La nuova realtà sociale impone la riforma della scuola di Paolo Serini

La nuova realtà sociale impone la riforma della scuola Anehe fi Piano decennale si rivela inadeguato La nuova realtà sociale impone la riforma della scuola Per il 1975 si dovrebbe portare il numero dei diplomati delie medie inferiori da 240.000 a 750.000; quello dei licenziati delle professionali da 25.000 a 500.000, quello dei diplomati delle secondarie superiori da 80.000 a 240.000 e da 22.000 a 50.000 il numero dei laureati - Non bastano stanziamenti parziali ; occorrono disegni organici - Il problema va ripreso su nuove basi senza ulteriori indugi Anche il 1961 si è chiuso senza che nessuno dei maggiori disegni legislativi concernenti la scuola — a cominciare da quello sulla nuova scuola media — sia giunto in porto. E, soprattutto, senza che sia stato, nonché approvato, nemmeno discusso in aula, alla Camera dei deputati, quel Piano decennale per lo sviluppo della scuola, che, presentato al Senato il 22 dicembre 1958 e da esso approvato il 9 dicembre '59, attende ormai da due anni, a Montecitorio, il compimento del suo faticoso iter parlamentare. Si ha anr.i l'impressione che esso sia stato accantonato. Tale insabbiamento d'un progetto di legge annunciato, tre anni fa, come « d'importanza capitale per le giovani generazioni e per l'avvenire della democrazia e della nazione italiana » è stato causato essenzialmente da ragioni politiche: ossia, dalla difficoltà, per non dire dall'impossibilità, in cui si è trovata la democrazia cristiana di far accettare agli altri partiti « convergenti » la concessione di contributi statali alle scuole private (difficoltà che l'eventuale costituzione di un governo di centro sinistra non potrà certo attenuare). Ma su di esso hanno influito anche altre ragioni. Attraverso le discussioni cui il Piano decennale ha dato luogo, non solo nel Parlamento ma nel paese, e cui hanno partecipato in larga misura uomini di cultura e di scuola, sindacati e associazioni (come la Federazione ingegnanti medi, l'Adespi, le grandi organizzazioni universitarie), sociologi, economisti, ecc., sono venuti via via alla luce non pochi limiti e difetti di esso. Ci si è resi conto, anzitutto, che il Piano, così com'è , stato impostato, — xome un ; piatto pu$jme»te finanziarlo J * per Io sviluppo hramplezza della, scuola », prescindente del'tutto « dalle riforme necessarie alla medesima», — si risolve, di fatto, in un semplice complesso di stanziamenti straordinari, distribuiti nel corso di dieci anni, che manca proprio dei requisiti che dovrebbe avere un piano. Ossia, di quell'organica determinazione degli obiettivi da raggiungere, delle scelte da compiere in vista di essi e della graduazione delle va dzlpcpveldzprcsfndsnccgrqclaccczalsdddCsor(mrie tappe intermedie, che un'ipotesi di sviluppo esigeie senza di cui gli stessi stan- ziamenti finanziari rischia' no di non conseguire il loro scopo. Tale critica di fondo all'impostazione tecnico-legislativa del Piano non è stata avanzata solo dalle opposizioni (e, in primo luogo, dal relatore di minoranza dell'Vin commissione della Camera, on. Codignola), ma anche da alcuni gruppi democristiani. Ed è emersa inoltre, benché in forma indiretta, dai lavori e dalle conclusioni d'un importante convegno sulla pianificazione scolastica, tenutosi nel maggio scorso a Frascati, per impulso della Svimez e del Centro europeo dell'educazione. D'altro canto, l'inadeguatezza del Piano anche sotto l'aspetto finanziario è stata confermata da una inchiesta (promossa nel '59 dall'allora ministro della P. I. sen. Medici e condotta da una commissione presieduta dall'ing. Martinoli) sulle modificazioni del mercato del lavoro nel prossimo quindicennio e sulla funzione che può, e deve, avere nei loro confronti la scuola. Da tale inchiesta è risultato, infatti, che per ottenere che, nel 1975, il nostro sistema prò duttivo possa disporre, nei suoi vari settori o ad ogni suo livello, del personale qualificato necessario, bisognerà compiere, nel campo dell'istruzione, uno sforzo ben superiore a quello previsto dal Piano decennale. Basti dire che, per quell'anno, si dovrebbe portare il numero dei diplomati di scuole medie inferiori da 240.000 a 750.000, quello dei licenziati di scuole professionali da 25 mila a 500 mila, quello dei diplomati di scuole secondarie superiori da 80.000 a 240.000, e da 22.000 a 50.000 il numero dei laureati. Ciò significa che la spesa da sostenere per la costruzione di scuole e di aule, per l'aumento degli organici, per l'assistenza, per la ricerca scientifica, sarà molto più ingente di quella preventivata dal Piano (ad esempio, per le aule di scuole elementari e secondarie, di più di mille miliardi, anziché di 650). E che si impone, di conseguenza, una revisione del Piano stesso, che, modificandone l'impostazione, lo abiliti ad affrontare i problemi di rinnovamento delle strutture e degli indirizzi della nostra scuola, in stretta connessione con la realtà sociale in cui essa dovrà operare, e conforme a una visione organica dei fini da conseguire e dei mezzi da impiegare, quale una semplice « cornice finanziaria », come quella in cui si risolve il Piano attuale, non può offrire. Si aggiunga, infine, la necessità di ricorrere, in alcuni campi, a strumenti tecnici diversi da quelli tradizionali: di non lasciar più, ad esempio, l'edilizia scolastica all'iniziativa, dimostratasi del tutto inefficace, degli enti locali, ma di affidarla (com'è stato proposto da più parti, e anche dalla Commissione Finanze e Tesoro del Senato) allo Stato o a un ente parastatale. Tali, in brevi termini, le ragioni che concorrono a spiegare come il Piano de cennale abbia finito con l'a (renarsi e si possa conside rare come praticamente su perato. Ma esse impongono, in pari tempo, che il proble ma venga ripreso, su nuove basi, senza ulteriori indugi. Non è più possibile, infatti, perdere altri anni, dopo molti perduti dalla Costituente a oggi, senza com promettere gravemente lo sviluppo civile, economico e sociale del nostro paese che, per la sua organizzazio ne scolastica, si trova già in forte ritardo rispetto ad altri paesi. Provvedimenti parziali, quali sono stati presi anche di recente, poS' sono bensì costituire un rimedio temporaneo, ma fini' rebbero alla lunga con l'ag' gravare maggiormente la si' tuazione. Che il cosiddetto problema della scuola è co stituito da tutto un complesso di problemi tra loro connessi, che non possono esser affrontati separataniente, ma solo alla luce di una visione d'insieme il più possibile organica e compie, i^ d^„^tt"fr®__f"r^f5_s,° " una serie di scelte egual mente connesse tra loro. Ciò non significa che si debba procedere simultanea mente (e tumultuariamente) a una riforma totale del nostro sistema scolastico, in tutti i suoi ordini e gradi. Ma, più semplicemente, che, nel promuoverne il rin novamento mediante una se rie di riforme particolari graduate nel tempo, bisogna muovere da una ipotesi o schema di sviluppo che ten ga conto di tutti i diversi problemi e che si informi a una concezione unitaria dei fini da raggiungere e delle scelte da effettuare, capace di tradursi in una serie di provvedimenti legislativi armonicamente coordinati e forniti di sicure e adeguate basi finanziarie. Solo così si potranno evitare nuovi sprechi di tempo, di energie, di denaro. E si potrà finalmente avviare a graduale, ed efficace soluzione, un problema, o meglio un complesso di problemi, che tutti sono ormai concordi nel giudicare essenziale per l'avvenire del nostro paese. Paolo Serini

Persone citate: Codignola, Martinoli

Luoghi citati: Frascati