Dante in dischi

Dante in dischi Dante in dischi Gli amatori di dischi hanno avuto per strenna un'edizione fonografica dell'Inferno di Dante a cura di Natalino Sapegno (« Collezione Letteraria Documento », Cetra) : sei microsolco a due facce in cui i trentaquattro canti, ciascuno preceduto' da una breve prolusione, sono alternativamente letti dagli attori Giorgio Albertazzi, Carlo D'Angelo, Arnoldo Foà e Achille Millo. Che diranno i dantisti avvezzi a leggere il loro poema in sacro silenzio? Per Dante, così denso e irto, il rischio fonico è particolarmente grave. Ce ne accorgiamo proprio dalla quantità di limitazioni che sono state saggiamente portate a queste dizioni. Dove non è nulla di declamatorio c molto meno di teatraleggiantc. Dove la tentazione d'una qualche regia in ordine ai rumori (che riconosciamo dover esser stata grande: «la bufera infcrnal che mai non resta») fu così respinta che par d'essere in chiesa; e nel più nudo silenzio, appoggiata che abbiamo la puntina, sorge la voce scura e calda di Foà: « Nel mezzo del cammin di nostra vita.... » Sono dizioni chiare oneste e un po' dottorali, più da frati in pergamo che da attori alla ribalta, con sacrificio quasi assoluto del colore a vantaggio del significato testuale. Sapegno ha frustrato nei suoi dicitori ogni velleità romantica, ha esteso per tutta la recitazione della cantica i frutti del suo magistrale commento dell'edizione Ricciardi. Dal modo come D'Angelo pronuncia il famoso quanto discusso verso del canto di Francesca « quel giorno più non vi leggemmo avante », s'intende subito che il senso è quello della passione che s'adempie e non della tragedia che la insanguina, contrariamente all'interpretazione romantioa esaltata dal Dorè, il quale fuse insieme il bacio dei cognati e l'agguato di Gianciotto. Né troppa corda espressiva è data alla pietà di Dante, non mai dimentico della legge morale, all'udire i casi dei due amanti che tanto vinsero il De Sanctis. Ed è superfluo avvertire che il verso ugoliniano « poscia, più che '1 dolor, potè il digiuno » suona in bocca al Foà totalmente purgato dell'interpretazione cannibalesca quale fra gli altri sostenne, e non par vero, il delicato Pascoli. Il Dante insomma di questa audizione è l'ultimo Dante della critica, con le sue' ultimamente accertate lezioni (anche l'« etterno » con la doppia t), con tutta la sua struttura ben rivendicata contro i « distinguo » dell'estetica crociana. E un ritmo di lettura saggiamente pacato mette sullo stesso piano auditivo il facile e il difficile, i fulgori e le ombre, i luoghi sublimi o lapidari o proverbiali, e i bisticci e nodi verbali. I « pape Sàtan, pape Satarì aleppe », « Io credo ch'ei credette ch'io credesse » e tanti altri, non stonano in questa filologicamente severa lettura. Ma con tutto questo, possiamo dire che sia questo il Dante che risuona dentro di noi? Le voci umane che di volta in volta prende la poesia, legate al particolare sentire, non sono mai in assoluto la voce della poesia. La delusione che procurano questi dischi, quel tanto che hanno di smorto e profanatorio, sono ovvii e non se ne può far loro carico. Non si tratta tanto di divergenze parziali e che noi avremmo dato più calore al canto dei diavoli (ricordiamo il nostro vecchio professore Augusto Monti, come con una semplice arricciatura del naso mimava Cagnazzo dalla cattedra), più ali al « folle volo » di Ulisse, più presa di lottatori al colloquio con Farinata, più pietà e vendetta al pasto di Ugolino, quanto della generica insofferenza di vedere impassibilmente sfilare versi che per la loro carica vorremmo trattenere. Si ha un bel deridere ì dantomani; ma un po' di quella mania si attacca a tutti quanti leggiamo e rileggiamo il Poeta, un po' d'affezione è data da tutti al « pie fermo », alle Tre Fiere, al Veltro e altri luoghi particolarmente tormentati che qui strisciano e passano. Un prepotente bisogno di lettura verticale, chiosata, intralcia l'audizione e ne disperde gli effetti. Si pensa con desiderio alle letture dei professori. Quando Tommaso Casini fu chiamato a leggere il proemio della Cmmnediif in Or San Michele (del quaL proemio abbiamo letto una finissima analisi tematica nel primo di Tre studi danteschi di Edoardo Sanguineti, ed. Le Monnier) sentendosi sul limitare del tempio, fu preso da religioso tremore, e dovette bere prima ancora d'aver cominciato. Sentì ventarsi in faccia l'umano dell'Inferno, il fiato dell'imbuto. Queste sacre suggestioni, che pur • tanto dispongono all'intelligenza e che il Carducci comunicò meglio di tutti, si perdono per dischi, anche se il canto primo è tra i me¬ glio detti dal Foà (con un finissimo smorzato nell'attacco : « Or se' tu quel Virgilio.... »). Generalmente si può osservare che questa incisione viene a riproporre, senza volerlo, la scevcrazione crociana fra poesia e struttura dantesca La prima ne esce un po' mortificata; la seconda rinvigorita, e bella d'una sua emblematica bellezza. Il canto undecimo, che tratta del sistema penale dell'inferno secondo gli schemi della scolastica, ha vecchia fama di noioso per mancanza di azione e sfoggio di dottrina. Nel disco, così pacatamente esposto, acquista un'efficacia nuova e illumina di tutta la sua gloria il Dante insegnativo, rilevandone la voluttà didascalica. Non fosse che per questa indifferente proiezione di tutto il iiipiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiitiif iitiiiiiiii poeta, l'iniziativa merita lode, come e più la merita l'assenza, in ogni punto, di civetterie spettacolari, la totale subordinazione dell'attore al filologo. La declamazione di Dante patì già le stecche di troppi gigioni, svenevoli in Paolo e Francesca,, digrignanti in Ugolino, sconci in Maestro Adamo. Molto meglir questa intonazione bianca e qua e . là da chierico, che salva l'equilibrio della compagine e attesta l'educazione letteraria, l'attitudine al sacrificio, delle nostre ultime leve di attori drammatici. Resta qualche apprensione circa il consumo di questi dischi, i quali potrebbero indurre i pigri ad illudersi d'avere a portata d'orecchio l'Alighieri non meno di Mina, Celentano e Dallara. Leo Pestelli iiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifitiiiiiiiiiiii