Risparmiano il soldo i petrolieri italiani tra i pozzi infocati e nei deserti della Persia di Francesco Rosso

Risparmiano il soldo i petrolieri italiani tra i pozzi infocati e nei deserti della Persia PER I NOSTRI COWKAZIONALI, LA VITA DURA NON INVITA ALLO SCIUPIO Risparmiano il soldo i petrolieri italiani tra i pozzi infocati e nei deserti della Persia I contratti sono eguali per tutti: tre settimane di lavoro, una di riposo - Americani e inglesi, olandesi e francesi possono spendere l'intero salario in colossali bevute: ognuno si ubriaca nello stile del proprio paese - Gli italiani fanno economia; sono la disperazione dell'albergatrice piemontese, che possiede l'unico «hotel» nel porto petrolifero dell'Iran - Se affrontano la solitudine e le paurose tempeste di sabbia dell'interno, l'umido calore e la nostalgia sulle gigantesche piattaforme erette nel mare, è per tornare a casa con un gruzzolo - Lavorano benissimo: dai pozzi in pieno Golfo Persico, l'Eni estrarrà presto 10.000 t. di petrolio al giorno (Dal nostro inviato speciale) Korramsciar, giugno. Un uragano di sabbia, costringendomi al chiuso dell'albergo, facilitò l'amicizia con un gruppo di petrolieri di nazionalità diversa che, affondati nelle poltrone del bar, cercavano come me di nascondere l'inquietudine per l'angosciante notte scesa di pieno meriggio. Un'ora prima, mentre navigavamo sul fangoso Karun tra foreste di palme folte di silenzio, Paolo, il diciottenne cuoco di Avigliana che mi faceva da guida e interprete, disse che il barcaiolo consigliava di ritornare perché il cielo non gli piaceva. Non mi sembrava un cielo differente (lugli altri giornf, soltanto il sole tiiiiiiiriiiiiiti'iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii>iiiiiiiiM sembrava più opaco e rovente nella caligine sulfurea che l'offuscava, ma il barcaiolo insisteva, e rientrammo. L'uragano si abbatté con rapidità impressionante, muraglie di tenebre avanzarono col vento ciclonico che portava dai deserti orientali grevi onde di sabbia sotto cui scomparvero il fiume, le barche, la città che aveva inutilmente acceso tutte le luci. Non era la notte vera, ma un buio grigio, innaturale, sinistro che provocava sgomento e soffocazione. Fermo sulla-porta dell'albergo a guardare la ginnastica di due palme sotto le rabbiose staffilate' del vento torrido, ammiravo la divina architettura arborea dei tropici, il flessuoso piegarsi fino al suolo dei fusti sotto il cataclisma e l'elegante slancio elastico con cui riprendevano l'armonia verticale; ma sentivo la sabbia rodermi la pelle con la scabra violenza dello smeriglio, e mi pareva che se fossi rimasto ancora un minuto in quel fórno in cui vorticava sabbia liquefatta, sarei morto soffocato. Il termometro segnava i7 gradi. Rientrai dirigendomi al bar, rifugio delle ore vuote, dove ci si avvelena per curare la noia. Era più. affollato del consueto, la torbida notte precoce aveva cacciato i clienti dalle loro camere spingendoli a cercare compagnia. Erano tutti petrolieri, e tutti uomini: le norme che regolano la società musulmana, tipicamente maschile, avevano superato anche i confini di quel lembo d'Europa. La sola donna del locale era la signora Anna, la brusca piemontese di Rondissone che dirige con perentòria autorevolezza l'esercito di camerieri musulmani dell'albergo Anahita sulle sponde del Karun, nel petrolifero Golfo Persico. Non fu difficile entrare nel giro di quegli uomini, ciascuno aveva già in corpo la dose di alcool sufficiente a rendere superflue le conoscenze forviali. C'erano americani, inglesi, olandesi, francesi, tutti specializzati a cercare il petrolio sotto terra ed a pomparlo fino ai ciclopici depositi di Abadan, sull'altra sponda del Karun, ora totalmente cancellata dalle tenebre di sabbia. Trascorrevano il loro turno di riposo, sette giorni, dopo ventuno di lavoro nei deserti pingui di petrolio, ed il loro svago consisteva in gargantuesche bevute. Che potrebbero fare, se non bere, in una città come Korramsciar, dove il solo elemento che abbondi è il calore del tropico, viscido, bagnato, che slombat Dopo un giorno sapevo distinguere la nazionalità dei petrolieri non dalla loro lingua, ma da ciò che bevevano e da come reagivano all'alcool. Gli inglesi potevano vuotare bottiglie dì whisky senza alterarsi sensibilmente, soltanto un po' più paonazzi nella pelle chiara che nemmeno il sole tropicale riesce a brunire. Gli americani erano euforici dopo due bottiglie di birra, vociavano come ragazzi intemperanti e subito incominciavano a liberarsi dei già scarsi indumenti per mettere in mostra i compositi tatuaggi che gli coprivano busto e braccia di macabri disegni neri. I francesi si ubbriacavano in aristocratico isolamento chiedendo al barista dischi di musica decadente; gli olandesi inafflando di birra chili di patate fritte e salcicce. Di italiani, c'ero soltanto io; benché fossero numerosi tra i clienti dell'albergo, nessuno varcava la soglia del bar. < Se dovessi guadagnare con i connazionali, — diceva la signora Anna, — a quest'ora sarei al fallimento. Non spendono una lira*. Benché abbiano paghe notevoli, non inferiori a quelle americane e inglesi, i petrolieri italiani non spendono; ma il loro atteggiamento sparagnino è comprensibile, com'è comprensibile, per chi abbia veduto come vivono, la scialona imprevidenza dei loro colleghi di altre nazioni che in una sera di ribotta sesquipedale spendono la paga di una settimana. Anche al tropico, l'italiano non dimentica la sua tradizionale parsimonia, eredità diretta di una secolare incertezza economica. Soltanto da pochi anni gli italiani che lavorano all'estero sanno di poter contare su una larghezza di salari e provvidenze che li garantiscono contro le sorprese-, ma non si sono ancora abituati a spendere una parte del loro salario in superflui complementi, come sarebbe una grossa bevuta in compagnia. Berrebbero volentieri un litro di vino, ma a Korramsciar un solo, piccolo bicchiere di chianti, o di barbera, costa mille lire, e poiché iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiii con un solo bicchiere nemmeno incomincerebbero, rinunciano anche a quello. Mentre i loro colleghi di altra nazionalità spendono senza misura e, non potendo fare altro, si ubriacano tutte le sette sere delle loro periodiche vacanze, i petrolieri italiani si divertono a risparmiare, a misurare il mucchiato di biglietti da mille che allo scadere dèi contratto biennale avrà dimensioni cospicue. Dicevo di comprendere gli scialoni bevitori r. gli italiani sparagnini perché il lavoro cui si dedicano, ed i luoghi in cui lo svolgono, giustificano tutti gli eccessi. Se mai, sono da ammirare gli italiani: resistere alle tentazioni in queste latitudini non è facile. A Isfahan ho conosciuto un gruppo di italiani che da due anni cercano il petrolio fra i monti Zagros, pietroso deserto calcinato dal sole dove i soli esseri umani che incontrano sono i derelitti nomadi Baktiari che vanno a farsi visitare dall'infermiere del campo il quale, avendo curato con successo alcuni persiani malati, s'è fatta una, fastidiosa fama di taumaturgo. La solitudine, le burrasche di sabbia, il caldo atroce gli accende una nostalgia insidiosa, ma gli danno anche la coscienza che il denaro guadagnato in quelle condizioni è sacro. Assai meglio vivono gli italiani che con rapido successo hanno cercato e trovato il petrolio nel Golfo Persico, in alto mare. Ci hanno portati sulla piattaforma che fa da officina, albergo e passeggiata per 50 fra tecnici ed operai dell'Eni con il grosso elicottero perennemente in volo per assicurare i rifornimenti fra Korramsciar ed il campo. L'umido calore del tropico ci impastava in un'informe massa sudante, ma l'ambasciatore Giardini ci diede una lezione di stile non levandosi nemmeno la cravatta. Nella piccola sala da pranzo, nella ronzante frescura diffusa dai condizionatori, quegli uomini ci parlarono del loro lavoro e della loro esistenza in mezzo al mare. Wolfango Barella, milanese, non scende a terra da sci mesi, Giancarlo Lombardi da tre, Piero Fcllagara da due, e in condizioni identiche sono gli altri cinquanta uomini che formano l'equipaggio di quel singolare lembo d'Italia ancorato nel Golfo Persico a cento chilometri da terra. « Che cosa troveremmo a Korramsciart II caldo lo abbiamo anche qui, ed il resto non ci interessa » dicevano con mansueta semplicità. Occorre notare che l'Eni, inseritasi con autorevolezza fra le grandi compagnie anglo-americane, non ha trascurato nulla per rendere sopportabile la vita agli uomini ch<? lavorano in questo arroventato angolo di mondo. Sulla piattaforma ci hanno offerto una prima colazione con dolci squisiti, sulla petroliera-deposito Sirip Jarsk un pranzo che non sfigurerebbe sulla carta di un grande albergo, sul «Gatto Selvatico » un gelato alla crema che odorava di latte alpino. Nell'immensità azzurra del Golfo Persico, la piccola comunità italiana, un centinaio di uomini, lavora con silenziosa modestia servendosi dei più moderni strumenti per estrarre il petrolio, costruiti in fabbriche italiane. Il « Gatto Selvatico », arrivato da una ventina di giorni, è un grattacielo di acciaio in mezzo all'oceano; i tre pilastri a cremagliera alti 56 metri ciascuno conservano un risentito rilievo anche sulla uniforme immensità azzurra del mare. In questo settore, l'Eni ha avuto rapido successo, incominciate nell'agosto del 1959 le operazioni per fissare la piattaforma, il 12 febbraio dell'anno successivo incominciò a sgorgare il primo petrolio. Oggi la produzione si aggira sulle 500 tonnellate al giorno, ma sarà triplicata fra poco con l'entrata in funzione di un nuovo pozzo e Tanno venturo toccherà certo i quattro milioni di tonnellate annue. C'è il caldo, ci sono gli uragani di sabbia che portano la grigia, inquietante notte in pieno giorno, c'è la solitudine. Quando scende la notte vera, con tutte le stel. le in cielo, questi uomini si sentono assalire da una divorante voglia di casa, che gli amici con cui passeggiano sulle esigue passerelle rendono più acuta coi loro discorsi. La torcia che arde in mezzo all'oceano bruciando i gas residui rende più tetre e insondabili le tenebre tropicali. Ma ognuno pensa al piccolo capitale che troverà in Italia al termine del contratto, denaro che consentirà di comperare la casa, il campicello, o mantenere i figli all'università. Dinanzi a quelle prospettive, anche U tropico torrido acquista una fisionomia meno ostile. Francesco Rosso

Persone citate: Giancarlo Lombardi, Giardini, Persia I, Piero Fcllagara, Vita Dura

Luoghi citati: Avigliana, Europa, Iran, Italia, Rondissone