Virginia di Alfieri ai "Giardini reali,,

Virginia di Alfieri ai "Giardini reali,, Virginia di Alfieri ai "Giardini reali,, Martedì lo spettacolo era stato presentato in serata di gala per critici e invitati - Ieri sera la «prima» per il pubblico ha dovuto essere rinviata a causa del maltempo Finalmente, nulla serie delle rappresentazioni promosse a festeggiare i cento anni dell'Unità d'Italia, abbiamo assistito nd uno spettacolo risorgimentale. Se per Risorgimento si intende (e deve intendersi) non soltanto un grande fatto politico ma una liberazione, una conquista morale, la rinascita dell'uomo, non v'è dubbio che la Virginia di Vittorio Alfieri sia uno dei testi sacri della moderna storia d'Italia. Circa duecento anni fa, con impeto magnanimo, e con furore, questa tragedia eccitava i generosi a osare, a distruggere ogni tirannide; e con il suo irto linguaggio destava le coscienze. L'uomo futuro, svincolato, padrone, di sé e del suo destino, cittadino ardito, frenato soltanto e dominato dal senso eroico della responsabilità, già si delineava idealmente tra le asperità e le invettive del dialogo alfieriano. Per questo la tragedia deil'Alfleri ci sommuove, ci appassiona ancora; perché la libertà non è mai cosa raggiunta e ferma, ma è il moto stesso della vita civile, è una realtà interiore, e minacciata, da difendere e salvare ogni giorno, è l'espressione stessa, combattuta e vittoriosa, della dignità umana. La tragedia dell'Alfieri è tutta virile e terrestre. Anche se invoca gli dei per consuetudine rettorica, si affida interamente e duramente a ciò che è proprio dell'uomo; alla sua pienezza gagliarda, alla concretezza dell'azione, alla forza delle passioni e del carattere; l'eroe alfieriano è un individuo che senza illusioni, ma traboccante di idealità, crea se stesso. E questa intensità, questo coraggio nel deserto del mondo, contro le lusinghe, le sopraffazioni crudeli o vili del mondo, ci affascinano, e suscitano anche nei più diffidenti un indistinto ma luminoso moto di simpatia, di entusiasmo, di venerazione. Naturalmente il piglio dell'Alfieri, anche nella Virginia, più che mai nella Virginia, è polemico, e spesso dà nell'astrattezza apparente della sentenza morale, della perorazione, del dibattito. Dall'antico racconto di Tito Livio nasce all'Alfieri, a questo odiatore di tiranni, l'ispirazione a una tragedia di libertà, a una tragedia < tribunizia >, come fu detto. Ma se l'Alfieri fu forse prima ribelle e : idealista che poeta, se dal profondo anelito ideale fu tratto a'una specie di feroce eloquenza politica e scenica, se uno schema intellettuale presiede alla formazione delle sue opere, la concitazione, la potenza del temperamento, l'orgogliosa magnanimità che ne fanno quasi un profeta, riportano poi subito la traccia idealistica, l'intenzione un po' astratta al calore, alla fiamma della persona umana: a quella sua terrestrità liberata e liberatrice,. a quell'energia di poeta esemplare. Così, per bocca dei suoi personaggi, Alfieri ritorna, vivo e integro, sulle scene, o dalle pagine del libro, a confortarci, a indurci, nonostante tutto, alla speranza. La Virginia è stata allestita nei Giardini di Palazzo Reale dall'Enfe Manifestazioni 7'arinesi in collaborazione con il Centro Nazionale di Studi alfieriani di Asti. Che dire? Spettacolo all'aperto, palcoscenico vastissimo. E' giusto, è saggio rappresentare l'Alfieri su di un palcoscenico vastissimo, e all'aperto? L'eco, lo sfondo della Virginia è ani pio, senza dubbio; Roma, il Foro romano, il popolo. Tutto ciò si apre, si allarga tra le battute del dialogo eroico. Ma la tragedia è fatta di quelle battute, di quei versi, di quelle apostrofi che vanno serrate, strette nell'unità aspra, legatissima, e a suo modo armoniosa, del discorso. Sperdute nella vastità del palcoscenico, gettate dall'uno all'altro attore a distanza di metri, perdono la compattezza, la perspic )ità, la poeticità crescente e incalzante. I personaggi devono far gruppo, la loro tragedia si dilata in un'eco possente, ma è vincolatissima; il testo conta qui più che mai, più che tutto, ed è chiuso, e si attorce su se stesso; e questo rigore di ritmo, di angoscia, di commozione sempre più si accende, parola su parola, di energia tragica. Una piccola ribalta, diciamo un boccascena normale si addice alla tragedia alfieriana, che è soprattutto un travolgente irrompere di alti detti, molto meglio d'ogni malizia o artificio registico. Scenario e costumi sono di Eugenio Guglielminetti, e lo scenario è imponente, ma manierato e i costumi lasciano alquanto perplessi con quella ambiguità per dir così rumano-medievale (i littori parevano crociferi, e nella massa del popolo si scorgevano curiose figurine, o impressioni, di fraticelli e monache); e la regìa è di Gianfranco de Bosio. Abbiamo detto che è difficilissimo il suscitare densità di tragedia alfieriana in un palcoscenico come quello costruito nei Giardini Reali; e- dobbiamo aggiungere che a parer nostro non c'è stata infatti né densità né commozione vera. L'im peto degli eventi rappresentati ha stupito il pubblico che l'altro ieri, all'anteprima per inviti, gremiva le gradinate, e lo ha fatto applaudire. Ma la commozione cui noi alludiamo, ossia il consenso poetico, per conto nostro non l'abbiamo sentito II gruppo degli attori. Ottorino Guerrini, Maria Fab bri, Gabriella Giacobbe. Giulio Bosetti, Gualtiero Rizzi si sono certamente impegnati, e in qtcccmppccpcldcnhsat qualche tratto di oratoria acuta e ampollosa hanno provocato i battimani. Ma è mancato loro l'accento .tragico, che è tutt'altra cosa. Dobbiamo fare un'eccezione, almeno parziale, per Renzo Giovampietro, che ha recitato con lucidità, convinzione, stile, ben calcolando la parola e il ritmo (ma dovrebbe eliminare il ripetersi di qualche cadenza, che gli viene troppo facile tra le molte difficoltà espressive del testo alfieriano). Il pubblico ha ascoltato con attenzione, con curiosità crescente, ed ha largamente applaudito a scena aperta, ad ogni atto e alla fine, evocando alla ribalta attori, regista, scenografo f. b.

Luoghi citati: Asti, Italia, Roma, Virginia