I diciott'anni di Anna Ford di Antonio Barolini

I diciott'anni di Anna FordI (Dal nostro corrispondente) New York, giugno. Anne Ford è la figlia secondogenita di Henry Ford, l'attuale capo dell'omonima industria automobilistica; è quindi nipote di Edsel Ford e pronipote del fondatore della dinastia, pioniere dell'automobile e dell'utilitaria, in ispecic. E' una bella ragazza. Estremamente semplice, mi si dice, anche se ha frequentato solo scuole e ambienti privati. Giorni fa, ha compiuto diciotto anni. I suoi genitori, per presentarla ufficialmente al mondo di eccezione di cui fan parte, hanno deciso di indire una festa parimenti eccezionale. E' costata centosessanta milioni di lire, in base a quel che han detto le cronache. La festa di Charlotte, la sorella maggiore di Anne, che ha debuttato nel dicembre del 1950, è costata trenta milioni di meno. Ala la festa di Anne non ha avuto luogo al Detroit Country Club, bensì nella ricchissima nuova magione (le cronache non osano chiamarla casa), che Henry Ford si è recentemente costruito sulle rive del Saint t"taire Lake, nei pressi ili Detroit. « Vedo qui — ha detto-Henry Ford agli ospiti — un sacco di invitati. Molti vecchi amici e anche gente sconosciuta. Siate tutti benvenuti. Mia moglie ed io amiamo le feste. Se non vi divertite, la colpa è soltanto vostra ». E' un uomo corpulento e cordiale, generalmente ben visto. Sa il suo mestiere. Soprattutto, sa scegliere gli uomini adatti a dirigere il suo impero. Alla festa per Anne, erano state invitate milleduecento persone: grandi industriali 'i Du Pont, i Fyrestonc), esponenti del gran mondo (la vedova e la figlia di Gary Cooper che, per l'occasione, avevano smesso il lutto. Merle Oberon con il marito, ricchissimo, che si chiama Pagliai. Igor Cassini. Un paio di Lords, venuti apposta da Londra e vari altri titolati della miracolosa Parigi). Ira i parenti, la vedova di Ldsel Ford, cioè la nonna di Anne, la madre di Henry, la nuora del grande Ford. I vestiti delle signore erano degni dell'ambiente; così i loro gioielli. Anne indossava una gonna di organza bianca, dovuta a Dior, secondo alcuni informatori; ma di confezione americana, secondo altri. Una collana di rare perle intorno al collo; i capelli corti, vaporosi, a casco, come ora si usa. Mcyer Davis dirigeva venti suonatori di jazz. Fila Fitzgerald cantava. La scena, all'aperto, era stata letteralmente creata dal sogno del decoratore parigino Jacque Frank. Un « pavillon » con tetto a ciclo, di pura seta turchese, e pavimento rotondo per il ballo. Due pagode di specchi, ai lati. Il tutto sorretto da archi e da tralicci bianchi dai quali pendevano seni di rose. Una fontana artificiale, dallo zampillo alto trenta metri, dominava lo spiazzo. Le rose, infilate ciascuna in un'ampolla di vetro, perche non appassissero subito. erano cinquantamila. Ventisettemila erano le minuscole lampade, che riflettevano le loro luci in altrettanti cristalli. Dieci anni ta, non appena venuto per la ormia volta in Ameri ja, queste cose ini irritavano e mi mortificavano. Le giudicavo all'europea. Con quel tanto di mentalità socialistica e moralistica, comune a tutti gli spiriti liberali europei; ma, qui, pressoché inesistente. Oggi, non mi sento più di giudicarle. Non per insensibilità, ma — ritengo — per una più matura prospettiva storica della loro amara ragione di essere. Sono l'inesorabile prodotto di un tipo di società economica che, qui, è ancora vitalissima, l'inevitabile esuberanza e fasto che si giustifica nello straiipare del successo; simile allo straripare delle forze della natura in tanti panorami di questo paese Non sono le ultime e offensive ostentazioni e ricsLmazioni di un potere decaduto, come spesso accade in Europa; bensì ina conferma e un aspetto della bruta forza competitiva su cui qui. il sistema, ancora, -a regge Possono non piacere Pei quel che mi riguarda restano issur de e aliene dal uno ino io di concepire la vita Ma non posso più. oggi non immettere che sono il rovescio della medaglia delia >er.i e dura America, quella non rasulla uhi nido nesticata I. alternativa dei suoi dram mi crudeli e della sua sete di giustizia, della sua venta e men¬ zogna, dei suoi controsensi e dilemmi. E questo, proprio perché, anche a Detroit, a un tiro di schioppo da casa Ford, vi sono ancora disoccupati e vittime degli scompensi sociali: negli Stati Uniti, come in ogni paese del mondo; soprattutto nei paradisi di oppressione che sono di là dalla cortina di ferro. Il guaio non è nella singola e sporadica manifestazione dello sperpero per Anne F'ord o per qualche altra fortunata principessa come lei. Purtroppo, è più profondo e vasto. In verità, se la ricca e libera società americana mancasse delle sue manifestazioni di esuberanza, vorrebbe solo dire che sarebbe più malata e ipocrita di quel che è; che i suoi veleni resterebbero sotto la pelle del suo costume sociale. Questo é il grave pericolo dei moralismi astrarti, delle involuzioni conservatrici, con più o meno false etichette progressive, di molte società contemporanee. Piuttosto, è importante sapere che Henry Ford, anche lui, tutto sommato, sa queste cose. Conosce e interpreta questi processi delle sue e nostre generazioni. Accetta e vive lealmente, senza falsi pudori, il rischio del dramma del suo tempo e del compito, non certo semplice, che, in esso, è stato chiamato a svolgere. Perciò, è pronto a pagare, oltre che la festa, più o meno pubblicitaria, dei diciotto anni di sua riglia, anche il ben più costoso prezzo della politica delle « nuove frontiere ». In quanto ad Anne e al suo debutto di ragazza privilegiata, mi vien fatto di provare per lei la stessa simpatia che nutro verso qualsiasi altra ragazza che compie dieiott'anni. Quando ho saputo che Impianto, perché la pioggia rovinava sul bel ciclo di seta tur chesc del « pavillon », disegnato per lei da Jacque Frank (anche per i ricchi, è ancora difficile fermare la oioggia che. dal cielo, scende a lavare le spalle e i vani trofei ilei rionali); mi sono immedesimato in lei: « L' un pianto stupido — mi son detto. — Tipico di una ragazza semplice e immatura. Proprio di qualsiasi diciottenne di buona fsgsnnctdgsabajminili imi iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiim famiglia, che vede infranto un sogno ». Ma, volentieri, sentivo di augurarle di non dover mai più spargere — né per ragioni futili, né gravi — maggiori lagrime, nella vita. Allo stesso modo per cui mi auguro che — lei vivente — le lagrime del terrore e della fame del mondo si asciughino sugli occhi di quanti esseri umani ancora crescono e si affacciano — senza festa e debutto ufficiale — alla grazia e alla promessa della gioventù. Antonio Barolini j[ 111111111111 1111 r 1111 II I II 1111111liri ■ Il ti 1111111111111m

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