Il conte Lora Totino rischia in Egitto quindici anni di carcere per un casinò di Francesco Rosso

Il conte Lora Totino rischia in Egitto quindici anni di carcere per un casinò Con II finanziere torinese sono implicati nitri sei italiani Il conte Lora Totino rischia in Egitto quindici anni di carcere per un casinò E' una vecchia vicenda - Nel '54 Nasser accettò la proposta di costruire sulle rive del Nilo una casa da gioco che avrebbe dovuto sottrarre la clientela internazionale a Sanremo, Nizza e Montecarlo - Ma poi vietò agli arabi di frequentarla ed impedì agli stranieri di trasferire all'estero le somme vinte -1 giudici del Cairo si sono inseriti in una causa discussa a Milano fra gli italiani ; l'accusa è di aver portato ingente valuta in Italia (Dal nostro inviato speciale) n Cairo, 11 dicembre. Nella disavventura giudiziaria in cui sono incappati il torinese conte Dino Dora Totino ed altri sei uomini d'affari italiani, sui quali pesa la minaccia di trascorrere quindici anni nelle galere egiziane, le meno confortevoli del mondo, roulette e baccarà, vizio ed affarismo, hanno un ruolo sinistro e determinante. Da vicenda incominciò intorno al 1954, un momento in cui Nasser pareva disposto ad una politica distensiva con i paesi occidentali che avrebbero dovuto aiutarlo a salvare l'Egitto dalla catastrofe finanziaria e l'incremento turistico poteva essere uno dei pilastri su'cui poggiare l'economia egiziana. Il conte Dora Totino propose una soluzione, aprire due case da gioco, una al Cairo ed una ad Alessandria, che avrebbero potuto fare la concorrenza ai casinò di Montecarlo e Sanremo. Nasser accettò la proposta, anche perché gli avevano detto che le case da gioco sono fontane dagli zampilli d'oro, e fu costituita una società, la Sammo, per l'esercizio di un casinò nell'ex-residenza estiva di Faruk a Montazah, sulla comiche di Alessandria, ed uno al Mokattam, la nuda, polverosa, scheletrica collina che domina Il Cairo. Per il casinò di Alessandria fu agevole trasformare gli annessi di farukiana memoria; molto più ardua si rivelò, invece, la trasformazione della collina di Mokattam sulla quale, tuttavia fu rapidamente costruita la casa da gioco, un modernissimo edificio in cristallo e acciaio. Il casinò, pur presentando una voce importante nella società costituita da Dora Totino, era però un succedaneo, doveva essere il centro catalizzatore di un'attività urbanistica che, se avesse avuto successo, avrebbe reso miliardi ai soci. Il conte Dora Totino, associato al trevisano dott. Antonio Roma, aveva ottenuto in concessione trentennale 49 milioni di metri quadrati di terreno sulla collina di Mokattam che avrebbe dovuto lottizzare e tras/armare in zona residenziale per i ricchi egiziani che desideravano fuggire dalle bassure del Cairo affogate nel caldo e negli odori poco gradevoli delle folle arabe. • Il progetto era bellissimo e il conte Dora Totino, in uno slancio di gratitudine per Nasser, regalò una monumentale fontana luminosa in mezzo al NUo che accresce la suggestione del gran fiume. Sempre nel fervore iniziale, il conte si impegnò a trasferire in Egitto un milione e 650 mila dollari per la valorizzazione del Mokattam, più un altro milione di dollari per costruire una funivia che dal ponte di Kasrh el Nihl, noto come il ponte dei'leoni, avrebbe collegato la città bassa alla cima della collina. Di quella gran somma, arrivarono in Egitto 985 mila 858 dollari, il resto rimase in Europa. De cose non marciarono per il loro verso perché Nasser, con gesto di imperio, vietò agli egiziani di frequentare le case da gioco. Inoltre, se la pallina della roulette è talvolta favorevole, il giocatore non può trasferire all'estero nemmeno un centesimo del guadagno, perché le leggi valutarie egiziane sono severissime. I soli forestieri che non si spaventavano degli impacci burocratici erano gli emiri saudiani i quali, ricchi di dollari accumulati con le roy&lties del petrolio, trascorrevano al tavolo verde quasi interamente le loro notti cairote perdendo somme ingenti, ma talvolta anche guadagnando. Attraverso la sede egiziana della banca dell'Arabia Saudita, riuscivano poi a trasferire clandestinamente tutte le somme che volevano, finché la polizia tributaria li scopri, sequestrò la banca, condannò ad un buon numero d'anm di galera il direttore, ed il casinò di Mokattam perdette anche quei buoni emiri pinoti' di dollari. Il casinò non era una fon¬ te di reddito cospicua, gli incassi lordi negli ultimi tempi si riducevano a trentamila lire egiziane al mese, circa 45 milioni nostri, su cui il governo egiziano prelevava il 15 per cento, circa otto milioni. Inoltre, la società immobiliare che avrebbe dovuto trasformare il Mokattam in luogo di mollezze orientali, non riuscì a Vendere che 850 mila metri quadrati per circa un miliardo e mezzo, di cui dovette versare il 25 per cento al governo egiziano. Ma quei terreni sono rimasti nudi, brulli, inospitali, la città da € Mille e una notte > circondata di giardini non à mai sorta. Per arrivare alla aspra cima del roccioso Mokattam bisogna percorrere una strada che attraversa uno dei sobborghi più miserabili e tetri del Cairo, la città dei morti, sterminato cimitero musulmano abitato da folle di straccioni, mendicanti, storpi, ciechi, monchi che si sono costruite capanne di fango fra le tombe. Da funivia avrebbe consentito di sorvolare quel mondo di miseria ai saltuari giocatori d'azzardo, ma non fu mai nemmeno iniziata. Da società per la gestione dei casinò passò di mano in mano, il conte Dora Totino si tenne la presidenza della società immobiliare, ma poiché le cose non andavano per il verso desiderato, i soci incominciarono a litigare e il dott. Antonio Roma denunciò alla procura di Milano il conte Dora Totino e l'industriale padovano Ivone Grassetto ed altre sei persone che il 31 marzo scorso furono assolte con formula piena dall'accusa di appropriazione indebita ed altri reati. Il Procuratore generate presso la Corte di appello di Milano, dott. Trombi, impugnò la sentenza. Da magistra¬ tura egiziana fu pronta ad entrare in azione, e dopo una inchiesta ha denunciato — per aver trasferito clandestinamente all'estero 250 mila lire egiziane, circa 425 milioni nostri — il conte Dora Totino, il dott. Giovanni Di Bella, funzionario della ex-Banca Commerciale Italiana in Egitto e procuratore della ditta « Ivone Grassetto >, il dott. Silvio Tonello, direttore generale della < Ivone Grassetto », l'ing. Giuseppe Geraci, di Caltagirone, direttore della società che gestisce i due casinò, l'avv. Franco Dabriola, di Roma, direttore delle sale da gioco, il comandante navale Vlaho Bruer e l'aw. Umberto Pace di Alessandria d'Egitto. Per tutti, il P. G. egiziano ZIafez Sabek ha chiesto la condanna a quindici anni di carcere ed un'ammenda che si aggira sul miliardo e 300 milioni di lire italiane. In Egitto si trovano attualmente soltanto il conte Dora Totino, il dott. Di Bella e l'ing. Geraci ai quali è stato tolto il passaporto perché non possano fuggire. Il conte Dora Totino alloggia con la consorte nel mio stesso albergo, lo Shepheard's, e benché amareggiato, non sembra molto preoccupato per il processo che dovrebbe svolgersi tra pochi giorni. Ma è opinione diffusa che, con l'aria poco favorevole a tutti gli europei che tira in Egitto in questi giorni, le cose possano mettersi male per lui e gli altri due italiani implicati nella faccenda e che le galere del Cairo poste proprio ai piedi della collina del Mokattam, che doveva essere il piedistallo per la gloria finanziaria di Lora Totino, possano diventare luogo di un lungo e sgradevole soggiorno. Francesco Rosso