Lo scrittore più odiato dagli ultras algerini ha ricevuto il Premio Goncourt per il romanzo di Sandro Volta

Lo scrittore più odiato dagli ultras algerini ha ricevuto il Premio Goncourt per il romanzo SI PREVEDONO VIOLENTE REAZIONI DELL'ESTREMA DESTRA Lo scrittore più odiato dagli ultras algerini ha ricevuto il Premio Goncourt per il romanzo Jean Cau, allievo ed ex-segretario di Sartre, ha condotto sull'«Express» una lunga campagna contro il colonialismo ed il fascismo - Ha scritto in pochi mesi, in Spagna, l'opera premiata: «La pitie de Dieu», la storia di quattro ergastolani chiusi in una cella - Si avverte in essa l'autore formato da una duplice esperienza, filosofica e giornalistica ; ma i critici sono stati unanimi nell'apprezzarne le qualità letterarie - Mentre preparava il romanzo, Cau scrisse anche un libro sulla tauromachia per dimostrare che, in questo campo, Hemingway era un dilettante (Dal nostro corrispondente) Parigi, 20 novembre. La pitie de Dieu di Jean Cau, che ha avuto stamane il Premio Goncourt, è probabilmente il miglior romanzo dell'annata. Di questo parere è staro pressoché unani¬ me la critica e si può perciò escludere che la decisione della giuria sollevi anche quest'anno le solite discussioni sul valore letterario dell'opera premiata. Aspri contrasti sono tuttavia da prevedere in sede po- litica -r.ul nome del giovane scrittore, perché Jean Cau, che è un coraggioso denunciatore delle violenze colonialiste in Algeria e nella metropoli, è uno degli uomini più odiati negli ambienti dell'estrema destra. In un momento in cui le passioni di parte agitano la vita francese, la vittoria di Jean Cau, attivissimo militante dell'antifascismo, assume perciò un significato polemico che non si può trascurare. • L'autore del libro premiato ha-96 anni ed è stato fino a pochi anni fa segretario di Jean Paul Sartre. Per lui laureato in filosofia e autore di saggi che pubblicava anche su Temps Modernes, Sartre era, più che il principale, un maestro, e la sua influenza non ha mancato di lasciar tracce nello scrittore che è stato consacrato oggi dal massimo premio letterario francese. Le discussioni intorno al partito comunista, che agitarono gli ambienti intellettuali all'epoca dell'insurrezione di Budapest, determinarono però qualche dissenso personale fra i due, dissenso che andò approfondendosi quando Cau entrò a far parte della redazione del settimanale L'Express, sulla cui linea politica Sartre ha sempre manifestato una certa opposizione. Ma il distacco dall'intimità col capo esistenzialista, fu l'occasione che dette modo a Jean Cau di esprimere con. maggior pienezza la propria personalità. Per conto del settimanale democratico, ha compiuto infatti le più appassionanti inchieste, in mezzo agli ultras d'Algeria, che hanno attentato più volte alla sua vita, fra gli ufficiali di carriera recalcitranti alla disciplina militare, negli ambienti polizieschi responsabili di angherie contro i lavoratori algerini residenti in Francia. Da alcuni anni, non c'è stato avvenimento nelle prime pagine dei giornali senza che Jean Cau fosse presente, e di tutti quegli avvenimenti è stato il cronista appassionato, libero da ogni preoccupazione conformista.. Il solerte impegno giornalistico non gli ha tuttavia impedito di scrivere nello stesso tempo alcuni libri, come Les paroissiéns e Mon vlllage, cronache di St. Germain-des-Prés, il quartiere dove l'autore ha sempre vissuto. Esse, pur dovendo essere considerate opere minori, rivelano un vivace talento di narratore. Per scrivere La pitie de Dieu, invece, Jean Cau. ha preso nella primavera scorsa sei mesi di aspettativa dal settimanale ed è andato a trascorrerli in Spagna, dove, insieme al romanzo, ha scritto anche un libro sulla tauromachia, Les oreilles et la queue, con la scoperta intenzione di mettere in evidenza il dilettantismo di Ernest Hemingway. La pitie de Dieu è la storia di: Quattro uomini, cTie sono probabilmente degli assassini, ma il dubbio è mantenuto durante tutta la narrazione, i quali, condannati a vita, scontano la pena rinchiusi insieme nella cella d'un carcere che non si sa dove sia, 'in riva al mare o ai limiti d'un deserto: sempre insieme, giorno e notte, senza mai uscire da quelle quattro mura, dove ognuno di loro respira, mangia, sogna, è sopraffatto dai propri rimorsi sotto gli occhi degli altri tre. Abbiamo detto che Cau non si è mai liberato del tutto dall'influenza di Sartre, ed è infatti a Huìs clos che vien fatto di pensare davanti a questa situazione, ' enché i personaggi della commedia di Sartre fossero dei morti, mentre invece i quattro di Cau sono persone vive: quattro ergastolani fra i quali nasce una certa solidarietà umana, che si manifesta nell'aiuto che ciascuno dì essi dà agli altri affinché non si spenga l'tKusione dell'antica esistenza. I quattro sono un medico epilettico, un ex-pugile, un giornalista, un giovane operaio che aveva molto successo con le donne, ma non ha ammesso che la sua lo ingannasse. Per illudersi, mettono insieme i loro ricordi, le loro confessioni, le loro menzogne. Ciò crea una straordinaria atmosfera, in cui l'inverosimiglianza dei fatti, l'allucinante situazione, sono equilibrate e rese sopportabili soltanto dal realismo del linguaggio, d'uno stile impeccabile. Le confidenze dei quattro si aggirano di continuo sul problema della loro colpevolezza senza risolverlo mai: è possibile che Alex, il boxeur, abbia ucciso la persona che amava perché, disprezzandolo, lo aveva umiliato; come pure che Match, il giornalista, il quale adorava la madre ed era geloso d'un fratello da lei preferito e del marito che non era suo padre, abbia commesso il matricidio per amore. In quanto a Eugène, l'operaio, niente prova che non sia lui l'assassino della moglie e del suo amante. Più complicato è il caso del dottore epilettico, a proposito del quale bisogna pensare a sentimenti morbosi per giustificare l'assassinio della moglie. Dai loro discorsi, interminabili e ondeggianti, il dubbio si manifesta: loro stessi non sanno più se sono colpevoli o innocenti. A forza di soppesare ogni circostanza, finiscono per chiedersi se, anche nel caso in cui fossero proprio colpevoli, non potrebbero essere ancora innocenti. In questo dubbio, l'autore ha realizzato le proprie intenzioni, che sono quelle di dimostrare come, sotto un certo aspetto, gli assassini agiscono sempre per legittima difesa, e, nel- 10 stesso tempo, che nessun assassino è innocente. Un tale assunto non poteva naturalmente evitare una certa verbosità, un certo schematismo nella figurazione dei personaggi, e non si può certo dire che Jean Cau sia riuscito a evitarlo. Ma La pitie de Dieu si salva dai pericoli a ciò inerenti con la vivezza del suo linguaggio, la straordinaria prosa d'un narratore che ti è formato fra i testi di filosofia e la tecnica moderna dei reportages giornalistici. Ci sono pagine, in questo romanzo, che non si possono più dimenticare e Hanno già acquistato diritto di soggiorno nelle antologie. A confermare la validità dell'opera e a conferirle un significato preciso, c'è, poi, 11 filo che lega tutte quelle oscure angoscie, quel turbine di sentimenti contraddittori, che porterebbero a invocare la pietà di Dio, se si potesse credere alla sua esistenza. Più intelligente a più cinico degli altri tre, il dottore se ne assume lui la parte: quella di un dio-coscienza, che pensa per loro, per salvarli dalla disperazione del nulla, un dio che ha il compito di dissolvere in un'analisi acida i criteri del bene e del male, per render» sopportabile agli ergastolani il sentimento della propria colpevolezza. Sandro Volta Jean Cau, vincitore del Premio Qoncourt (Telefoto)

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