Differenze fra America ed Europa

Differenze fra America ed Europa IMPRESSIONI AL TERMINE DI UN VIAGGIO NEGLI STATI UNITI Differenze fra America ed Europa Un dibattito sempre aperto e troppo spesso viziato dalla approssimazione e dai pregiudizi - Più che la pubblicità clamorosa conta per l'americano la parola e il ragionamento • Scarsa fortuna dell'intellettuale stravagante e paradossale - Il dollaro è l'unità di misura universale, ciascuno ha diritto alla sua fetta di benessere, la povertà sdegnosa non sarà mai un merito - Nessuna vocazione al dominio spirituale o materiale su altre nazioni ma la difesa dei deboli e dei giusti è un richiamo profondo della coscienza del popolo (Dal nostro inviato speciale) New York, giugno. Alcune settimane trascorse negli Stati Uniti inducono a. lasciare per ultimo il difficile argomento delle differenze fra America ed Europa, un dibattito sempre aperto e troppo spesso viziato dalla approssimazione e dai pregiudizi. Le opinioni europee sulla civiltà americana oscillano da un'acuta diffidenza, propria ad esempio di certi circoli parigini, alla convinzione che il nostro continen¬ tnmrsmPqbsgbnsdllMIIlKMrillitllllIMHIMItlll IltlUlllllMinilllllll te sin ormai avviato a divenire tutto americano, tutto modellato sui principii e le realtà d'oltre Atlantico. Pensiamo che anche una permanenza breve in questo Paese basti per respingere queste tesi estreme, entrambe inaccettabili. Vorremmo iniziare da un aspctto apparentemente marginale, quello cioè della pubblicità e della propaganda negli Stati Uniti, che qualsiasi europeo s'immagina ricco di sforzature chiassose, di lliritMIMllllllllMMIIIIIIMillItlllllllHIflMllllIM slogans facili, di lettere al neon sfolgoranti come lampi di magnesio. Si scopre invece, e con sorpresa, che qui la circolazione dei prodotti e delle idee è fondata soprattutto sul discorso, sul messaggio, sul sermoncino, per radio, per televisione, sui giornali, con lo scopo di persuadere il prossimo e non di imporre urlando un'opinione o una merce. Tutto al contrario di quel che si pensa, e molto più dell'europeo, l'americano preferisce lasciarsi IilIMillllllllrillllIIIIItllillMIllllllt MIMIIIMB • , , i o o e . è e convincere dalla parola e dal ragionamento, magari elementare, ma sempre prevalente sulla fotografia, la trovata visiva o le cifre statistiche. Roosevelt rivelava i suoi programmi di governo in conversazioni familiari alla radio chiamate < discorsi dal caminetto»; Charlie Chaplin, dopo la fine del cinema muto, ha terminato quasi sempre i suoi film con vere e proprie prediche. Ciascuno nella sua sfera, questi due nomini di talento hanno dimostrato di conoscere assai bene la psicologia popolare americana. E' una psicologia che ha radici lontane e profonde. Discende dai costumi dei primi immigrati quaccheri, i protestanti non conformisti, giunti qui oltre due secoli fa con le loro esigenze di moralismo acceso, d'uguaglianza nella libertà e di controllo attento sui due protagonisti della vita sociale di allora: il pastore e lo sceriffo, sempre obbligati a spiegare in dettaglio e con parole semplici i morivi della loro condotta, da palcoscenici e pulpiti non troppo alti. Questo antico costume ha resistito a tutti gli urti e convinto a poco a poco alle sue norme larghe masse di cittadini d'altra fede. Oggi, più che nelle ultime generazioni, chi negli Stati Uniti vuol salire ai vertici del potere, della ricchezza e della fama, è costretto a parlare con chiarezza e a dar conto esatto dei suoi propositi, affinché la folla dei citfodinigiudici possa valutare se un uomo, un programma o un prodotto siano o no degni del favore e del successo. A queste leggi, poco o punto seguite in Europa, si deve sottoporre chiunque, pena la sconfitta, il fallimento o l'ostracismo. E' facile comprendere perché in America non abbia fortuna un tipo corrente di intellettuale europeo, ricco di fantasia brillante c di stravaganze ingegnose, esposte spesso in un linguaggio ermetico e paradossale. L'intellettuale di successo, in America, è un interprete ; un teorizzatore e un volgarizzatore delle idee comuni: fossero nati negli Stati Uniti, Bernard Shaic, Russell o Huxley molto probabilmenri*>-sarebbero finiti sepolti nel ■silenzio Per rimanere fra gli intellettuali, occorre aggiungere che qui non nascerà mai la personalità vigorosa che rinuncia alla fortuna finanziaria per acquistare un più al,to prestigio morale. Negli Stati Uniti, dove il dollaro è l'unità di misura universale, la società cura scrupolosamente che a ciascuno tocchi la sua fetta di benessere, ma a differenza dell'Europa, la povertà sdegnosa non sarà mai un merito per nessuno. Chi varca volontariamente certi limiti, in realtà troppo rigidi, e rinuncia al successo economico, sa di non poter ottenere compensi di nessun genere, ma chi rimane nei confini non soffrirà mai le pene dell'indigenza. Un senso vivissimo di solidarietà e di fratellanza sociale farebbe apparire la miseria di un uomo d'ingegno che non s'allontani troppo dalla norma una vera vergogna nazionale Proverà un'altra sorpresa chi, confondendo il passato con il presente e le eccezioni con la regola, si era im- iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinituiiifiiiiiiitiiu maginato l'America come una nazione esuberante, convulsa ed esagitata, dovendo invece accorgersi d'esser capitato in un paese diffidente d'ogni fragore e avverso a qualsiasi eccesso. La società degli Stati Uniti, dove la considerazione per l'uomo comune arriva a una specie di culto, e la mediocrità è ritenuta più una virtù che un difetto, ha lasciato da tempo all'Europa le tradizioni della vita notturna, dei boulevards, dei caffè e dei bar « all'americana », dove gente che non si stima e neppur si conosce è felice d'incontrarsi in un minuto per dimenticarsi il minuto dopo. Qui i luoghi d'incontro sono i circoli, le chiese e soprattutto le case private, e l'amicizia vera viene sempre riservata a pochi. Anche se la cordialità verso tutti è ritenuta un dovere, e l'estraneo è per tutti un ospite di riguardo, sia rozzo o colto, elegante o impacciato, spiritoso o inintelligente. Un europeo potrà annoiarsi negli Stati Uniti ma non avrà da temere la malignità, la diffidenza o gli imbrogli altrui. Finché saprà meritarsi la fiducia del prossimo (e guai a lui se la perde) verrà sempre circondato dalla stima e dalla cortesia più rispettose, come si addice ad ogni essere umano, creatura di Dio, non compagno di brevi svaghi, probabile nemico, o portafogli da borseggiare. Quelle frange d'opinione europea che diffidano degli Stati Uniti sostengono che gli americani sono un popolo stupido, mentre per una minoranza d'americani l'immoralità è il difetto più diffuso fra gli europei. La maggioranza pensa all'Europa molto meno di quanto in Europa si pensi all'America, ed all'infuori della curiosità turistica, pochi americani provano un véro interesse per i paesi al di là dell'Atlantico. Dal loro rifugio gli americani sono tuttavia usciti tre volte in soccorso dell'Europa, nel 1917, nel 1941 e nel 1947, dopo l'inizio della guerra fredda: e salvo l'ultima occasione, in cui erano direttamente in gioco interessi e principii nazionali, gli aiuti precedenti alle democrazie europee potrebbero essere ritenuti due eccezioni storiche clamorose. Questo Paese non ha mai provato, infatti, la vocazione al dominio spirituale o materiale su altre nazioni. Il bisogno inglese d'esportare proprie usanze e istituzioni in cinque continenti, la necessità per la Francia d'imporre ovunque la sua supremazia culturale, il bellicoso spirito di conquista, un tempo della Spagna, ieri della Germania ed oggi della Russia Sovietica, sono sembrate sempre ambizioni assurde ai cittadini degli Stati Uniti. Si pensi all'ultima guerra mondiale quando, caso raro nella storia, i soldati americani sgombrarono in fretta c furia l'Europa occupata, vendendo come ferrivecchi le armi vittoriose, per tornarsene a casa il prima possibile e senza alcun compenso.' Avevano obbedito a un richiamo della coscienza, soccorrere cioè i deboli e i giusti dalle minacce del male, e nulla al mondo li avrebbe trattenuti un giorno di più in terra straniera. Poche cose stupiscono i visitatori di questo Paese come l'avversione ancora viva e pungente contro Adolfo Hitler. Sedici anni dopo la sua morte, libri e pellicole su di lui seguitano ad ottenere un successo costante, quando il grosso degli europei ha archiviato questo personaggio fra le macerie d'un passato già lontano. Molto più che in Europa, Hitler è apparso qui l'incarnazione vivente della malvagità umana, un demonio in camicia bruna che è gloria perenne aver ricacciato nell'inferno. Gli europei potranno sorridere di quest'identificazione ingenua, simile alla trama di un film western, senza la quale però la bandiera con la svastica sventolerebbe, forse, in tutte le loro capitali. Anche un'altra bandiera vi avrebbe potuto sventolare se nel 1947 il popolo americano non avesse condiviso la fermezza del suo governo, quando gli venne detto (e bastò) che Stalin, invadendo l'Europa centrale, « aveva mancato alla parola data». Il costante moralismo degli Stati Uniti ha finito insomma per legare l'America all'Europa dopo un secolo e mezzo di separazione volontaria, e restituito una missione universale a una nazione sorta per seguire vocazioni provinciali. E' nata cosi una solida alleanza fra i due continenti, il frutto migliore degli ultimi quindici anni di storia, da amministrare tuttavia con saggezza. Il governo Kennedy, ad esempio, considera l'Europa e l'America come i binari di una stessa, rotaia, che è possibile avvicinare ancora l'uno all'altro, ma non fondere in una sbarra sola. Pensiamo che anche esponenti politici, uomini di cultura c responsabili di mezzi d'informazione europei finiranno per convincersi a queste tesi. L'alleanza atlantica è un bene prezioso, ma i due continenti hanno seguito a lungo strade diverse, ed oggi a voler fondere costumi, abitudini e istituzioni dissimili, si rischia soltanto di moltiplicare punti d'attrito e diffidenze. Si rischia, in breve, di dare una buona mano ai seminatori di zizzanie. Paolo Pavolìni

Persone citate: Adolfo Hitler, Bernard Shaic, Charlie Chaplin, Hitler, Huxley, Kennedy, Paolo Pavolìni, Roosevelt, Stalin