Per una giustizia migliore rapidi processi e carceri sane di A. Galante Garrone

Per una giustizia migliore rapidi processi e carceri sane Un'opera di progresso appena iniziata Per una giustizia migliore rapidi processi e carceri sane Molti problemi generali sono stati affrontati all'apertura, dell'anno giudiziario - Fra i più concreti ed urgenti, quelli indicati dal P. G. di Venezia : la procedura processuale e l'edilizia carceraria, così strettamente connessi - Efficienza nel colpire i reati e umanità nelle pene sono armi essenziali per combattere la pianta del delitto I discorsi inaugurali dei Procuratori generali, alle soglie del nuovo anno giudiziario, hanno risollevato in questi giorni dinanzi all'opinione pubblica i più assillanti problemi della Giustizia nel nostro paese. Quale sia. la funzione, in un paese democratico, di questi discorsi che un tempo restavano confinati nell'ambito dei Tribunali e delle Corti, appare sempro più chiaro. Essi non devono essere soltanto un arido bilancio statistico dell'attività svolta nei vari uffici (tanti processi, tanti delitti; aumento o diminuzione della litigiosità o della criminali-; tà nei diversi settori; andamento dei servizi giudiziari), ma neanche un tonitruante atto di accusa contro una società, o una predica moralistica. Esemplare fra tutti ci è parso il discorso del dott. Alessandro Caprioglio, Procuratore generale della Repubblica alla Corte d'Appello di Venezia: un piemontese, che qui a Torino ha di sé lasciato bella e cara memoria. « A questo banco (ha detto assai bene) non si addice né la polemica né la rettorica, dovendosi dare sempre esempio di meditata misura ». Egli non s'impanca a censore e fustigatore dei costumi, non impartisce incitamenti e moniti e consigli ai legislatori, ai politici, ai pedagoghi; ma addita gli ostacoli incontrati nel lavoro di tutti i giorni, e cerca d'individuarne, con pensosa umanità, le vere cause e i possibili rimedi. Si veda, per esempio, come è stato da lui toccato il problema delle carceri, e, più precisamente, dell'edilizia carceraria. Non elucubrazioni astratte, ma indicazione di mali precisi, di uno stato di cose obbrobrioso. Il carcere mandamentale di Legnago è in condizioni igienicamente inaccettabfli; il cortile è fatto in modo che i detenuti non possono neppure andarvi a respirare quel po' di aria libera a cui hanno diritto. E che dire del carcere giudi ziario dei « Paolotti » di Pa dova, un vecchissimo e te ti» edifìcio, ormai circonda' to da vie centrali, oppresso da palizzate che tolgono aria e luce ai reclusi, dove i condannati e i detenuti in attesa di giudizio (i quali ultimi finiranno magari per essere assolti), promiscua mente accatastati, sono co stretti dall'ambiente a una umiliante e rivoltante degradazione fisica e morale «Non si dimentichi che con un simile sistema carcera rio, pochi giorni di detenzione possono essere suffi denti, in certe circostanze, per perdere un'esistenza: e potrebbe essere l'esistenza di un innocente ». E' un problema gravissi mo, non soltanto nel Vene to. Si pensi al famigerato Ucciardone, o a tanti monasteri diruti, e fortilizi o caserme abbandonate, che anche visivamente sembrano confermarci come in questo campo noi siamo rima' sti abbarbicati al Medio Evo, quando la pena aveva un carattere crudamente afflittivo, era figlia della vendetta. Queste non sono parole nostre, ma del ministro di Grazia e Giustizia. Da anni i suoi discorsi in Parlamento battono e ribattono su questo tasto dolente. E' un problema che deve essere risolto, se vogliamo che abbia un senso la nor ma costituzionale: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27). Ed esso tocca da vicino l'amministrazione della giustizia: perché creare condizioni igieniche e sanitarie decenti (e non solo abolire il famigerato bugliolo), trasformare le carceri in laboratori, non abbrutire ma riscattare gli uomini — spesso vittime della miseria e dell'ignoranza —, non se gregare il recluso dalla società, ma dargli la possibi lità di reinserirvisi, è il modo più serio per combattere la mala pianta del delitto. Dobbiamo riconoscere che, dopo tante sterili deplorazioni, si è finalmente co minciato ad attuare un piano di rinnovamento totale dell'edilizia carceraria Con una Jegge del 24 lu¬ gudeosLddciccsdCdSvflffmpsclpddsn«vptgisp glio del 1959 si è disposto un primo stanziamento di dodici miliardi, e diversi edifici sono stati costruiti o riattati. (Si sono spesi sempre bene questi soldi? Lo sconcertante episodio dell'esuberantissimo carcere di Cuneo fa sorgere qualche serio dubbio). Ma un immenso lavoro resta da compiere. Potremmo dire che la civiltà di un popolo si misura dalle condizioni delle scuole, degli ospedali sì, anche delle carceri. Chi scrive ricorda una casa di custodia intravista a Stoccolma: qualcosa di favoloso e d'irreale, se confrontato con le nostre squallide prigioni. E non basta far molto, e bene; bisogna far presto, anche se — come ha detto Caprioglio con pungente amarezza — « non si potrà forse contare sulla celerità tanto ammirata per l'organizzazione delle Olimpiadi ». Altro problema trattato dal discorso: la riforma del processo penale, di questo grande ammalato del nostro paese. Anche qui, « radicali e urgenti interventi» si impongono; troppo timidi sono stati i ritocchi del 1955. Bisogna unificare i due riti, il sommario e il formale, « congegnando il nuovo sistema in maniera tale da assicurare, con la semplicità e la speditezza, il contraddittorio fra le parti, pubbliche e private, fin dall'inizio, con effettivo intervento della Difesa». Sono le parole di un uomo libero, che saggiamente ha ricordato (specialmente a chi, ancora in questi giorni, ha deprecato come avveniristiche e pericolose le riforme radicali, poco adatte al nostro suolo, alle nostre tradizioni) che già un grande giurista come il Lucchini aveva, al principio del secolo, portato ad esempio i buoni risultati ottenuti 'in Francia dal sistema del contraddittorio e della pubblicità nella fase istruttoria. Basterebbe un po' di coraggio e di buona volontà. Caprioglio non è un arido, o un ingenuo, orgogliosamente racchiuso nella sua torre d'avorio. Egli sente e soffre i mali del nostro tempo, del nostro costume, e il loro riverberarsi sul lavoro quotidiano dei giudici. E vorrebbe che alla nostra magistratura fosse dato di operare ener¬ gicamente, nei limiti che le sono propri, senza sconfinamenti ma anche senza le remore e gli inciampi che spesso la rendono impotente o scarsamente efficiente. H considerevole numero dei delitti contro la pubblica amministrazione, commessi da privati e funzionari, i « pesanti e sconcertanti episodi di malcostume che vengono faticosamente alla luce », sono fenomeni concatenati e, nel loro insieme, preoccupanti. « Tutti gli onesti (egli dice) reclamano sanzioni rigorose e sollecite ». Ma perché questo accada, e non solo per i grossi scandali che turbano l'opinione, ma per i «mille piccoli Fiumicini», bisogna dare alla magistratura la possibilità, gli strumenti e i mezzi di intervenire a fondo con inflessibile vigore. Come scrisse Pascal (e lo ricordava il ministro Gemella al Senato), la giustizia deve essere forte perché quasi mai la forza è giusta. A. Galante Garrone

Persone citate: Alessandro Caprioglio, Caprioglio, Lucchini, Paolotti

Luoghi citati: Cuneo, Francia, Legnago, Stoccolma, Torino, Venezia