Sfrattati perché hanno reso troppo produttivi aridi terreni di Fausto De Luca

Sfrattati perché hanno reso troppo produttivi aridi terreni Un caso quasi incredibile aite porte di Romu Sfrattati perché hanno reso troppo produttivi aridi terreni Sono dodici famiglie • Nel '46 ottennero i campi che il principe Brancaccio riteneva inutili - Dovevano coltivare grano e avena - Dopo il '50 migliorarono il fondo trasformandolo in azienda modello, con orti, viti e frutteti • Questo non era previsto nel contratto : vengono quindi scacciati come inadempienti - L: terra torna al principe (Nostro servizio particolare) Roma, 18 settembre. Dodici famiglie di contadini, settanta persone tra adulti e bambini, che in quindici anni di lavoro hanno trasformato un terreno incolto in un'azienda modello saranno sfrattati domani pomeriggio alle ore 16 dai messi giudiziari e, se necessario, dalla forza pubblica, in esecuzione di una sentenza della Corte di Appello dì Roma. Il torto dei contadini, associati nella cooperativa « Italo Grimaldi », è proprio quello di aver creato una azienda moderna, con vigneti, uliveti, frutteti, orti e allevamenti di polli e di conigli. Mentre avrebbero dovuto limitarsi a coltivare soltanto grano e avena. Il dispositivo della sentenza della Corte di Appello dice infatti che il Tribunale delle terre incolte che assegnò la terra ai contadini nel 1946 imponeva di coltivare grano nei primi due anni di concessione ed avena nel terzo anno. Invece < si è accertato che il fondo < Pedica delle Ginestre » è quasi totalmente impegnato da piantagioni arboree, viti, ulivi, peschi, e che il fondo di Prato Vitello (pure interessato alla cooperativa) per circa tre quarti della sua estensione è occupato da viti e da alberi da frutto nonché da coltivazioni orticole di carciofi, fave, piselli. Risulta quindi che la cooperativa ha modificato radicalmente le colture del fondo avuto in affitto... Pertanto si condanna la cooperativa al pagamento delle spese ed al rilascio degli immobili ». Costretto entro questi rigorosi confini formali, il dibattimento, che opponeva i soci della cooperativa « Italo Grimaldi » al proprietario della tenuta, il principe romano Rolando Brancaccio, si è inevitabilmente risolto con la completa sconfitta dei contadini. Questi hanno invano rifatto la storia della loro concessione, ricordando che nel 1946 il principe Brancaccio dichiarò di non voler mettere a coltura la sua tenuta di < Pedica delle Ginestre » (cosi chiamata perché coperta soltanto di vegetazione spontanea) in quanto la giudicava povera e sterile. Fu questa dichiarazione che convinse il Tribunale delle terre incolte ad assegnare I 28 ettari di proprietà del princi pe, a 18 chilometri da Roma sulla Via Palombarese, ad un gruppo di contadini che si impegnavano a trarne una produzione e un reddito. Eù è nel quadro delle necessità dell'epoca — era appena finita la guerra, il grano scarseggiava e il foraggio era introvabile — che va spiegata, secondo i contadini, la disposizione che imponeva di coltivare grano ed avena. La disposizione del Tribunale fu comunque scrupolosamente rispettata dalla cooperativa nei tre anni della concessione. Poi intervennero, per disposizione del governo, delle proroghe legali attuate anno per anno; i contadini, che avrebbero dovuto lasciare il fondo, vi restarono e si ritennero liberi dal vincolo culturale del grano e dell'avena. Nello stesso tempo le condizioni generali del paese cominciavano a modificarsi, coltivare grano era meno necessario, anzi i contadini venivano sollecitati a rivolgersi verso colture più redditizie. Ecco quindi le tra¬ iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiu sformazioni dei fondi del principe Brancaccio. Prima fioriture di ginestre, suggestive ma improduttive, poi distese di grano, infine la varietà degli orti, delle viti, 1 filari degli alberi da frutto, le installazioni tecniche di una agricoltura avanzata, adeguata alle esigenze del grande mercato di consumo costituito dal due milioni di cittadini della capitale. I contadini della cooperativa, ha scritto < Il popolo », < hanno attuato, nel loro piccolo mondo, alcuni tra 1 più importanti principi informatori del "Plano verde": si sono sottoposti a privazioni per acquistare piccoli trattori, motocoltivatori, pompe per irrigare quelle terre una volta brulle; hanno comprato viti, torchi, pigiatrici per trasformare i grappoli d'uva in vino genuino. E non basta: i frutti di quei terreni vengono trasportati ai mercati generali dagli stessi lavoratori con furgoncini di loro proprietà». Tutto questo lavoro, che adesso, a quindici anni dal suo inizio, cominciava a dare i primi frutti, aprendo alle dodici famiglie di « Pedica delle Ginestre» la prospettiva di un sereno avvenire, viene adesso spazzato via dal meccanismo implacabile di un ragionamento giuridico strettamente formale. « Dura lex, sed lex », ha scritto il giornale della democrazia cristiana pur commentando con amarezzala sentenza della Corte. Ma ciò che colpisce è il fatto che la sentenza ha interrotto il mec canismo della proroga legale della concessione della terra alla cooperativa. Il beneficio della proroga può essere negato soltanto nel casi di < grave inadempienza». Ed è appunto questa < grave inadempienza» che la Corte ha ravvisato nella trasformazione dei campi di grano in frutteti, vigneti, uliveti ed allevamenti di bestiame. Là sentenza di sfratto sarà eseguita domani pomeriggio. < Pedica delle Ginestre > sarà restituita al principe Brancaccio al quale i contadini della cooperativa « Italo Grimaldi > hanno dimostrato che da quelli), distesa « povera e sterile » poteva nascere e svilupparsi un fiorente centro di vita contadina, in un periodo che vede le campagne spopolarsi per l'esodo degli agricoltori verso le città. Fausto De Luca

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