Carducci esaminatorei di Francesco Bernardelli

Carducci esaminatorei ELLA BOLOGNA DEL 1903 Carducci esaminatorei Manara Valgimigli sa il peso, la sfaccettatura, il colore di ogni parola. Prosatore, e poeta. Non vorremmo essere fraintesi, la sua non è .mai c prosa poetica », non ha di questo genere equivoco le false cadenze, gli slittamenti; se v'è discorso fermo, articolato con grazia severa, è il suo. Ma di poèta è l'ispirazione intima, mordo,' bozzetto, fantasia. Grecista insigne, interprete di classici, traduttore di Eschilo, di Platone, di Saffo, allievo del Carducci, amico di Pascoli, Valgimigli riassume nel gusto, nell'opera una civiltà letteraria. Ha raccolto un'altra serie di articoli: // fratello V alfredo (Cappelli ed.). Valfredo era fratello del Carducci, il modesto, cauto fratello, prima tipografo presso Barbera, poi maestro di scuole elementari, poi « professore » alle « tecniche » di Camerino, alla « normale » di Forlimpopoli, il fratello che non approfittò dell'affetto del poeta per far carriera. Nel narrare queste vite, nel descrivere piccole e venerande esistenze di studiosi e di letterati, tra il tinello e la biblioteca, Valgimigli è maestro. E' il tooj; pomeriggio d'esami a Bologna; nella commissione col Carducci c'è Severino Ferrari; per il vecchio poeta, ammalato e collerico, non è una buona giornata. Delle collere del Carducci, Severino aveva sgomento, « che gli facessero male, che il male aggravassero ». A un tratto, di dentro viene uno sbattere di libri, irrompe la. voce di lui: — Vada via, esca, esca. Il disgraziato esce. Entra un altro. Poco dopo si ripete la stessa scena. Esce anche quello. Dietro quello esce Severino. Nulla da fare, si deve attendere che si plachi; e ci vorrebbe uno bravo : « bravo, e sicuro, e che non avesse paura ». Severino scorge fra gli altri Renato Serra, alto, bellissimo giovane, placido, signorile, c Severino lo prende per le braccia, gli dice: vai tu, vai tu. « E Renato andò, entrò. Dentro ora tutto è silenzio. Ogni tanto la voce di Renato, ogni tanto la voce di lui. Renato esce. I compagni gli si fanno incontro. " Mi ha dato la lode ". E gli esami seguitarono in pace ». Non sapremmo dire che cos'è; ma un lieve nodo in • gola, lo sentite. Dall'episodio da nulla è rinato un mondo, e non già il consueto mondo pitjore sco della vecchia Bologna, portici del Pavaglione, goliardi, fia schetteric « letterarie », ma un mondo morale. E' la devozione, l'adorazione della grande arte dei poeti, del pensiero dei filosofi, è una comunione mistcrio sa e gentile. Fra quei romagnoli, e carducciani, tra quegli an notatori del Petrarca e scopritori dell'antica lirica italiana, tra quella gente che vorremmo dire « francescana » nel cult< della poesia, v'era un'intesa naturale, un'affinità aggraziata, < su di loro si apriva un solo ciclo, terso e profondo. Pascoli, Severino Ferrari, Panzini, Re nato Serra, il nostro Valgimi gli, vengono di lì, sono tutti lì; in un clima lucente, ridente, in un dialogo ininterrotto da poeti a poeti: è l'Alberino — noi tornerem poeti all'1 Alberino — sono i bordatini di Severino, è l'umore vagabondo del Panzini, è la morbidezza intellettuale del Serra, è l'impressionismo pittorico di Pascoli. Questi letterati non rinnega vano, come poi fu dì moda, la bella letteratura, le buone « isti tuzioni » letterarie, e con quella mezz'aria professorale sfioravano le vette della poesia. Tra le prose del Valgimigli ve n'è una dedicata all'elegia del Carducci « Presso l'urna di Shelley ». E' uno di quei poemi carducciani, che, con il corteggio e l'enumerazione dei personaggi, e le allusioni mitiche ed erudite, suscitano le ironie dei poeti tutti spontaneità, che Dio ne guardi! Ebbene, l'analisi di Valgimigli ci restituisce, intero, il senso di quel volo e sogno meraviglioso Le coppie famose, nate da così diverse genti e fantasie, Achille e Sigfrido, Ifigenia e Ofelia, Ettore e Orlando, Elena e Isotta « sbocciarono e rifiorirono d'un tratto, e come d'incanto e d'impeto, e con una singolarissima facilità e felicità e magìa di in venzione nel cuore del Carducci; e così per lui risorse dal mare, " lontana a le vie de i duri mortali travagli ", la beata isola, l'isola delle belle, l'isola degli eroi, l'isola dei poeti ». E così in tempi non remoti, e pur gii' favolosi, professori modesti affascinanti sapevano dischiudere la visione e diffondere l'estasi della poesia. * * Il poeta T. S. Iiliot suggerì che sarebbe meglio leggere prima il Paradiso e poi le altre due can tichc della Divina Commedia soltanto cosi si potrebbe scopri re subito la grandezza c il sensi del poema, perche la poesia della Covmiedia è, intera, nel l'aradi so. Questa idea della supremi poeticità del Paradiso ha sempre avuto fieri oppositori; e, ad esem pio, il De Sanctis, romanticamen te identificando poesia con dramma, negava al Paradiso la pienezza di commozione fantastica delYlnferno e del Purgatorio. Ripensavamo al vario modo di intendere arte e poesia sfogliando ora il terzo volume di Letture dantesche edito dal Sansoni. Esso completa, presentazione e commento di ogni canto del Paradiso, l'antologia che Giovanni Getto ha organizzato e diretto con sensibile, eclettica, vigilante intelligenza; tre tomi, uno per cantica, raccogliendo intorno a Dante, e sia pure entro il taglio fisso della lettura », un secolo di critica, dal D'Ancona e dal D'Ovidio al Momigliano, allo Spitzer, allo Auerbach, a Contini. Le « letture dantesche » ebbero il loro momento di celebrità alla fine del secolo scorso, all'inizio di questo, non solo nell'illustre Orsanmichclc, ma un po' ovunque. Erano fatte da saggisti e letterati, ma soprattutto dà professori, universitari o no, che dalla scuola storico-positiva avevano tratto l'assoluto rispetto della realtà, e dall'animo ingenuo un fresco fervore di scoperte. Commenti utilissimi, stimoli a procedere verso la balenante bellezza della Commedia. Bellezza che si manifesta in un'estrema ascesi, in quell'Oriente, santo e arcano, che misteriosamente aduna la squadernata realtà del mondo. La poesia della Commedia è Dio. L'orrenda miseria e il tumulto della storia, il peccato e la redenzione, l'Inferno e il Purgatorio si avverano e adempiono lì, nello specchio sublime di Dio, che tutto in sé giudica assolve perdona esalta Oscenità di diavoli, candore di anime purganti, miti pagani, e apparizione di angeli e paesaggi terrestri, l'Italia, i suoi castelli, i fiumi, i laghi, i monti, le nuvole, la meravigliosa leggenda, rupestre e sconfinante, della Divina Commedia, questo grande mondo immaginato e pur vero e concreto, ci abbaglia perché è immerso in una luce senza mutamento. ■V'è nel Paradiso una terzina: Come la (ronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la sublima che non è soltanto una pura meraviglia, ma che, attentamente letta, ci lascia capire, per analogia e allusione, il perché della sublimità dantesca. Quella fronda, quel flettersi, quel vento sono un'immagine naturale, campestre, nota perfetta di ben più vasta e densa e insondabile realtà cosmica. Orbene la nota perfetta è il fiore stesso della poesia di Dante; e uno studioso, Luigi Tonclli, potè scrivere che veramente le amate fronde e i clivi e gli augelli e i dolci nati e tutte le grazie del poema diventano « paradiso », si incielano, perché in armonia assoluta coll' esaltazione mistico- ■tllllllltllllllllllliuilllllll Illllll ■Illllt fantastica di Dante : « creature viventi nell'atmosfera dello spirito, del simbolo, del sovrannaturale ». Trionfale interpretazione del Paradiso; e Giuseppe Tarozzi in certe Note di estetica sul <c Paradiso » osservò che « non è possibile approssimarsi alla comprensione dell'anima di Dante anche come artista senza j..tendere il valore di sentimento, e quindi anche poetico, che aveva per lui la visione intellettuale ». La dottrina era per Dante anzitutto rivelazione, « era inoltre opera di grazia, cioè di amore ». Da questa grazia, da questo amore vennero a Dante la fierezza e l'umiltà di chi si interna nella verità ultima, e, in un rapimento infinito, vede Dio. Tale la commozione paradisiaca di Dante, e poiché anch'cgli era uomo, si può aggiungere che a questo « riso dell'universo » egli giunse umanamente. L'amore di Dio è lo stesso ch'era nato in Dante giovinetto, sotto altre sembianze ma con lo stesso afflato; l'amore della Vita Nova, l'amore del « dolce stil novo », quel poetare trovadorico e «quasi come sognando», che risorge estatico, delicato, senza lacrime più, nella pace di Din. Francesco Bernardelli OlIMlllUIIIIMIIllllllllllllMIIIMIMIMIIIIMIIMItll

Luoghi citati: Bologna, Forlimpopoli, Italia