Non troppo malconcia la selvaggina dopo la prima giornata di caccia di Antonio Antonucci

Non troppo malconcia la selvaggina dopo la prima giornata di caccia Dall'alba al tramonto in tutta Italia fuoco tambureggiante di un milione dì fucili Non troppo malconcia la selvaggina dopo la prima giornata di caccia Nonostante la massa di tiratori, locali e forestieri, riversatasi nelle campagne fin dalle prime luci del giorno, le lepri hanno trovato sicuro rifugio contro il piombo che pioveva da ogni parte nella ricca vegetazione agricola - Scarse nelle stoppie le quaglie, portate lontano da un vento benigno - Decine di cacciatori e di cani per abbattere un solo fagiano spaurito - Da ieri i pennuti, «nobili» o no, sono in allarme e snidarli è diventato più difficile DAL NOSTRO INVIATO Bondissone, lunedì mattina. Teoricamente, la caccia (un milione di doppiette in tutta Italia) si è aperta a mezzanotte suonata ira sabato e domenica. Praticamente, si era gii aperta prima, con l'allenamento dei cani, l'esplorazione del terreno e un po' di bracconaggio. Una specie di dichiarazione di guerra- Un po' più praticamente, la cacoia ha avuto inizio alle tre dopo la mezzanotte (in media) con l'alzarsi del cacciatore per indossare la sua uniforme e percorrere la distanza che lo separava dai campi di battaglia, dove lealmente non sarebbe stato lecito sparare prima delle quattro e trenta. Se pur si è sentito qualche colpo di fucile in anticipo, ebbene... Sì, è brutto cogliere gli animali nel sonno con le armi o nella penombra confusa dell'immediato risveglio, però... C'è questo: la. popolazione venatoria si divide in indigena e turistica. Per indigena, vogliamo intendere quella che si trova ad abitare nei pressi di qualche nidiata di fagiani, o starne, o lepri, o che altro dir si voglia. Mesi di pace hanno reso tutta questa « gente » abitudinaria e senza sospetti. E' facile quindi coglierla di sorpresa, e a colpo sicuro. Se non fa così, la popolazione c indipena >, in minoranza com'è, è travolta dal numero, e non le resterebbe quasi nulla. D'altronde, questo parziale « assassinio » illegale ha il benefico effetto di dare l'allarme ai superstiti. Andiamo con i c turisti > in una zona qualsiasi. Abbiamo scelto Bondissone (e vicinanze su largo raggio) perché tra i settori più popolati di selvaggina (dicono). La protegge una donna, come presidentessa della sezione cacciatori, la si¬ gnorina Clementina Marco, e si sente quindi più tranquilla. A suo tempo sarà uocisa ma con le buone regole, il che è già molto. Il < turista * viaggia per lo più in automobile, che, per l'occasione, diventa un carro armato. C'è dentro il fucile, c'è il cane. Un buon cacciatore ha tre anime: la sua, quella del cane, quella del fucile. Vanno senza cane i cacciatori, come diref, di piccolo calibro: quelli che rasentano le siepi, nella speranza che ne sbuchi fuori qualche merlo distratto, o che battono i prati con il calcolo d'inciampare in qualche quaglia o pernice, per lo meno di fare alzare qualche allodola. (Di quaglie, quest'anno, ce n'erano molte ma se ne sono andate in tempo utile. E' venuto a prenderle un vento favorevole che, come tutti sanno, è il loro mezzo di trasporto). Per i € piccoli calibri», pub affacciarsi la fortuna di qualche tortora ma oggi se ne sono viste poche. C'erano invece molti stornelli. "Andrebbero bene anche i beccaflchi. Non ne abbiamo avuto notizie, il che però non signifioa che non ce ne fossero. Le situazioni variano da punto a punto. Avevamo appena finito la nostra annotazione sulle quaglie salvatesi a volo che ce ne hanno segnalate una quantità da un'altra parte. Forse, non c'era più posto nel vento. C'è chi si accontenta del minimo, per esempio, la gazza. A suo favore corre voce che sia immangiabile ma non è vero. E' soltanto un po' amara. Ma basta toglierle la pelle, cosi come al corvo I v- turisti » di « piccolo calibro » si chiamano « i amatoli », da ramo, poiché, se possono, sparano quando la preda è ferma in un ramo a albero. Ciò non è sportivo, ma comodo. Gli altri potrebbero definirsi <nobili*: di certo s'interessano soltanto di cacciagione « nobiie », detta cosi perché più rara. Condensiamola in stame, lepri, fagiani. Questo « turismo » arriva anche da lontano. Notiamo automobili targate Ge, targate Mi e un folto gruppo di Brescia. Ci sono giovani e anziani. Magri e grassi. I grassi corrono più degli altri per illudersi di essere magri. Domandiamo: — Come vaf — Male — ci rispondono. — Il terreno è troppo sporco. Per « sporcizia » s'intende la buona vegetazione agrico¬ la, specialmente granoturco, nelle cui larghe macchie la selvaggina perseguitata può rifugiarsi come in una specie di cortina fumogena ohe la toglie alla vista. E c'è pure da prendersela con i fagioli nani che, ci dicono, « sono un disastro ». Ecco infatti una lepre che appare e scompare in un settore di fagioli. Ora si vede ora no. E' un fantasma. Fucilate da tutte le parti ma come si fa a colpire un fantasma t Lento, solenne, fiducioso negli uomini c?ie ftnadesso ha considerato amici suoi, si alza un fagiano. E' un po' distante ma lo salutano ugualmente una decina di fucilate, il che equivale, per lo meno, a quattromilaseicento piccoli proiettili. Fortuna vuole che esso non ci rimetta neppure una penna ma l'impressione ricevutane dev'essere stata enorme. Il fagiano, perduta ogni aria di solennità, si butta nel granoturco, un rettangolo abbastanza largo che però è subito circondato dai cacciatori, a fucile spianato, come per tenere a bada un delinquente. I cani si precipitano nel rettangolo, lo frugano a palmo a palmo. Il fagiano non dà segno di vita. E' morto, infatti. Di paura. Forse, un infarto. Il cane che lo ritrova lo porta al suo padrone con un'aria di trionfo. Vuol far credere che lo ha ucciso lui. E' un piccolo baro. La prima giornata di caccia si è risolta con danni relativamente sopportabili per la selvaggina stanziale. Pare, diciamo < pare », che le meno offese siano state le lepri. Comunque, in onore delle povere morte, affinché non subiscano l'estrema ingiuria di una cucina stupida che le ammazzerebbe violentemente una seconda volta, citiamo una ricetta raffinata: liberare la carne dall'osso in pezzi il più possibilmente grossi (le cosce posteriori due soli pezzi); metterla a bagno nella barbera, preferibilmente di li, gradi perché più generosa; insieme, una grossa cipolla tritata finissima, tre cucchiai colmi di coriandoli, sei grani di pepe nero frantumato (non polverizzato), cinque foglie di lauro, una noce moscata ben raschiata, sale ragionevole. Questo bagno dovrà durare due giorni. Contemporaneamente le ossa superstiti saranno messe, a parte, in un identico bagno. Il giorno della cucina, si comincerà col cuocere le ossa per un'ora e mezzo, se ne toglierà quel poco di carne rimasta, la quale passata in setaccio e innaffiata col relativo brodo servirà per il elvet. La carne di prima scelta, richiede un etto e mezzo di burro per una lepre di circa tre chili, un'ora c un quarto, al massimo un'ora e mezzo per la cottura completa. Per maggiori particolari (o per ringraziarlo), rivolgersi al titolare della ricetta dott. Giuseppe Solaro, Torino, telefono 60-7SS. Antonio Antonucci

Persone citate: Giuseppe Solaro

Luoghi citati: Italia, Torino