I giovani «ribelli» di Spoleto in tondo sono dei decadenti

I giovani «ribelli» di Spoleto in tondo sono dei decadenti Un neo-dannunzianesimo minaccia il Festival dei due mondi I giovani «ribelli» di Spoleto in tondo sono dei decadenti Girano con i maglioni serrati al collo, i calzoni stretti, i capelli alla Bruto, ma amano il tempo perduto - Vanessa con i suoi sospiri e le sue piume di bambù ha sconcertato molti - Attesa per la «prima» di Salomè: un'opera di estenuata raffinatezza che completa il quadro dei gusti dominanti la manifestazione (Dai nostro inviato speciale) Spoleto, 17 giugno. Dopo alcuni giorni di sosta a Spoleto, viene voglia di chiedersi quale sia, in definitiva, il senso del Festival dei due mondi. La risposta è tutt'altro che facile, se si tiene conto delle cose diverse e contrastanti — vecchio e nuovo, aristocrazia e comunismo, avvenire e archeologia — che Menotti è riuscito a mettere dentro al suo pittoresco carrozzone. C'è, nell'aria, un po' di baraonda; spesso le lingue rischiano di confondersi; e, come nelle feste in costume, non riesce agevole distinguere < chi sia chi >, socialmente ed intellettualmente. Un fatto però è chiaro; quello di Spoleto, che pure ama chiamarsi Festival de"a giovinezza, ha un'anima che par che guardi indietro; la sua vera passione è l'antiquariato. La scelta, come sede, di una città in cui ogni pietra, si può dire, trasuda secoli di storia, è stata fatta con lo stesso gusto con cui si riscopre un oggetto di scavo. A Spoleto domina la poesia del passato. I giovani, che girano intorno ai teatri con l'aria di ribelli, i maglioni serrati al collo, i calzoni stretti, i capelli alla Bruto (sono attori, ballerini, scenografi, musicisti, registi spesso alle prime armi) scopri che in fondo in fondo, amano i vecchi tempi delle crinoline. E' vero che il festival accoglie anche opere dì avanguardia; ma si tratta di ospiti di cortesia. La sua vera ispirazione si svolge alla ricerca del tempo perduto, e specialmente a quella di un certo Ottocento tra il sentimentale e il decadente. Ma proprio in questo, dicono i suoi sostenitori, consiste la « novità > della manifestazione che vuole opporsi polemicamente al modernismo dilagante, al nuovo ad ogni costo, al gusto spaziale, co. smico, elettronico, e via dicendo, che ormai comincia ad avere la barba. Si sa bene che gli atteggiamenti polemici, in arte, valgono quel che valgono. Importano i risultati. Occorre osservare, tuttavia, che, al giorno d'oggi, in cui il modernismo sembra dominante, fiorisce un culto del vecchio come forse non c'è stato mai. L'antiquariato è presso tutte Je persone che si piccano di buon gusto, i buchi dei tarli sono modernissimi, tanto è vero che se ne fanno di finti con l'uso dei pallini da caccia. Quest'aria di nuovo nel vetusto, che circola a Spoleto, si accorda, per un certo verso, col ceto di molti dei sostenitori del Festival. L'elenco degli sponsors sembra un estratto dell'almanacco di Gotha. I quadri dell'organizzazione sono affidati a segreterie in mezzo alle quali pullulano nomi come Danda, Arabella, Lyda, rari e squisiti come pietre preziose. Specie in questi giorni inaugurali, le < prime » pullulano di personaggi araldici che rievocano tra le vecchie pietre della città, una certa aria da corte rinascimentale Non per nulla i belli spiriti hanno appioppato a Menotti, oltre che il nome di < matto >, anche quello di < Duca di Spoleto^ Ma il Festival dei due mondi è solo per metà un fenomeno aristocratico. Anche se in esso è diffìcile scorgere un qualsiasi < respiro sociale », come si dice, i comunisti sono tra i suoi più accesi sostenitori. Si può proprio dire che uno dei miracoli di Menotti è l'abilità con cui, nel suo < ducato >, è riuscito a mettere insieme rivoluzione e vecchi merletti. Uno sposalizio paradossale fin che si vuole; ma occorre tener presente che, in quanto a gusti artistici, l'estrema sinistra è alquanto conservatrice. Ma, curiosità pittoresche a parte, nessuno potrebbe negare i meriti del Festival di Spo leto. Il tentativo di richiamare l'attenzione intorno all'arte in tempi in cui i festival della canzone hanno il successo che hanno, non può non essere salutato con favore. Nelle tre edizioni degli anni scorsi, Spoleto ha dato vita a spettacoli egregi, che hanno riscosso, giustamente, moltissimi applausi. Bisogna dire che quest'anno, tuttavia, sembrano affiorare alcuni rischi dai quali il Festival farebbe bene a guardarsi; rischi che sono insiti nella sua ricerca, un po' troppo compiaciuta, di certi motivi < ottocenteschi >. L'opera Vanessa, con i suoi sospiri e le sue piume di bambù, ha sconcertato parecchi amici di Menotti, che si sono chiesti se il gioco valesse la candela. Ma, a caratterizzare ancora più fortemente il quarto Festival dei due mondi, si preannuncia Salomè di Strauss, dal celebre testo di Oscar Wilde, che costituisce l'altra «attrazione» del programma. L'opera, come ognuno sa, rappresenta uno dei frutti più raffinati e straripanti di un certo decadentismo. Essa si incentra sulla passione per un uomo, per il profeta Giovanni, della torrida Salomè; e nessuno dubita che un direttore come Thomas Schipjpers e un regista come Luchino Visconti sapranno rendere al massimo la suggestione tempestosa che è nell'opera, in cui si mescolano lusso, sensualità e crudeltà. Ma viene il dubbio che continuando sul filo di un certo gusto, il Festival non finisca con l'approdare inconsapevolmente ad una sorta di neo-decadentismo, anzi meglio dire, di neo-dannunzianesimo; all'estenuazione di raffinatezze un po' fine a se stesse. Questo è il pericolo che molti fiutano nell'aria. Mentre a noi non ce ne importa nulla che il Festival, come lamentano alcuiii, non sia di avanguardia. Un festival d'arte non è una fiera campionaria in cui 1 prodotti in mostra hanno da essere per forza < ultimo modello ». Alfredo Todisco Quello di Spoleto vuole chiamarsi Festival della giovinezza. Ma i giovani che girano intorno ai teatri con l'aria di ribelli, in fondo amano i vecchi tempi delle crinoline. Ecco il soprano Margaret Tynes e il direttore d'orchestra Thomas Schippers, la bella protagonista e il concertatore di « Salomè ». La decadente opera di Strauss è una delle grandi «attrazioni» del «estivai per la regia di Visconti

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