Inquieta anima della Francia di Michele Tito

Inquieta anima della Francia RITORNO DOPO MOLTI ANNI IN UN PAESE TORMENTATO Inquieta anima della Francia C'è come un timore diffuso, la sensazione che qualcosa d'« inevitabile » dovrà accadere - Non si guarda con nostalgia impotente al passato, ma m avanti, sulla via del domani - L'idea dell'Europa ora suscita quasi entusiasmo, nella campagna; nelle città c'è una spinta a modernizzarsi, una ricerca di metodi nuovi - La classe dirigente sembra superata, è rimasta quella d'un tempo - La popolazione è più vivace, assai più aggiornata e preparata dei suoi capi (Dal nostro inviato speciale) Parigi, agosto. In certi casi uno sfogo personale deve essere permesso Per uno che abbia vissuto molti anni in Francia, se guendonc giorno per giorno le vicende, e vi ritorni dopo una lunga assenza la tentazione di percorrere itinerari sentimentali è forte: si vorrebbe parlare dei luoghi fa. miliari, ' e di come siano apparsi ora, dopo averli ricordati, per anni, con intensa nostalgia, e di Parigi, della sua luce, di quel suo fervore dello spirito che non potrà mai essere riconosciuto altrove, e della provincia tante volte percorsa. Ma. non sarebbero le cose più importanti. Le cose più importanti sono quelle di cui è diffìcile parlare, perché non sempre affiorano visibilmente alla, superfìcie, non sempre sono, come si usa dire, dimostrabili con dati e fatti. Come'si può dire e dimostrare che la Francia è cambiata, che nei suoi uomini e nelle sue donne si aprono il cammino idee nuove, che vi sono un diverso modo di pen¬ sare, un'insolita capacità di sa di Dien Bien Fu, prima guardare al di là delle frontiere, un'apertura dello spirito che annuncia l'abbandono di miti secolari, un'inquietudine che spesso è sofferenza e che rimane per ora segreta, che a volte i figli nascondono ai padri e i padri ai figli; e che anche per questo la vita interiore della Francia ha un suo ritmo e una sua intensità che l'avvicinano al drammat Ricordo un telegramma di Bìdault, allora ministro degli Esteri, agli alleati inglesi e americani subito dopo la re- che Mendès-France andasse al potere: <Ci sentiamo soli». Era la traduzione icastica di un senso di isolamento pieno di rancore verso tutti, di ciascun francese contro gli altri francesi e della Francia intera contro tutto il mondo. Si consumava una tragedia e la Francia non era capace di riconoscere le proprie debolezze e di trarne la lezione. Era già in corso quella che può essere chiamata l't emigrazione dello spirito »: amareggiati e convinti d'essere vittime di una immensa congiura, uomini di armi e di lettere, di legge e di affari, si ritiravano « dal mondo », tornavano in provincia o si rinchiudevano in se stessi a coltivare nella solitudine un patriottismo che giudicavano tradito. Le lettere ai giornali, a quell'epoca, portavano a Parigi l'eco di un'amarezza senza fine. Non vorremmo che tutte queste cose fossero interpretate in chiave politica: era un modo di soffrire della Francia che non aveva ancora ammesso la sconfitta del '40, che non si riconosceva in tutto ciò che era accaduto dopo le giornata gloriose della Marna e che diventava quasi straniera a' se stessa. Tutto è cominciato, forse, a quell'epoca, nessun giornale osava parlare della crisi degli alloggi o delle strutture arretrate, o della mobilità sociale che era la più debole che esistesse in Europa: c'era a Tolosa una scuola di fisici che negava la realtà dell'energia atomica. La lucida denuncia di Mendès-France fu una specie di lacerazione che sembrò insopportabile. Quel che accadde dopo nacque dal desiderio di. rimarginare una ferita atroce, di ritrovare i vecchi mali e il vecchio modo di sentirsi sola. Ricordo come diventava ogni giorno più difficile trascorrere la serata con gli amici francesi, di qualsiasi ceto, di qualsiasi orientamento: non ci si capiva. Fu un'esperienza comune a tutti noi non francesi che vivevamo a Parigi:, poco alla volta i contatti normali, d'ogni giorno, con i francesi si diradavano. Per qualcuno di noi venne il giorno in cui, mentre la guerra d'Algeria divampava sul corpo stesso della Francia come una guerra di religione, l'ultimo amico ci faceva rispondere per telefono di non essere in casa; e la lettura dei giornali francesi ci dava un senso di gelo, ci faceva temere quasi di vivere in un mondo assurdo, allucinante. Vedevamo declinare a poco a poco quel che avevamo amato, e che tutti hanno nel sangue, della Francia, a cominciare dalla sua fierezza e dall'amore per le proprie HbertA civili: e non s'udivo, a parte quella, spesso viziata e reticente, delle forze politiche organizzate, una voce di protesta. Questa era la Francia che avevamo lasciata. Quella che abbiamo ritrovata è una Francia non meno inquieta, ma ormai meno straniera a se stessa (ancora una volta non vorremmo che fosse data alla politica, in tutto questo, una parte maggiore di quel che non meriti). I vecchi amici ci sono venuti incontro senza riserve, ed è stato facile ritrovare con loro l'abitudine delle conversazioni serali, è stato facile intendersi, ci si è capito subito. Si è parlato di tutto, soprattutto delle cose di cui prima non si poteva parlare. C'è parso che quella tendenza a ritrarsi in se stessi, nata dalla convinzione che non il tempo ma la congiura degli uomini e delle cose creava eventi avversi, sia superata. L'Europa, ad esempio, è un'idea che suscita quasi entusiasmo, mentre prima appariva come uno strumento di mortificizlone della grandezza francese. Lo spirito critico, la fierezza, il sen'.o della libertà da ritrovare in avvenire, resi più ac'Mi dalle rinunce presenti, vanno al di là della superficie delle ammissioni conve«2ÌonaH. Le realtà, i doveri, le prospettive della nostra epoca sono accettili da tutti: sia pure con una punta di rassegnazione è un'accettazione che si può constatare anche tra i rimpatriati dal Nordafrica. C'è un movimento che sta trasformando le campagne, c'è una spinta, nelle città, a modernizzarsi, c'è nelle fabbriche la ricerca e l'adozione di procedimenti nuovi, Parisi non esercita più una dittatura incontrastata sulla Francia, c'è qualcosa che viene veramente dal basso] da un popolo che deve aver consumato fino all'estremo limite di sopportazione le proprie contraddizioni spirituali e che sembra aver ritrovato se stesso. Tutto questo si risolve spesso in una critica velata all'insolita esperienza di governo che la Francia sta vivendo. C'è, ovunque diffuso, anche il timore dell't inevitabile*, di qualcosa di grave e terribile che dovrà prima o poi accadere: ma si è preparati. L'< inevitabile » è atteso come una prova che avrà le sue vittime e che poi darà i suoi frutti. E ho visto come la Francia, finalmente, indaghi su se stessa senza pregiudizi: i problemi, le preoccupazioni, gli allarmi che prima erano l'amaro pane quotidiano d'una ristretta élite deila classe politica della Quarta Repubblica e dei tecnocrati cui la Quarta Repubblica avei-a dato un potere impossibile ad esercitarsi, sono divenuti patrimonio comune. E' mancato il miracolo: poco alla volta ci si è convinti che se De Gaulle non ha potuto restituire ai francesi la Francia che essi credevano tradita, quella Francia non può più tornare. L'entusiasmo per" l'esperimento gollista ha ceduto il posto a un'adesione provvisoria; in nessun caso — però — né tra i vecchi amici né in campagna né tra gli stessi militanti delle forze politiche tradizionali ho trovato una espressione di rimpianto per il regime della Quarta Repubblica. 81 modifica lo stato d'animo nei confronti di De Gaulle, ma il ritomo al passato è la sola cosa che tutti, unanimi, escludono. Insomma, quel che ifè parso di trovare di veramente nuovo in Francia è questo: la rinuncia a vivere net passato, o ad avanzare, come diceva Edga, Faure, « con le spalle rivolte al futuro ». E' praticamente impossibile mostrare con esempi concreti in che consista e quanto 3ia ampia questa trasformazione del modo di pensare e di vedere dell'uomo della strada francese: è qualcosa che è nell'aria e che solo chi litorna in Francia dopo una lunga assenza pud avvertire ripercorrendo le strade familiari, frequentando le case amiche, confrontando gli atteggiamenti, i giudizi e le preoccupazioni di un tempo con. quelli di oggi. La Francia (*' oggi non è più serena di quella di ieri: è anzi pili tormentata, e tutti sanno che è più agitata; tradisce addirittura un prasenfimento di tragedia incombente. Ma non a più torvamente rinchiusa in se stessa come'una volta t nonostante tutto ci è più familiare. C'è di più: una volta, sotto la Quarta Repubblica (e questo potrebbe essere dimostrato se fosse necessario), il Paese era molto indietro di fronte alla classe dirigente che, sia pure nella sua minoranza più illuminata, vedeva e capiva certe cose; ora accade il contrario: il Paese è infinitamente più attento, aggiornato e soprattutto preparato al nuovo di quanto non sia la classe dli'gente che, attraverso le mutazioni che ha subito, è rimasta, più o meno, ai vecchi miti p alle antiche abitudini, questo, forse, dà la sensazione d'una Francia che lascia correre passivamente gli eventi. Invece la Francia sta. cercando qualcosa: sarà di certo una ricerca lunga sul filo d> una lunga crisi, ma forse alla fir.e emergerà qualcosa che ser:a a tutti noi. Michele Tito

Persone citate: De Gaulle, Parisi