Uso e abuso dell'imperfetto

Uso e abuso dell'imperfetto DELI/A Tv I X G U A Uso e abuso dell'imperfetto Oggi viene impiegato troppo spesso invece del passato remoto: il tal personaggio «nasceva» e «moriva» in questo ed in quell'anno - Non esistono regole fisse, ma i due tempi hanno sfumature diverse, cui i nostri avi erano attentissimi L'abuso del cosiddetto imperfetto storico in luogo del passato remoto, oggi tanto cresciuto da passare inosservato, fu cominciato a notare da Pietro Giordani, che in una lettera del dicembre 1814 così ne riprendeva l'amico Cesare Arici, autore di un poema sulla pastorizia. « Piacerebbevl d'esser citato a favoreggiatore di quell'imperfetto invece del passato perfetto, che ci han regalato i Celti, e del quale il fero Allobrogo (che si credeva tanto italiano, e rimase pur sempre allobrogo nella lingua) fu sì sfrenatamente innamorato?... Io credo che tal modo si debba rarissimo e con grandi ragioni usare: se non altro perché la castità de' padri non lo usò, e bisogno non ce n'è. » La stoccata va all'Alfieri tragico; ma meglio di lui, che può esser scusato dalla tirannia del metro e della rima, l'avrebbe meritata un prosatore altrettanto entiché di purismo, il Botta, nella cui « Storia d'Italia » l'imperfetto storico è già sullo sdrucciolo di quell'abuso in cui l'abbiamo sprofondato noialtri moderni. Per i quali, com'è noto, non solamente Dante nascerò nel 1265 (e può stare, trattandosi di quel sole) ; ma di qualunque omiciattolo che sia passato sulla terra, diciamo volentieri che nasceva, studiava, sposava e moriva, adoperando anche per i soggetti più umili, rappresentati in azioni istantanee, quel solenne tempo di posa verbale. Si vede che « la castità de' padri », di cui parla lo scrittore piacentino, si rinfrescava ogni mattina con la nozione grammaticale secondo la quale l'imperfetto denota un'azione ferma e durevole, e perciò esclude tanto l'idea del cominciare quanto l'idea del compiersi; dove il perfetto denota l'azione o in quanto comincia o in quanto si compie, cioè in quanto avviene e finisce. L'uno è il tempo proprio della descrl .zione, l'altro della narrazione; U come s'insegnava nelle anti'che scuole: l'imperfetto indu¬ gia il racconto, e il perfetto lo fa progredire. Pertanto l'abuso dell'imperfetto per esprìmere azioni momentanee che si seguono l'una all'altra escludendo l'idea di durata, sarebbe contrario non meno alla natura di quel tempo che alla nostra qualità di figli del secolo, cioè di velocisti. Come si spiega dunque che d'una licenza, qual è l'imperfetto storico, abbiamo fatto una regola? Col fatto, già notato dal Fornaciari, che appunto perché l'imperfetto ferma e trattiene l'azione, esso riesce più efficace e solenne che il perfetto, e quasi scolpisce l'immagine mentale che altrimenti ci sfuggirebbe davanti; per tacere che l'imperfetto posa meglio e più gratamente all'orecchio che non il perfetto, finito sovente, alla terza persona singolare, in vocale accentata o in sillaba meno sonante. (E irtfatti tale scambio comincia dai poeti, studiosi, più d'ogni altro, dell'armonia.) Il che non toglie che se ne debba fare un uso ragionevole e discreto, e che non tutti ì fatterelli della cronaca debbano di necessità entrare nella luce estatica dell'imperfetto storico. Se mai, meno alieno dall'italiano, sarebbe l'uso opposto, oggi disusato, del perfetto invece dell'imperfetto, ossia la sostituzione dell'azione momentanea all'azione continuata e ferma. E' di rigore cominciare una novella col < c'ero una volta ». Ma il Boccaccio comincia le sue quasi sempre col perfetto: «In Parigi fu un gran mercatante e buono \iomo, il quale fu chiamato Giannotto di Civigni....» E quando si voglia significare che un'usanza o una condizione qualunque era una volta ed ora non è più (conformemente ai modi latini « fuit » e « vùrerunt » che equivalevano a partecipazioni di morte), il perfetto torna meglio. Non sarebbero così dolcemente strazianti i seguenti versi del Leopardi senza l'irrevocabile per¬ fetto: < Vissero 1 fiori e l'erbe - Vissero i boschi un dì....» Del resto le regole circa i tempi i modi e le correlazioni dei verbi non furono mai osservate con superstiziosa esattezza da chi vivamente parla e scrive. E noi moderni non siamo imputabili che d'indifferenza: giacché altro è mancare alla regola conoscendola, e altro violarla senza conoscerla. In « Lingua nostra » Alfonso Leone finemente lumeggia molte licenze, fra antiche e recentissime, dalle quali risulta che nemmeno la famosa distinzione tra passato prossimo e passato remoto, a cui s'arrotano i pedanti, è da intendere rigidamente. Nello Straparola una damigella comincia così: «Dovendo io dar principio a' nostri festevoli ragionamenti, determinai di raccontarvi una novella che Intervenne a un geloso.» L'impiego del passato remoto per indicare una determinazione che dura ancora e a cui conterrebbe pertanto il passato prossimo, « ci fa sentire quella determinazione come sorpassata, non suscettibile di cambiamento.» Si noti infine che a fermare la realtà nella frazione d'attimo fuggente gli antichi, che pur non avevano le nostre macchine, erano più bravi di noi, usando il trapassato remoto invece del passato semplice per significare l'azione compiuta e l'effetto subitaneo di essa. II trapassato remoto è ancora in uso ma quasi sempre soltanto in relazione col passato, per indicare un'azione interamente compiuta rispetto a un'altra anch'essa compiuta: dopo che ci fummo rifocillati, ci mettemmo in cammino. Nei testi antichi si trova invece da sé, e basti citare, fra i tantissimi, gli esempi di Dante («Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Chi per lungo silenzio parea fioco ») e del Boccaccio (« posta la mano sopra una di quelle arche.... prese un salto e fussi gittata dall'altra parte »). Per le cose che s'impongono da sé, fuori del soggetto che le pensa; per quanto ci entra negli occhi prima ancora che ce ne accorgiamo; per apparizioni subitanee, investimenti e disgrazie, l'uso di questo tempo, il quale par significare come la veloce parola non sappia tener dietro a un più veloce fatto, è quello che ci vuole; o meglio ci vorrebbe, se anche parlassimo con la cura e lo sfoggio di lenti con cui fotografiamo. Leo Pestelli leggdGterrz LIBRI RICEVUTI TOMMASO MORO: Lettere della prigionia - Paolo Boringhieri, editore, Torino - L. 800. J. MILTON YINGER: Sociologia della religione - Paolo Boringhieri, editore, Torino - L. 3000. EMILIO CALDIROLA: Verbale del processo di Ocsii Nazareno Guancia, editore, Parma - L. 2200. SILVIO D'AMICO : Storia del teatro drammatico - Garzanti, editore, Milano - due volumi, lire 1100. PIER PAOLO PASOLINI : La religione del mio tempo - Garzanti, editore, Milano - L. 1400.

Persone citate: Alfonso Leone, Cesare Arici, Emilio Caldirola, Fornaciari, Giannotto, J. Milton Yinger, Leo Pestelli, Paolo Boringhieri, Pier Paolo Pasolini

Luoghi citati: Italia, Milano, Parigi, Parma, Torino, Uso