Che cosa deve fare l'Italia per la politica agraria europea di Giuseppe Medici

Che cosa deve fare l'Italia per la politica agraria europea Che cosa deve fare l'Italia per la politica agraria europea Che cosa porterà all'agricoltura italiana la nuova politica, approvata nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri del Mercato Comune? Questa è la domanda posta da coloro che conducono la dura vita dei campi, ricca di esperienze ma povera di capitali e ancor più di reddito. Essi temono che nuove difficoltà si presenteranno sui già difficili mercati e nuovi sacrifici saranno imposti alle loro aziende, che faticosamente chiudono magri bilanci. Gli agricoltori italiani, da quando è cominciato l'intenso sviluppo industriale del nostro paese, hanno constatato che anche per loro si poneva un problema di trasformazione degli or dinamenti aziendali, conseguente alla inevitabile penuria di forze di lavoro. Da un periodo di preoccupante disoccupazione che, per ragioni sociali, portava a fissare un alto imponibile di mano d'opera, si sta passando ad un periodo nel quale bisogna meccanizzare le aziende per far fronte alla nuova situazione. Ed è naturale che, come sempre avviene in queste circostanze, le aziende più deboli, e cioè quelle situate sui terreni più poveri o di infelice giacitura e ubicazione, ovvero meno dotate di capitali e di competenza tecnica, entrino in crisi. Ora sembra che l'ulteriore sviluppo dell'economia europea, e domani l'entrata dell'Inghilterra nel Mercato Comune, porti ad accentuare la specializzazione. Perciò la politica agraria comune significherà un più deciso orientamento sia verso autonome aziende familiari, proporzionate alla capacità di lavoro dei componenti, sia verso aziende di tipo industriale. Così sarà accentuata la necessità di riordinare le proprietà frantumate e disperse, di ingrossare le aziende troppo piccole, di accrescere la dotazione di macchine, di migliorare la preparazione tecnica degli imprenditori e dei lavoratori, e, infine, di specializzare gli ordinamenti agricoli, in rapporto alle qualità del terreno ed alle condizioni del clima. L'agricoltura dei sei paesi del Mercato Comune, se si fa eccezione per la Francia meridionale e per l'Italia centrale e meridionale, è dominata da produzioni zootecniche e cerealicole, in concorrenza con le grandi produzioni di massa del Canada, dell'Australia, della Nuova Zelanda, dell'America Latina e persino degli Stati Uniti d'America. La specializzazione, per gran parte dell'agricoltura dei paesi del Mercato Comune, coincide con il perfezionamento di aziende che producono grano e mais, riso e segale, patate e barbabietola da zucchero, carne e latte, uova e pollame. E' vero che accanto a queste aziende, che coprono la maggior parte dei 48 milioni di ettari seminativi del Mercato Comune, ne avremo alcuni milioni dove la specializzazione potrà orientarsi verso i prodotti ortofrutticoli, i vini, i formaggi e le carni fini; ma il grosso dell'agricoltura europea dovrà continuare a dedicarsi agli allevamenti animali ed alla coltivazione dei cereali, della patata e della barbabietola. Potrà essere estesa la frutticoltura padana e della Valle dell'Adige, intensificata e migliorata la viticoltura del Piemonte, della Borgogna e del Bordolese, del Veneto e della Mosella, dell'Alsazia e del Reno; potrà essere ulteriormente accresciuta la produzione olivicola, orticola e di carni fini, ma il carattere dominante dell'agricoltura europea resterà zootecnico-cerealicolo. Ora mentre le produzioni specializzate di qualità non presentano gravi problemi, e la loro espansione può corrispondere ad una graduale espansione della domanda di prodotti fini — evidente anche in Italia — difficile resta la situazione delle aziende, il cui prodotto lordo è formato, per la quasi totalità, da cereali, carni non pregiate e latte. Tanto più che questi prodotti fondamentali debbono essere venduti a prezzi relativa¬ I sei Paesi del Mec — ItalBelgio, Olanda, Lussemburglioni di- ettari di terreno coltivabili. L'agricoltura occlioni di persone, poco più tale forza di lavoro. La « panno prodotti alimentari pesporta per 1675 miliardi. liardi è sopportato per l'80 Francia hanno un passivo 11111111 ! 11111 i 111111 ■> 111E11111111111 ■ 1111 i 111 ■ 111111 {111 mente bassi, per contenere il costo della alimentazione, che, nei bilanci delle famiglie operaie, assorbe la metà del reddito. D'altra parte, circa il 70 per cento del prodotto lor- lia, Francia, Germania Occ, rgo — dispongono di 116 mi ma soltanto 48 milioni sono cupa complessivamente 15 miù del 20 per cento della topiccola Europa » importa ogni per 3426 miliardi di lire e ne Il saldo passivo di 1750 mi0 % dalla Germania. Italia e modesto, in attivo è l'Olanda 111111 ) 11 li 11 ! 1111111 i i I i 111 ■ 1111111 ■ I ■ 111111 i 111111111 ! I ■ I II do dell'agricoltura europea formato da prodotti di massa, nei quali bisogna riconoscere la frontiera del reddito degli agricoltori europei. Data questa realtà non sembra ragionevole assumere atteggiamenti gladiatori e proporre impossibili soluzioni radicali. L'attuazione della politica agraria comune può essere compiuta soltanto se riesce ad evitare brusche riduzioni in un reddito già insufficiente a soddisfare i bisogni degli agricoltori che, in Europa, per la maggior parte sono anche lavoratori manuali. Premesso che la politica agraria europea non potrà consistere altro che in una serie di provvedimenti per la evoluzione degli ordinamenti aziendali, due condì zioni appaiono fondamentali; e cioè: 1) che continui lo sviluppo economico, e quindi l'ulteriore riduzione nelle forze di lavoro agri cole, onde, specie nelle zone dove prevalgono le piccole aziende frammentate e polverizzate, si possa prov vedere alla loro ricomposizione o al loro ingrossameli to; 2) che siano disponibili, a bassissimo tasso di interesse, gli imponenti capitali necessari. Se queste condizioni si verificheranno, la nostra agri coltura potrà restituire al pascolo e al bosco i terreni non meritevoli di essere coltivati e concentrare i suoi sforzi su quei quindici mi lioni di ettari da organizza re in aziende moderne, cosi da ridurre i costi di produzione. Ecco perché se la comu nità europea deve conserva' re una valida agricoltura atta a soddisfare gran parte del fabbisogno alimentare della sua densa popolazione, deve anche evitare una po-r litica di estremo protezioni-'' smo che rallenterebbe il suo generale sviluppo economico; e renderebbe difficili i suoi rapporti politici con un gran numero di paesi agricoli le cui esportazioni sono esclusivamente rappresentate da alcuni prodotti diretti del suolo. Sono questi paesi che guardano con sospettoso timore alla nuova politica agraria europea e sperano che i paesi del Mercato Comune non dimentichino che la difesa del loro reddito agricolo si può attuare senza contrastare i loro programmi di sviluppo. Giuseppe Medici

Persone citate: Mosella