Un superstite dell'

Un superstite dell' Un superstite dell' del 1944 nella vallata del Rodano Deporrà al processo del professore tedesco che fece fucilare ventidue prigionieri italiani E' il commesso di banca Pietro Cornetti di Brescia - Nel 1944 era prigioniero dei nazisti che stavano ripiegando in Provenza - Il drammatico racconto: «Per non portarci con loro nella ritirata, nella notte ci spinsero in una radura e il capitano Leibbrand diede l'ordine di spararci addosso. Di 26 solo 4 ci salvammo » - L'imputato comandava il reparto che eseguì la strage - Dopo la guerra ha lavorato anche a Roma ed ora è libero e ricco in Germania (Dal nostro inviato speciale) Brescia, 3 gennaio. « Non potrò più dimenticare quella notte del '44. Il bosco nella vallata del Rodano, il lamento stridulo delle civette, me e i miei compagni spinti contro i tedeschi che ci aspettavano con il mitra imbracciato. Poi gli spari e tutte quelle grida e quel sangue >. Pietro Cornelli, il bresciprigionieri italiani ordinat rililMIIIItlllllllIllllllirtllllll llll!IIMItlllll Il volto arguto e bonario di Pietro Cornelli si contrae nello sforzo di non piangere, ma le lacrime gli scendono lente sulle gote rubizze. Posa il mezzo toscano e si asciuga gli occhi fion un fazzolettone a quadri. « Mi scusi. E' vero che son passati quasi vent'anni, ma bisogna aver provato ». Pietro Cornelli sarà uno dei testimoni nel processo contro Kurt Leibbrand, il professore universitario tedesco già capitano della Wehrmacht, incriminato dalla Procura di Stoccarda per aver fatto trucidare un gruppo di prigionieri italiani in Francia, il 22 agosto 1944. Cornelli oggi ha 43 anni: è sposato con due figli piccoli e lavora come commesso al Credito Agrario Bresciano. Dei quattro scampati all'eccidio è quello che ricorda meglio. La sua deposizione, rac colta a settembre dalla Procura di Brescia, è servita a definire l'atto di accusa contro l'ex-ufficiale nazista. Sino al 22 agosto del '44, la storia di Cornelli è uguale a quella di tutti gli italiani che si son fatta la guerra dal primo all'ultimo giorno. Da civile era barbiere: rivestito di grigioverde, divenne soldato semplice del H9° Reggimento Artiglieria. All'8 settembre del '43 i tedeschi lo fanno prigioniero in Grecia. L'ex-barbiere si rifiuta di aderire alla repubblica di Salò e comincia a vedere un po' di mondo dalle grate dei vagoni piombati: Atene, Salonicco, Belgrado, l'Austria, sempre più lacero e più affamato. All'inizio del '44> Cornelli si trova ad Amiens, nella Francia settentrionale, con un gruppo di 60 prigionieri italiani aggregati ad una compagnia del genio ferroviario tedesco. Il loro compito è riparare le linee ferroviarie distrutte dagli aerei anglo-americani. Il datore di lavoro è Kurt Leibbrand, comandante la compagnia. < Ci avevano scelto fra i più robusti ma la fatica era bestiale. Ho ancora sulle spalle i segni delle traversine che trasportavamo a braccia. Mangiare quasi niente, botte tante. 1 tedeschi non badavano a spese: picchiavano con quel che avevano in mano. In più, i bombardamenti alleati. Una trentina di noi ci ha lasciato la pelle ». Dopo sei mesi di questa vita arriva lo sbarco alleato in Normandia. A metà giugno la compagnia del genio lascia il nord e scende ad Avignone, nella Francia meridionale. Qualche settimana ancora e poi il fronte tedesco crolla anche in questo settore. Il 15 agosto gli anglo-americani sbarcano in Provenza. La Wehrmacht è costretta a ritirarsi lungo la vallata del Rodano. I prigionieri sono divenuti un peso inutile. Leibbrand non può portarli con sé, senza menomare l'efficienza del suo reparto. Cornelli e i suoi compagni' non sono tedeschi, quindi non sono uòmini: sono meno preziosi dell'equipaggiamento e si possono gettare senza rimorsi. c II pomeriggio del 21 agosto fummo condotti in aperta campagna, tra Orange e Piolenc » racconta Cornelli. « Eravamo una ventina: sei erano rimasti ad Avignone Lavorammo sino a notte a coprire di frasche i camion della compagnia. Poi ci accucciammo a terra per dormire. Era tutto tranquillo Si stava bene sull'erba, se non fosse stato per quelle civette che cantavano nel bosco vicino. Verso le due i tedeschi ci svegliarono a furia di calci e cazzotti. Eravamo sfiniti dalla fatica e dalla fame, e imbambolati dal sonno "Svelti, a caricare i camion!" gridavano e noi ci incamminammo con le nostre pale Fatti trenta metri, «bucammo in una piccola radura al centro del bosco. Feci ano scampato all'eccidio dei o dal nazista Kurt Leibbrand ll(]lllIllilII(l]M11llll1IITtllt)Illl11!llllllllllI[MIIIII» hi di soldati che ci aspettavano con i fucili mitragliatori imbracciati. Cominciarono subito a spararci addosso. Mi gettai di lato e una raffica mi colpì al fianco sinistro. Rotolai in una siepe e mi nascosi. Perdevo sangue dal petto e dalla schiena. Ho sentito sparare e gridare per qualche minuto, poi ho capito che tutto era finito ». « / tedeschi hanno ammazzato sedici dei mìei compagni. Molto tempo più tardi seppi che lo stesso giorno avevano ucciso anche i sei che erano rimasti ad Avignone. L'abbiamo scampata in quattro: io, Apostolo Alberti che abita qui a Brescia nella frazione San Polo, uno di Taranto, Mario Guidetti, e un altro di Cosenza, Leone Di Benedetto. Rimasi in quella siepe tutta la notte. Ero sfinito: non avevo neppure la forza di scacciare le zanzare che mi hanno fatto venire una testa così. Poi mi trascinai in un podere vicino e un contadino e sua moglie mi salvarono >. Leibbrand ha raccontato alla Procura di Stoccarda che i prigionieri italiani furono fu¬ I1IIUI1IIIIIIIIIIIIIII1IIII ll111IIIIIIIIIIIIII1IIIII cilati perché minacciavano di ribellarsi: l'ordine gli venne da un comando superiore. Cornelli sorride: < Ma come potevamo rivoltarci, se non riuscivamo a stare in piedi t Prima della guerra pesavo quasi cento chili: ad Avignone ero ridotto a quarantasei. Quando quella gente porta la divisa non capisce più nulla ». Tutto questo Pietro Cornelli lo racconterà in Corte d'Assise di' frónte' ai magistrati tedeschi ed a Leibbrand. Sarà un confronto interessante. Da una parte, il notissimo urbanista tedesco, l'esperto internazionale ài problemi del traffico, che ha lavorato a Roma e in altre capitali europee ed ha potuto pagarsi la libertà provvisoria con una cauzione di 38 milioni di lire. Dall'altra un modesto fattorino di banca bresciano, a 70 mila di stipendio, con moglie e due figli a carico, che sacrifica quattrini e ferie per ritornare ogni estate sul posto dove i suoi compagni di prigionia furono uccisi perché «.non servivano più» ai soldati di Hitler. S- Pa. MlllII1IIlIlllllllIIIlIlllllillllMIIIillIllllllllllllllllllll