Dietro lo schermo dell'incantata Riviera il retroterra ligure è povertà e desolazione

Dietro lo schermo dell'incantata Riviera il retroterra ligure è povertà e desolazione AMARA REALTÀ' DEL "PICCOLO MEZZOGIORNO,, SETTENTRIONALE Dietro lo schermo dell'incantata Riviera il retroterra ligure è povertà e desolazione A mezz'ora di auto da Imperia, villaggi che vanno spopolandosi, paesi senza strada e senz'acqua - Molte famiglie hanno un reddito annuo inferiore a 150 mila lire ; eppure le tasse sono pesanti - La gente guarda alla « marina » come ad un miraggio ; sogna di tagliare i pochi ulivi, i castagni che non merita coltivare, e di prendere un lavoro qualsiasi sulla costa - Là, almeno, c'è da mangiare (Nostro servizio particolare, Imperla, ottobre. Interno della Liguria, sotto la cornice del contine francese- Sono queste le aree depresse, il « piccolo Mezzogiorno > del Nord. Le campagne sembrano deserte, gli incontri sono rari; la gente, avvilita dalla miseria, rifiuta il colloquio, incapace di comunicare. Su un greppo isolato, a pochi passi dalla strada, una bambina di otto o nove anni gioca con un pupazzo avvolto in un panno sbiadito, rosso e celeste. Avvicinandomi scopro che il pupazzo è soltanto una pietra levigata, grigia, con due segni neri per indicare gli occhi. La bambina non risponde alle domande; non risponde una donna che passa correndo sghemba in una veste nera da cui spuntano grossi stivali di foggia militare. Mugola parole senza senso, impaurita. Si ha in generale un'idea ridente della Liguria. Ma una visita attenta rivela che la natura e gli uomini cambiano bruscamente a pochi chilometri dalla costa. In molti comuni lo spopolamento è stato del trenta per cento in dieci anni (in tutto l'Imperiese quaranta per cento dall'Inizio del secolo). Un terzo della popolazione ha un'età superiore ai 65 anni. Sulla costa un ettaro di terra dedito alla coltivazione dei fiori rende anche un milione all'anno, qui un ettaro a uliveto rende 200 mila lire se irrigato e curato razionalmente, altrimenti poco o nulla. Abbiamo visitato le zone alle spalle di Imperia, verso Triora e le Alpi Marittime, scendendo poi a Pieve di Teco per esplorare i villaggi poverissimi che più sorprendono per la vicinanza alla prospera rivieraOvunque si sono ripetute le stesse annotazioni: spopolamento, abbandono o taglio degli uliveti, mancanza di stra de e di acqua, peso fiscale insopportabile (a Borghetto d'Arroscia, un contadino prò prietario di tre ettari paga 20 mila lire all'anno di imposta di famiglia), analfabetismo o semianalfabetismo diffusi, con punte del venticinque per cento. Per arrivare a Montecalvo l'automobile arranca penosamente su un sentiero appena tracciato; la frazione raccoglie una dozzina di case, su una sella dominata dalla chiesa. Uno spiazzo è il centro de) paese: vi accorrono impaurite cinque vecchie, deformate dall'artrite e dalle fatiche. Ci osservano da qualche metro di distanza, scompaiono dietro 11 campanile. Due giovanotti caricano su un autocarro che poi miracolosamente scenderà a Pieve i tronchi d'ulivi tagliati negli ultimi giorni: «SI deve mangiare in qualche modo Tagliamo gli ulivi poi ce ne andiamo alla marina », mi dice quello dall'aria più sveglia. « La marina > è la riviera, verso cui tutti emigrano in cerca di lavoro. Mentre salgo verso Ubaga incontro il postino della zona. Basso, magro, dal viso rosso e dagli occhi furbi, ha sottobraccio una logora borsa di Impiegato: alcuni giornaletti del sindacati cattolici e della Federazione coltivatori, opuscoli pubblicitari, cinque cartoline illustrate, una lettera. Il postino si chiama Attillo Donato. Tutto l'anno corre su questi monti per otto o nove ore al giorno, cominciando 11 giro verso l'una e rincasando a notte, dopo aver fatto più di 15 chilometri a piedi, superando un dislivello complessivo di mille metri. Stipendio: 32 mila lire al mese. Sua è la borsa, sua la torcia elettrica con cui illumina il cammino nei boschi e nelle macchie per scendere a valle. L'amministrazione postale non gli passa neppure le pile di ricambio. Attilio Donato me lo comunica quasi angelicamente, senza risentimento; poi mi.accompagna dal notabili di Ubaga, passando fra povere case senza vetri alle finestre. I notabili sono il sarto, Rino Moraglia e l'unico giovane contadino rimasto fedele alla coltura dell'ulivo, Aldo De Andreis, proprietario di 400 alberi. Dopo l'iniziale diffidenza (il sarto temeva In me un ispettore di chissà quale misterioso ufficio cittadino) mi raccontano che gli abitanti di Ubaga si sono ridotti in pochi anni da 180 a 54. Lamentano l'insopportabile peso delle tasse: il sarto paga circa 25 mila lire all'anno fra imposte e contributi, una cifra senz'altro enorme in questi paesi, dove molte famiglie hanno un'entrata annua lorda inferiore alle 150 mila lire, racimolate vendendo a valle un po' di olive. Mi dicono che la spesa media per l'alimentazione è di 300 lire al giorno: pasta, sale, zucchero, farina. La carne compare soltanto alla domenica. I minuscoli poderi, di uno o due ettari, su terreno scosceso, non irrigati, ridotti quasi allo stato selvatico, danno patate, pomodori, un po' di vino da vigneti malaticci, mele, naturalmente olive. L'olivo era il fondamento dell'economia di queste zone: oggi la sua decadenza è causa della loro rovina. Il quadro si ripete in tutti i comuni e in tutte le frazioni dell'entroterra. Nirasca, frazione di Pieve di Teco, aveva 200 abitanti ed oggi ne ha 80. A Lovegno la popolazione è scesa da 150 anime a 70; in tutto il paese c'è una mucca; non ci sono più ulivi, i castagni non rendono nulla perché non vale la pena di raccogliere il frutto e portarlo ai mercati, essendo troppo bassi ì prezzi offerti dai grossisti. Lo stesso avviene per la frutta nei comuni della valle: a Borghetto d'Arroscia 1 contadini ricavavano nell'estate 30 lire da un chilogrammo di pesche scelta venduto a 200 lire nel negozi della riviera, distante meno di mezz'ora. La signora Iolanda Ferrari, sindaco di Armo (277 abitanti ridotti a 200, dal 1° gennaio 3 morti, zero nati) mi illustra i redditi del comune: 300 mila lire all'anno, ricavate dalla vendita di boschi. Legna da ardere, che oggi ha un valore molto basso. MI parla poi di una speranza diffusa: la nascita di una qualsiasi industria a Pieve di Teco. Dando lavoro a qualche centinaio di capi di famiglia, tratterrebbe gli uomini validi nei piccoli paesi vicini a Pieve di Teco, raggiungibile con le corriere. Anche il sindaco di Pieve di Teco, signor Lengueglia, insiste sul progetto: «Offriamo gratuitamente un fabbricato molto ampio, cinquemila metri quadrati coperti, a chi intenda impiantare una industria a Pieve di Teco. Un calzaturificio troverebbe la mano d'opera specializzata, qui c'erano 200 calzolai, ora ridotti ad altri mestieri perché vinti dalla concorrenza della fabbricazione in serie. Oppure un caseificio, una fabbrica di giocattoli. Il legname non manca ». A Pieve di Teco non c'è a 11111 > 111:11111 r 111111111:11111 i 1111 ■ 111 ■ 11111 ■ i ■ c < i < r 11 ■ rassegnazione, ma un fervore sorretto dalla speranza che la buona volontà non resti senza aiuto. Nei paesi delle colline e delle montagne la sfiducia è cupa. In un casale vicino a Rezzo mi intrattiene un vecchio sentenzioso: «Io leggo i giornali, so che i giornali parlano del piano verde. Ma tutta l'acqua se ne va al mare. Gli aiuti toccheranno a chi ha terre ricche. A noi non resta che tagliare gli ulivi e andarcene tutti alla marina ». Il miraggio della « marina », della riviera che offre lavoro abbondante e guadagni alti, diventa ossessivo. Il vecchio aggiunge: «II figlio di mio nipote Pippo è alla marina da sei mesi, fa lo spazzino. Mangia moltissimo, pesa 80 chili». Mario Fazio i ; 11111111111 ! 11 ■ i ( 111 ■ 11111111 s ; 1111111 ■ 111 t 111111111 : ì s i u

Persone citate: Aldo De Andreis, Iolanda Ferrari, Lengueglia, Mario Fazio, Montecalvo, Rino Moraglia