Assoluzione piena al capitano di Rivoli accusato di spendere troppo per il reparto

Assoluzione piena al capitano di Rivoli accusato di spendere troppo per il reparto La sentenza del Tribunale di Cuneo dopo due ore di riunione Assoluzione piena al capitano di Rivoli accusato di spendere troppo per il reparto II P. M. aveva chiesto la condanna a 2 anni e 6 mesi - Prosciolto anche il commerciante di Boves imputato di truffa e falso - Alla lettura del verdetto, l'ufficiale è scoppiato in lacrime (Dal nostro corrispondente) Cuneo, 17 febbraio. Assoluzione con la formula più ampia da tutte le imputazioni: questa la sentenza che il Tribunale di Cuneo (pres. Baretti; giudici Nicosia e Secco; P. M. Santucci, cane. Giraudo) ha pronunciato stasera nei confronti del capitano in Spe Armando Richelmi di 44 anni, residente a Rivoli in via Alpignano 31, già comandante — dal settembre 1958 al marzo 1960 — del distaccamento di Boves del I Reggimento Artiglieria da montagna Gruppo Aosta. L'ufficiale era imputato di peculato militare, malversazione in danno di militari, truffa, falso ideologico in atto pubblico e falsità materiale in scrittura privata. I giudici, modificata la rubrica del reato di truffa comune in quello di truffa militare, l'hanno assolto dalle imputazioni di peculato, malversazione e falso ideologico perché il fatto non costituisce reato e dalle accuse di truffa militare e falso in scrittura privata perché' il fatto non sussiste. Per riflesso, sono cadute anche le imputazioni a carico del commerciante Raimondo Cavallera, di Boves, prosciolto anch'egli dai reati di truffa e falso, perché il fatto non sussiste. Stamane il Tribunale ha sentito gli ultimi due testi, il ten. Botto, già vice-comandante della batteria, e il sergente maggiore Mancino, sottufficiale di contabilità nello stesso distaccamento, i quali erano stati finora impegnati nelle esercitazioni invernali. Il ten. Botto è stato interrogato sulla lunga lista di mobili e altre suppellettili che il capitano Richelmi sostiene di aver acquistato, in gran parte con danaro suo, per arredare il Circolo Ufficiali. In apertura di udienza, infatti. la difesa aveva presentato tre specchietti illustrativi, a quanto pare compilati di pugno dell'imputato, il quale — in questi sette giorni — avrebbe fruito di una pausa di tale lucidità nel suo stato mentale da consentirgli di ricostruire voci e cifre relative alle proprie disordinate operazioni contabili ed amministrative. Il teste si è rammentato di aver visto tutti gli oggetti, via via indicatigli dal Presidente, nei locali del Circolo Ufficiali: è stato però più elusivo quando gli è stato chiesto se non avesse in seguito notato taluni di quegli oggetti nell'alloggio del comandante. In forza al distaccamento di Boves vi > ! [ 111,11M11 ( i T1111s111 f 11 i ! 111 > 111 ] 111 ! IJ11111MIM M11 TI erano solo tre ufficiali, ma in compenso il Circolo e la mensa erano lussuosamente arredati. Le principali suppellettili erano un televisore ed un radiogrammofono (250.000 lire), un tappeto ungherese, un frigorifero, una lampada, una lanterna e tre lampadari, otto piatti e quadri in rame, drappeggi e tendaggi. E' noto che per il Circolo, da Roma, erano giunte soltanto 450.000 lire una tantum. Non poteva esserci altra sovvenzione, ma il tenente Botto ha dichiarato di non aver mai sborsato una lira quale quota « mantenimento del circolo ». Chi pagava, allora? E con quali danari? Il teste ha asserito di non aver mal visto alcuna fattura relativa al Circolo, i Chi pagò, ad esempio, la corona d'alloro (9000 lire) per l'omaggio al monumento del Caduti, o i conti del fabbro, che in contabilità non sono registrati? Il teste ha allargato le braccia con un gesto significativo. Al giudice Nicosia, che gli domandava: < Ma insomma, dove prendeva il danaro il capitano Richelmi?», il teste ha risposto: « Mah! forse con il gioco dei bussolotti! ». Basti accennare che il bancone-bar dello spaccio truppa, per il quale il capitano sborsò mezzo milione, fu dal Richelmi contabilizzato per 430.000 lire (ci rimise quindi 70.000 lire), perché tale era la cifra indicata nel preventivo inoltrato alla superiore amministrazione. A questo punto il presidente si è rivolto all'imputato: < Con uno stipendio di 130.000 lire come ha potuto spendere, in un anno, oltre 800.000 lire a beneficio della caserma? ». L'imputato ha risposto di aver utilizzato i proventi delle fatture maggiorate e di aver attinto al suo patrimonio privato. Giudice: « Quanti soldi ha ri- rSÌ^ParS^o è ivero che Qra nQn posseggo piu jnuna>. \ Ha preso quindi la parola il I p. M. dott. Santucci, che ha < tratteggiato la figura del Richelmi, ponendo in rilievo la sua manìa di grandezza, la faciloneria con cui profondeva il danaro sia per la caserma sia a scopo personale. < E' mai possibile — ha detto il P. M. — che con il suo stipendio potesse concentrare nelle due sole stanze dell'alloggio tre specchi: quattro poltrone, un frigorifero, un televisore, cento dischi, innumerevoli anfore e piatti di rame, quaranta paia di scarpe, due tende da campo, due paia di sci, due attrezzature da roccia, e, per finire, dodici cappelli da alpino e tre guinzagli per cani senza possedere nemmeno un cane? *. ìflciale per peculato, per aver j sottratto somme non solo in I suo profitto ma < in profitto del Circolo Ufficiali di Boves », da lui giudicato non dipendente dall'amministrazione militare !dalla quale, non era sovvenzio- ' nato. Il dott. Santucci ha con- eluso chiedendo che, esclusa la malversazione, il cap. Richelmi fosse condannato, con tutte le attenuanti, a due anni e sei mesi. Gli avvocati Rossi e Lazzari d: Cuneo hanno poi parlato in difesa del Cavallera, chiedendone l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Nel pomeriggio hanno pronunciato le loro arringhe gli avvocati difensori del Richelmi. L'avv. Toselli di Cuneo si è battuto per smontare l'accusa di peculato militare, per mancanza di dolo specifico nel comportamento del capitano i 1111111111111 ! 11 m 111111 n Im i I li n 111111111 n i mi Ha altresì posto in rilievo l'insussistenza della malversazione nei confronti della mensa e del Circolo Ufficiali, poiché questi sono retti da un rapporto privato e non sono soggetti all'amministrazione militare. Il difensore si è poi soffermato anche sulla tesi della seminfermità mentale. L'avv. Armando De Marchi ha detto che non si può parlare di peculato quando l'accusa non è riuscita ad accertare neppure l'Importo esatto della somma sottratta. Il difensore ha sostenuto che il cap. Richelmi ha beneficato l'amministrazione militare, con lavori ed oggetti, per un milione e mezzo: se l'imputato ha compiuto dei falsi lo na fatto per fini leciti. Dopo aver accennato alla confusione mentale e allo stato di psicopatia in cui versava l'ufficiale all'epoca dei fatti, dopo aver definito l'imputato « un povero rottame di guerra», l'avv. De Marchi ha concluso: « Il cap. Richelmi provò un grande dolore per non poter mettere sul cappello la penna bianca da maggiore: gli resta ora la speranza di conservare almeno la penna nera di alpino. Nella drammatica lettera di addio indirizzata nei marzo '60 alla moglie l'imputato scrisse: "Cercate di capirmi, perché non sono normale, e ricordate che ho meno colpe di quel che sembra " ». Alle 19, dopo due ore dì permanenza in camera di consiglio, il collegio giudicante è rientrato con la sentenza. Terminata la lettura del verdetto, il cap. Richelmi è stato abbracciato dai colleglli e dai suoi difensori ed ha quindi pianto a lungo fra le braccia della moglie. n. m. Il capitano Armando Richelmi esce dal Tribunale