Dall'impero romano alle nazioni europee di Luigi Salvatorelli

Dall'impero romano alle nazioni europee Dall'impero romano alle nazioni europee E' uscito qualche settimana fa i! iesto e ultimo volume della Storia di Roma e del mondo romafio di'Luigi Pareti, edita dalla « Utet » con la solita, o forse ancora maggiore del solito, ricchezza di illustrazioni. E qualche giorno fa abbiamo avuto l'annuncio della morte dell'autore, non più che settantaseienne. E' una circostanza che colpisce, questa di uno studioso la cui vita termina contemporaneamente al compimento della sua opera maggiore. Non sono filologo classico, né cultore specializzato di storia romana: provo quindi un certo ritegno a pronunziare un formale giudizio d'insieme sull'opera. Tuttavia, credo di poter affermare, con qualche conoscenza del metodo storico in generale e della materia storica specifica, che i sei volumi del Pareti costituiscono una esposizione analiticamente precisa, criticamente fondata, e organicamente svolta, di alto valore. Il Pareti segue passo passo gli avvenimenti, appoggiando la sua versione dei medesimi a un rinvio sistematico alle fonti. Il suo procedimento, tuttavia, non è cronistorico, ma propriamente storico, poiché alla narrazione dei fatti va connessa la loro valutazione; e non mancano, a tempo e luogo, gli inquadramenti ragionati e le vedute d'insieme, anche in discussione con vedute altrui. La coscienza storica dell'autore è costantemente vigile di fronte agli avvenimenti e ai laro nessi e risultati: ed è coscienza non passivamente « storicistica » né politica pura, come potrebbe aspettarsi da chi sia a conoscenza di certe preferenze del Pareti uomo e cittadino. Nella prefazione i' Pareti ha parlato dello « sforzo compiuto per uscire dalla falsariga tradizionale, creata dagli antichi annalisti, di una storia accentrata sulla sola metropoli, e per esporre, invece, insieme con le vicende politiche e culturali di Roma, anche quelle delle varie parti dell'Italia antica, prima e dopo l'unificazione operata dalle legioni dell'Urbe ». Insomma, il punto di vista del Pareti; di fronte alla storia dell'Italia preromana e romana, è il medesimo di quello del Mommsen, il quale all'inizio della Ròmische Geschichte avverte -espressamente che la sua opera narra la storia d'Italia, e non soltanto quella di Roma, e ne dà la ragione : « ciò che si è abituati a chiamare l'assoggettamento d'Italia da pane dei Romani, risulta piuttosto come la unificazione di tutta la stirpe degli Italici in uno stato solo ». Il criterio della unificazione romano-italica è anzi applicato dal Pareti più ampiamente e coerentemente che nella formulazione del Mommsen, estendendosi anche agli altri popoli della penisola:- al che, del resto, il pensiero dello storico tedesco non si oppone. Il medesimo criterio, nella sua applicazione più ampia, ha guidato me ogni volta che mi è accaduto di scrivere (o di parlare) della storia d'Italia vista nel suo insieme. Ultimo caso, il saggio La formazione storica dell'unità italiana (rielaborazione di una conferenza dell'aprile i960), posto come Introduzione a Spiri» e Figure del Risorgimento. Quando ho redatto quel saggio, non avevo esaminato in proposito la Storia romana del Pareti, di cui erano già usciti parecchi volumi : più particolarmente, non avevo visto la suddetta prefazione. Quando, in questi ultimi giorni, ho esaminato.sistematicamente l'opera, sotto questo punto di vista, mi è sembrato altamente significativo — e per me confortante —. l'incontro spontaneo dello « specialista romano,» e del vecchio studioso di storia d'Italia. Incontro che si verifica non solo nella tesi generale, ma anche in certe impostazioni particolari. Così anche il Pareti rileva nell'Italia preromana e romana quella che io ho chiamato « presenza contemporanea di due tendenze opposte, e tuttavia intrecciantisi fra loro », la particolaristica e l'egemonica : tendenze di cui poi io seguo lo sviluppo e l'intreccio anche nell'Italia comunale e rinascimentale. * * Il libretto postumo di Federico Chabod, L'idea di nazione (Laterza), è degno in tutto dell'insigne storico per la lucidità sintetica dell'esposizione organizzante un materiale vastissimo e disperso nei secoli intorno a un tema centrale. E' questa medesima lucidità che rende più facile esaminare la tesi' fonda' mentale dello Chabod: nascere l'idea organica, vera, di « nazione » solo nei tempi moderni (XVIII-XIX secolo), col Romanticismo, ogni altra manifestazione precedente di coscienza nazionale risultando parziale, superficiale, inconsistente rispetto a quell'idea. La dimostrazione di quest'ultimo assunto — che avrebbe dovuto formare la parte principale — è doppiamente mancante. Quella superficialità e inconsistenza delle manifestazioni più antiche dell'* idea » è, volta i>er volta, sbrigativamente affermata, supcrficializzando e svuotando (beninteso, in piena buona fede) le singole testimonianze. Seconda e più profonda mancanza : lo Chabod tratta l'« idea di nazione » come formatasi e rnanifestantesi al di fuori dei fatti storici, mentre essa va ricercata, e affermata o negata, non soltanto nelle formulazioni degli scrittori, ma nell'intimo delle azioni collettive e individuali. Di fronte alla negazione dello Chabod, io non posso che ripetere per l'Italia comunale (ricordando altresì che si tratta di qualcosa che ha futta una storia precedente) quanto scrissi circa la nazione italiana fin dal 1926, nella Vita di San Francesco d'Assisi: «Era il popolo di cento città diverse ed affini, nemiche e sorelle. Parlavano, nella' varietà dei dialetti, una stessa lingua-, si reggevano con le stesse istituzioni (i consoli a capo, i consigli dì cittadini al loro fianco, il parlamento del popolo alla base); un medesimo spirito li animava ». Ed altresì quanto è scritto nel Sommario della storia d'Italia: «I comuni italiani sapevano perfettamente di appartenere a una sola nazione. Al di là della vita politica interna, specifica a ciascun comune, al di, là delle lotte fra i comuni, v'era l'unità del sangue, della lingua, della coltura, della vita familiare, economica, politica, religiosa; v'era l'intreccio strettissimo di relazioni per cui la vita di ogni stato cittadino o regionale era legata a quella degli altri ». * * La lettura del Pareti, sotto l'angolo visuale sopraindicato, conduce a proporre, o riproporre, un'altra questione: quella del rapporto storico tra « nazione » e « impero ». Generalmente, si pone l'impero (fatto-idea) come successivo alla nazione, sia che poi lo si consideri, con i nazio nalisti, come sviluppo logico di questa, o invece, con i democratici e gli anti-imperialisti in generale, come antitetico ad essa Ebbene, anche questo schema è unilaterale. Ci sono indubbia mente nazioni che scompaiono negli imperi, o invece si dilatano in essi. Ma ce ne sono altresì di quelle che si formano e svilup pano entro un impero, nel fiorire di questo, o invece nella sua decadenza e dal suo disfacimento. La nazione italiana è forse il più complesso esempio di codeste diversità. L'impero di Roma sull'Italia contribuì primariamen te alla sua formazione; poi fu di ostacolo (guerra sociale), e subito dopo détte di essa la prima sistemazione (l'Italia cesareoaugustea). Contemporaneamente e successivamente, con la ulteriore espansione e sistemazione imperiale, si ebbe quel pareggiamento italo-provinciale in cui si arrestò e indebolì la prima nostra coscienza nazionale. La dissoluzione dell'impero occidentale, riconducendo alla coincidenza fra romanesimo e italianità, rimise in moto la formazione storica della unità nazionale (da non confondere, ripetiamolo ancora una volta, con unità statale: come è capitato anche al aiIIIIIllllIllNIIIIMIIIMIIIIIinilIMIIMIlIIIIIIIIII!l Pareti, che in un passo nega l'esistenza nell'antichità di una nazione greca). Si può allargare l'esemplificazione, al di là dell'Italia. Nella mia Storia d'Europa (ultima edizione, Utet 1961) io ho insistito, più che nelle precedenti, sullo sviluppo in Occidente, in seno al tardo impero, di tendenze e movimenti autonomistici, dando loro una importanza uguale o anzi maggiore che alle invasioni e stanziamenti barbarici, in quanto prodromi delle formazioni nazionali di Occidente durante il Medio Evo (Francia, Germania, Spagna, Inghilterra). Dalla confluenza dei due fenomeni risultò, secondo me, « un perfezionamento della individualizzazione già avviata da qualche secolo fra le diverse regioni occidentali » (pag. 230 del primo volume). Sarebbe da citare anche il seguito; ma me ne astengo per non riuscire troppo lungo. Non posso invece fare a meno di una citazione (e chiudo con questa) dall'ultimo volume del Pareti, uscito poco dopo la nuova edizione della Storia d'Europa, là dove si parla dell'« akmé » 'della crisi imperiale a metà del III secolo: Il maggiore avvertimento di uno stato di disgregamento potenziale del mondo romano, per dar luogo a nuove organizzazioni politiche, era offerto dalle manifestazioni di separatismo, di spezzamento; non solo approfondenti il solco tra le zone orientali e le occidentali, ma ponenti in evidenza, in ogni singola regione, la persistenza vitale delle antiche " nazioni ", degli " ethne " soggiogati da Roma ». Luigi Salvatorelli IIIIIIIIIIIIIIIIIIIUIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIItill

Persone citate: Chabod, Federico Chabod, Mommsen, Pareti