Chabod e il Risorgimento di A. Galante Garrone

Chabod e il Risorgimento A un anno dalla scomparsa dello storico piemontese Chabod e il Risorgimento Fu negli anni della dittatura e della guerra che l'insigne studioso del Rinascimento si rivolse alla storia italiana più recente: per documentare la vitalità dello spirito liberale, dello Stato sorto dal Risorgimento - Gli stessi ideali Io animarono nella lotta partigiana e nell'opera decisiva per l'autonomia della Valle d'Aosta E' trascorso un anno da quel caldo e luminoso pomeriggio di luglio nel quale il feretro di Federico Chabod fu calato nella tomba di famiglia, ad Aosta. Dalle valli erano scese le guide con i mazzi di stelle alpine; una banda" aveva intonato Montagnes valdótaines; ed Eugenio Dugoni salutava piangendo il « padre dell'autonomia valdostana ». Fu allóra che Vèqui ve della Rivista Storica Italiana (e c'era tra gli altri, pensoso, affranto dal dolore, e, direi, già presago della sua prossima fine, anche il caro e grande Walter Maturi), quasi a vincere l'indicibile malinconia del commiato, decise di consacrare un numero speciale alla memoria del maestro scomparso, che valesse a fissarne il posto nella cultura e nella vita contemporanea. Questa splendida raccolta di saggi (a cui vorrei ancora aggiungere la recente commemorazione tenuta da Rosario Romeo alla Famija Piemontèisa) è veramente più che un omaggio alla memoria di un grand'uomo: è — come ha scritto il direttore della rivista — l'esame di coscienza della, storiografia italiana, nel rimpianto di Federico Chabod. Nel centenario dell'unità, queste pagine di vari studiosi ci fanno sentire quanto ci manchi, ogetf, la voce di Chabod. Non pensiamo solo ai lavori a cui attendeva, e «he non leggeremo più: i cinque volumi della storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, l'introduzione alla> grande storia economica dell'Italia dal 1700 ad oggi, promossa dalla Banca Commerciale, e che da lui sarebbe stata diretta. Pensiamo soprattutto alla sua ineguagliabile arte di ritrovare gli infiniti, Segreti fili che ci legano, senza interruzioni, al mondo ottocentesco, di far rivivere, nei suoi valori permanenti, la tradizione del Risorgimento. Quando e perché Chabod, -•lo- storico-di Machiavelli,.^ Boterò e di Sarpi, delle compagini statali e delle burocrazie nell'età di Carlo V, si volse al Risorgimento e al travaglio dell'unità? E' una domanda che più d'uno già si è posta. Si è parlato, e non a torto, del suo ingresso alla Scuola di storia moderna e all'Enciclopedia italiana, del suo incontro con Volpe, e dell'incarico che costui gli aveva affidato di accingersi alla storia della politica estera italiana nei primi decenni dell'unità. Ma queste non furono che occasioni esterne. Ben di più contò l'intrinsichezza di studio e di affetti con Morandi e Maturi, e — segreta musa — l'ispirazione, la fede di Croce negli ideali di libertà. Non che, prima d'allora, Chabod fosse stato insensibile ai problemi del suo tempo, e all'assillo di rendersene ragione in sede storica. Gli anni universitari vissuti r. Torino, all'indomani della prima guerra, e poi il contatto a Firenze con Salvemini (che aiutò a espatriare) dovettero acuire in lui l'ansiosa e pensosa sollecitudine per quel che si veniva delineando nella vita politica del nostro paese. Ma fu solo più tardi, dopo il '36, che il drammatico precipitare degli avvenimenti e l'addensarsi della catastrofe lo spinsero a interrogare il recente passatoia risolvere in problema storiografico la dolorosa passione del cittadino. Il corso milanese del 1943-44 — come ha bene rilevato G. Falco — rivela la potente suggestione delle tragiche circostanze in cui era precipitato il paese. Gli bastava raccogliere un accenno di P. S. Mancini all'Italia «fremente e vergognosa», o contrapporre il sogno kantiano della pace perpetua al culto belluino della violenza e della guerra di certi politici « pratici », o descrivere il brutale irrompere dei nazionalismi e degli imperialismi, e il dissolversi dei valori morali e l'accumularsi delle rovine materiali nell'ora presente, perché i giovani sentissero l'intimo pathos del maestro. Questa meditazione di anni e anni, scavata e sofferta, sul progredire dell'Italia dal Risorgimento all'unità, questo rifugiarsi tra gli uomini e le cose di ieri per ritrovare la fede nell'oggi, daranno, nel 1951, il mirabile frutto delle Premesse. Da Mazzini e Cattaneo ai moderati della Destra, il meglio della tradizione risorgimentale rivive in que¬ ste pagine di classica bellezza. Se guardiamo nel suo insieme tutta l'opera di Chabod, o che si occupi di Ma chiavelli e di Carlo V, o che si volga all'Italia contemporanea, siamo colpiti da una caratteristica che già altri ha posto in luce. Egli è lo storico non solo della cui tura, del mondo morale, ma anche dello Stato, delle burocrazie, della continuità delle istituzioni. Questo senso dello Stato, non glielo aveva insegnato nessuno. Si può dire che lo portasse in sé, fin dagli anni della prima giovinezza; lo aveva nel sangue; lo sentiva come incarnato in alcune . figure stesse della sua famiglia, gli zii Baratono, nobili figure dell'Italia liberale e della guerra del '15. Non era lo Stato come nudo appara to di forza, ma lo Stalo arricchito e sorretto da una linfa morale. Per intenderci, non era lo Stato fascista, ma lo Stato nato dal Risorgimento, che nel 1915 aveva dimostrato la sua vitalità, dopo decenni di lenta e faticosa ascesa. Anche come storico del fascismo (e si vedano le lezioni parigine sull'Italia contemporanea, di recente pubblicate in. italiano, o le pagine su Croce), egli ebbe una posizione sua. Tra chi lo considerava come una violenta malattia che avesse d'improvviso aggredito un corpo sano, e chi invece 10 giudicava come la « rivelazione » di un male antico, 11 punto d'arrivo di un fatale processo di dissoluzione, Chabod scelse una via mediana. Certo, i germi del male preesistevano, e potevano essere rintracciati anche nel corpo dell'Italia liberale dell'Ottocento, come d'altre nazioni. Ma allora quei germi erano resi inoffensivi dalla saldezza dell'organismo. Fu invece la debolezza della classe dirigente italiana, tra il '19 e il '22, che permise a quei germi di spiegare una nefasta virulenza: e così, da questo cedimento, nacque il fascismo. . La libertà crollò, perché gli uomini non vollero o non seppero difenderla. Questa interpretazione storica è anche un virile richiamo alla responsabilità dei ceti dirigenti nelle ore critiche; e acutamente Leo Valiani l'ha accostata all'analisi che il grande storico tedesco Meinecke (che fu pure maestro a Berlino del giovanissimo Chabod) ha fatto dell'ultima catastrofe tedesca. Sempre, nella vita dei popoli come degli individui, ci sono le ore decisive in cui tutto dipende dal coraggio di assumere le proprie responsabilità. Per parte sua, quando l'ora giunse, Chabod non si sottrasse a questa responsabilità. Alessandro e Et¬ tore Passerin d'Entrèves hanno rievocato, in un bellissimo saggio, l'opera sua in Val d'Aosta, come partigiano e come propugnatore dell' autonomia. Nel 1944 egli scriveva al sen. Casati: « Sarebbe bello e nobile da parte .. 'la nuova Italia iniziare, per prima in Europa, una politica di larga libertà nelle zone di frontiera... Noi dobbiamo farne degli anelli di collegamento tra una nazione e l'altra, dei ponti di passaggio su cui s'incontrino gli uomini dei vari paesi, e imparino a deporre la boria delle nazioni ». Con questo largo spirito Chabod fu combattente della libertà: e poi, con una rara equanimità di giudizio, storico della Resistenza. E proprio qui, forse, in questa costante medietas, nell'equilibrio, nello sforzo di comprendere anche le ragioni degli avversari, è l'aspetto più inconfondibilmente suo. Nella cultura, come nella vita politica di un paese ci sono, ci debbono essere i passionali, i « parziali », che rompono col passato e si avventurano arditi su vie nuove. Ma ci vogliono anche, accanto ai « matti », i « savi »: coloro, che sanno trovare sempre la strada della conciliazione e del superamento, e hanno il senso della perennità delle istituzioni, del tenace sopravviver? delle tradizioni, e che, pur in questa devozione alle forze del passato, non smarriscono la consapevolezza degli eterni valori di libertà e di progresso, del dovere di combattere per affermarli. Per anni e anni, a questi valori Federico Chabod serbò fede in silenzio; per essi volse a nuovi temi la sua indagine storiografica; per essi, alla fine, si fece partigiano. A. Galante Garrone