Chi è felice?

Chi è felice? Chi è felice? Nei giorni passati, alle Reticontres ginevrine, filosofi, pensatori e studiosi di mezzo mondo hanno discusso su un tema che a prima vista rischia di apparire inattuale, se non assurdo. Infatti certi osservatori hanno subito detto: in un mondo che si illumina della luce livida delle atomiche, parlare di felicità non è un po' come discutere sul sesso degli angeli quando i barbari sono alle porte? Ma l'idea degli organizzatori non è poi cosi peregrina, se in, Francie qualche mese .prima hanno addirittura girato un film sullo stesso tema. Il film, presentato anche a Venezia, s'intitola: Lei è felice? E' una specie di documentario, di inchiesta condotta da un gruppo di giovani per. le strade, negli uffici, nelle case, secondo l'ispirazione del momento. Ideato da uno studioso di problemi sociali, il film ha un certo ritmo, ma alla base è viziato da un sospetto di- inattendibilità. Del resto, è un'esperienza che ognuno di noi può fare nell'ambito delle proprie conoscenze. Pròvate a sedervi al caffè con- degli amici e a chiedere: -sei felice? siete felici? Basta fare' la domanda per capire che una risposta veramente sincera non l'avremo mai. Nel film si leggeva sul volto degli interrogati, più che' la sorpresa, il disagio. Forse l'unico atteggiamento autentico era quello di chi rifiutava il dialouo e opponeva il pudore alla confessione. Accettare la confessione equivale il più delle volte a dimostrare l'impossibilità della felicità. Ogni storia umana si arena fatalmente sul dolore o sulla delusione o sull'assenza. Proprio per quegli intervistati sarebbe stata accettabile qualsiasi altra domanda, magari'più intima, più segreta : perché erano domande che rientravano nel giuoco delle cose, mentre la domanda sulla felicità implica necessariamente un giudizio sulla propria vita, insomma una risposta capitale. Altre volte, il discorso restava bloccato brutalmente dal segno del dolore. Penso all'uomo di mezza età che corre al'lavoro e alle sue poche parole soffoca' te: «ho perso mia sorella, ave va cinquantaquattro anni ». L'eloquenza dell'infelicità è assoluta, non ha i vuoti e le lacune di quella della felicità II film — e alla fine lo dirà lo stesso regista — concludeva sul nulla di fatto. Caso mai, era un campionario di naufragi di feli cita. Ma torniamo a Ginevra, dove altri osservatori sono rimasti sorpresi di vedere trattato il tema della felicità subito dopo quello trattato l'anno scorso, della fame. Secondo loro non c'era fra i due temi nessuna relazione, ma se fossero stati più caliti, -i sarebbero accorti che fra fame e felicità c'è più di un punto di contatto nel quadro della storia degli uomini. Vincere la guerra contro la fame vuol dire offrire a molti milioni di ucmini il primo segno della felicità; e se gli spiriti responsabili hanno una speranza in comune, è pioprio quella di attuare sul piano della realtà pratica il progresso, il miglioramento delle condizioni di vita La storia registra due idee di felicità: quella suggerita dalla religione e che sposta i contini al di là della vita (non solo, ma predica una felicità eterna,- assoluta), e l'idea della felicità immediata, da ottenere in questo mondo, senza scadenze chiuse nel segreto del futuro. La felicità per dopo e la felicità subito. Ognuno può fare liberamente la sua scelta; ma basta guardarsi intorno, per vedere quale tipo di felicità venga oggi preferita. Sennonché il successo dell'idea « nuova » di felicità, secondo la mitologia del Settecento francese e soprattutto degli uomini della Rivoluzione, non ci aiuta a far molti passi avanti nella conoscenza stessa e quindi nella conquista della felicità. E' verissimo che c'è un margine di felicità a portata di mano, per cui è sufficiente lo spirito di concordia e di solidarietà di tutti gli uomini-, ma, a cominciare da Voltaire che la predicava, nessuno ha mai presentato questa idea come un rimedio assoluto. La medicina è buona, ma resta sempre condizionata dall'intervento del dolore, . della morte, della distruzione e alla fine è inefficace. A questo proposito Mauriac ha fatto notare che l'idea nuova di felicità immediata non basta all'uomo, altrimenti non si spiegherebbe la sopravvivenza dello spirito religioso nell'Unione Sovietica né la con tinuità della Chiesa ortodossa. Provate a immaginare un mondo perfetto nelle sue strutture sociali e politiche, sarà pur sempre un mondo legato al provvisorio, all'incerto, all'intervento implacabile del destino. Un mondo cosi conoscerà, soltanto una felicità parziale, una felicità a cui manca qualcosa, casuale, per cui sarebbe più esatto parlare di fortuna. Il termine pagano sembra oggi adattarsi meglio alle nostre condizioni di vita Noi sacrifichiamo generosamen t* all'idea di fortuna dal momento che adoriamo la forza, il suc¬ cgaa cesso pratico, il danaro. I nostri giorni non sono fatti principalmente di questa caccia spietata agli oggetti di illusione? L'altra felicità, quella che si insegue attraverso le rinunce, le pene, ha, almeno pubblicamente, un credito sempre più ristretto. 1 cronisti hanno raccontato con raccapriccio quello che è avvenuto a Monza, domenica scorsa, fra gli spettatori che hanno assistito da vicino alla sciagura automobilistica : la morte non li ha disturbati dal divertirsi, dal mangiare, dal continuare hello spettacolo. Era un incidente che non doveva spezzare la felicità del momento, insomma anche la morte era un pensiero importuno e molesto. Non gridiamo allo scandalo, quegli ■■iitiiiiMiMiiniiiiiiiitiiimiiitiim spettatori applicavano una regola che la maggior parte di noi segue alla lettera. E' la regola di chi nella vita crede di potere scegliere solo il piacere e il divertimento, di prendere senza pensare, senza pagare. Volevano questo i filosofi che esaltavano l'idea nuova di felicità? Certamente no. Essi credevano ancora a un uomo completo e non potevano pensare a un uomo dimezzato e schiacciato dalle cose. Essi avevano la religione dell'uomo libero, dell'uomo intero, mentre noi abbiamo solo la religione del corpo. Questo spiega perché a poco a poco dall'idea. di felicità siamo ripiegati su quella di benessere e il numero abbia ucciso l'individuo. Carlo Bo

Persone citate: Carlo Bo, Mauriac

Luoghi citati: Ginevra, Monza, Unione Sovietica, Venezia