade Unions, altri addirittura incomprensibili, come quello che senza un vero motivo ha bloccato il porto di' Londra per un mese. L'animosità e la durezza di simili lotte non ha probabilmente riscontro fuori di quest'isola. Quando, qualche tempo addietro, i postini iniziarono un'agitazione in tutto il Paese, lo stesso ministro delle Poste dovè lamentarsi in Parlamento di non ricevere la posta. Contraddizioni e paradossi si riscontrano ovunque. La Gran Bretagna è il solo Paese europeo che possieda scorte rispettabili di proprie armi nucleari, ma invece di rallegrarsi per la più sicura protezione della loro indipendenza, molti inglesi amano ripetere una frase scritta da poco: <Questa piccola isola sovrappopolata, in perenne stato di assedio »; mentre altri, nessuno dei quali è comunista, protestano perché la nazione butta via soldi in mezzi di distruzione, a loro avviso per lo meno inutili. Lo stesso accade nei confronti del vecchio impero, dissolto o trasformato da una serie di misure sapienti che hanno tolto all'Inghilterra pesi e guai. Ebbene, troverete di continuo chi lamenta che la Gran Bretagna non è più, neppure nel Commonwealth, la nazione guida, o chi, al contrario, accusa il governo di voler perpetuare un anacronistico colonialismo negli ultimi lembi africani. Di tali turbamenti testimonia una cifra, davvero insospettabile, quella degli emigranti, centotrentamila all'anno, che abbandonano una nazione prospera, civilissima, sicura, per cercare altrove un'incerta fortuna. Un'altra cifra da meditare: quella dei suicidi, oltre cinquemila ogni dodici mesi, in netto contrasto con la salute fisica e morale della popolazione, sicuramente irrobustita dall'anteguerra ad oggi. Ed un episodio di qualche settimana fa prova come anche i sentimenti religiosi, mai venuti meno e mai scalfiti, grazie alle tradizioni della chiesa anglicana, sempre comprensiva e amorevolmente vicina ai successivi stati d'animo dei llllllllllllllllliiilllliiilililiilllillllllllllilililillll fedeli, subiscano adesso ripensamenti singolari. Alludiamo a un dibattito televisivo fra il reverendo Frederick Goggan, arcivescovo di York, seconda dignità della Church of England, e un tale Adamo Fede, canzonettista di grido (è dà sottolineare intanto la particolarità del colloquio: come se da noi, davanti ai teleschermi, un porporato di Curia discutesse con un'urlatrice i misteri dell'anima) in cui il cantante ha detto a un certo punto: c Oggi la gente non comprende più le parole di migliaia di anni fa, comprende soltanto il linguaggio delle canzonette ». Un sondaggio fra i dieci milioni di spettatori presenti al dibattito ha provato che la grande maggioranza dava ragione al divo e torto al vescovo. Gli inglesi amano interrogarsi con continui esami di coscienza e le perplessità collettive hanno trovato pertanto molti interpreti. C'è stato innanzi tutto l'urlo famoso e veramente dannato di John Osborne, capofila degli scrittori arrabbiati: Inghilterra maledetta, compatrioti miei, io vi odio: non c'è assolutamente nulla che non darei in cambio del vostro sangue ». Un altro Osborne, sir Cirillo, deputato conservatore, ha esclamato ai Comuni: < Oggi il Paese è fisicamente, mentalmente e moralmente rammollito ». Con un linguaggio più responsabile lo stesso Macmillan ha ammesso a sua volta: « Se non vogliamo sparire dalle grandi correnti della vita mondiale dobbiamo cambiare radicalmente i nostri metodi ». Citeremo in/Ine una vignetta del Punch, dove una vece.una chiede a suo marito: < Dato che stiamo decadendo, non potremmo divertirci un po' di piùt ». Dovremmo prendere sul serio queste espressioni sconsolate, quando i fatti ne provano, concordemente, l'infondatezza t La verità è semplicemente questa: un popolo schietto, vitale, che ama accentuare i suoi disagi invece di seppellirli nel silenzio, deve oggi affrontare un compito impreveduto. Quello cioè di fondere una realtà sociale diversa dal passato, e in anticipo, forse, di venVanni, su altre nazioni, con strutture antiche di secoli, eredità del lontano Medioevo. Il compito non è facile: frizioni e squilibri si manifestano in ogni campo. In realtà nella vecchia botte inglese bolle e frigge un vino nuovo, e trovargli una via dì travaso e di sfogo è ormai il problema più urgente della Gran Bretagna. Paolo Pavolini

Persone citate: Adamo Fede, Church, Churchill, Curia, Frederick Goggan, John Osborne, Macmillan, Paolo Pavolini, Punch, Windsor

Luoghi citati: Gran Bretagna, Inghilterra, Londra